sabato 17 dicembre 2011

Un gatto nero, di Giovanni Pascoli


[...] Uomo che vegli nella stanza
illuminata, che ti fa vegliare?
dolore antico o giovine speranza?

Tu cerchi un Vero. Il tuo pensier somiglia
a un mare immenso; nell'immenso mare,
una conchiglia; dentro la conchiglia,

una perla: la vuoi. Vecchio, un gran bosco
nevato, ai primi languidi scirocchi,
par la tua faccia. Un gatto nero, un fosco
viso di sfinge, t'apre i suoi verdi occhi...

da "Finestra illuminata" in Miricae

Un uomo è solo nella stanza illuminata. E' tardi, è notte. L'uomo non dorme, pensa. Cerca la Verità, rara ed ardua, difficile da raggiungere, nascosta nelle profondità più impervie, come la perla dentro la conchiglia. E' vecchio, l'uomo, il suo volto è ispido, rugoso, come il bosco quando la neve si scioglie e lascia intravedere brandelli di terra, residui delle foglie cadute. Nel silenzio imperscrutabile l'uomo solo avverte una presenza misteriosa e forse rivelatrice: quella del gatto nero, che ha gli occhi verdi, spalancati, chiari, come le prime foglie di primavera... (E.B.)

lunedì 12 dicembre 2011

Come funziona la memoria, di Larry Squire ed Eric Kandel

Cogito ergo sum, l'affermazione cartesiana molto nota e molto citata ancor oggi (risale al 1644) è errata, sostengono gli autori di questo libro, Squire, docente di medicina e psichiatria all'Università di California e Kandel, premio Nobel per la medicina nel 2000. Il detto cartesiano oggi appare "sbagliato" perché i biologi contemporanei sono giunti alla certezza del fatto che le attività della mente appartengono ad una parte specializzata del corpo (e perciò il motto sarebbe semmai da capovolgere in Sum ergo cogito) ed anche perché un ruolo importantissimo - addirittura fondamentale - nel determinare chi noi siamo è svolto non solo dal pensiero, ma anche, e fondamentalmente, dalla memoria. Il libro esplora e descrive dunque, come recita il sottotitolo, i meccanismi molecolari e cognitivi della memoria, attraverso dieci capitoli:
- Dalla mente alle molecole
- Sinapsi modificabili per la memoria non dichiarativa
- Le molecole della memoria a breve termine
- La memoria dichiarativa
- I sistemi cerebrali della memoria dichiarativa
- Un meccanismo di immagazzinamento sinaptico per la memoria dichiarativa
- Dalla memoria a breve termine alla memoria a lungo termine
- Priming, apprendimento percettivo e apprendimento emozionale
- La memoria per le abilità per le abitudini e per il condizionamento
- La memoria e la base biologica dell'individualità
L'esposizione è molto chiara ed è integrata da molte illustrazioni, è tuttavia necessario possedere nozioni abbastanza approfondite di biologia umana per poter affrontare agevolmente ed in fretta la lettura completa del libro. 

L. Squire/ E. Kandel, Come funziona la memoria. Meccanismi molecolari e cognitivi, Zanichelli 2011

martedì 6 dicembre 2011

Le ceneri del poeta

Ne ha parlato POESIA di Crocetti, in breve, ne ha parlato dettagliatamente Francesca Santucci
(http://www.wandamontanelli.it/CdD/edit/2011/cp.htm), ora, contrariamente a quello che mi piace di solito fare, anzi di ciò che in genere ritengo doveroso fare, inserisco anch'io qui qualcosa su questo mio libro. A chi, come me, è stata educata all'insegna del "non è necessario che tu parli di te, di ciò che sai fare, di ciò che ti riesce bene, tutto quanto è lì da vedere, se vale altri se ne accorgeranno, lo apprezzeranno, ne parleranno" è la decisione ha richiesto molta ponderazione. Ma i tempi sono cambiati da quei lontanissimi anni Sessanta nei quali l'Italia sembrava essere un altro pianeta, ricco di promesse, di bellezza, di affetti. Il berlusconismo ha assuefatto un popolo, non importa di che parte politica, ne ha viziato e corrotto la percezione delle cose e delle persone, ha incoraggiato l'esibizionismo: chi non esibisce, non esiste. Ora, esibire mai. Il pudore e la decenza lo vietano. Ma dare una notizia anche qui, su questo mio blog dedicato, nel modo più libero, personale ed "arbitrario" alle letture, sì. Dunque, Le ceneri del poeta è uscito per le Edizioni Orizzonti Meridionali, certo non uno degli editori dominanti: perciò considero molto importante la menzione della silloge su POESIA, perchè si tratta della raccolta di un'autrice che non ha né poteri né valori di scambio, né fa parte di gruppi o riviste dell'uno o dell'altro giro, non è dunque spendibile, non frutta neanche un euro. Poco ti arriva, anche in questo campo, se non hai "valori di scambio"; il merito, diversamente da ciò che accade in altri ambiti "economicamente sensibili", viene riconosciuto ma, insieme, anche taciuto o in fretta scordato. Eppure la poesia merita molto, che la si coltivi, che la si legga, che la si tenga come compagna quotidiana di vita. Questo libro raccoglie poesia civile, ma anche intima di affetti, e scaturisce da fatti e passioni di quattro anni di vita.
Oltre ai giudizi ai quali ho accennato sopra, me ne sono giunti altri privati, ne ricordo qui due proponendone sintetici estratti:
"... vi è come un crescendo verso la profondità, un filo conduttore che via via si assottiglia, dal vigore delle poesie civili alla rarefazione dell´ultima sezione. I finali, poi, sono spesso sorprendenti e davvero conclusivi e stranianti" (Giulio Martinoli)
"... circolano nei versi rimembranze come echi e moti civili dell'animo, a partire da quelli della prima composizione: sintesi di uno slancio interiore stimolato da desolanti realtà. E' lungo il processo degli eventi, e devo dire che Venticinque aprile è una delle più sentite lodi della Resistenza" (Manrico Murzi)
Venticinque aprile venne già pubblicato qui nel post che segue
http://leletturedidonchisciotte.blogspot.com/2010/04/25-aprile-festa-della-liberazione.html

POESIA, novembre 2011 (rec. Simonelli)
Eleonora Bellini, Le ceneri del poeta. Poesie 2007 - 2011, Edizioni Orizzonti Meridionali 2011

venerdì 2 dicembre 2011

"Fratelli a un tempo stesso, Amore e Morte" presentazione al libro CHE QUANTO PIACE AL MONDO E' BREVE SOGNO di Francesca Santucci

Riporto qui l'inizio della mia presentazione al più recente libro di Francesca Santucci, come invito alla lettura ed alla riflessione. Si tratta infatti di un'opera ricca di notizie e forte di passione.

Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte
ingenerò la sorte.
Cose quaggiù sì belle
altre il mondo non ha, non han le stelle.

Così comincia il XXVII canto di Leopardi, che torna immediatamente alla memoria alla lettura del titolo e del sottotitolo di questo mirabile libro di Francesca Santucci: amore e morte nel tempo umano della storia e nel tempo immortale dell’arte e del mito, della poesia e del romanzo.
Da Orfeo ed Euridice ad Ugo e Fosca, l’autrice ripercorre le storie di amore distrutti da un destino avverso, dal caso malevolo, o sbriciolati dall’inesorabile involversi del tempo. Mostra come già negli antichi miti, nelle raffigurazioni pittoriche e scultoree, insieme all’apoteosi del bello - i corpi desideranti oppure placati e calmi oppure già distrutti dal dolore e poi ricomposti nella fissità della morte, la maestria degli artisti, l’espressività del colore e della luce - si insinui lo sgomento profondo delle creature gettate in un mondo che non ha mantenuto le sue promesse. Mostra quanto forte urli la disperazione delle creature tradite da abbagli, illusioni, chimere, da tutte le promesse impossibili da mantenere, dopo l’effimera apoteosi della prima conquista d’amore. “Dall'azione congiunta e opposta di entrambi (l'impulso di vita e quello di morte) scaturiscono i fenomeni della vita, ai quali mette fine la morte", così si sarebbe espresso Freud nell’ Introduzione alla psicoanalisi anni dopo Fosca, l’ultima opera sulla quale si sofferma la Santucci in questo libro, a conferma delle grandi ed immortali verità contenute ed espresse da sempre nell’arte, nella letteratura, nella musica.

Rubens, Orfeo ed Euridice
Francesca Santucci, Che quanto piace al mondo è breve sogno. La vanità, il tempo, l'amore, la morte, Kimerik 2011. Altre notizie e un video sul libro qui: http://www.francescasantucci.it/chequantopiacealmondoèbrevesogno.htm

giovedì 24 novembre 2011

Libri da evitare 1: Fai 'sta ..... di nanna

Poche settimane fa la scrittrice Giusi Quarenghi commentava qui http://topipittori.blogspot.com/2011/11/orfanita-precoce-colpo-di-quasi-fortuna.html  "un libro illustrato uscito da qualche mese e salutato come capolavoro di umorismo" del quale non mi piace ripetere il titolo. Ai numerosi commenti del post ho aggiunto anche il mio, che riporto qui sotto. Si avvicinano le feste, tempo di regali, ed è un'occasione per consigliare quali regali non fare ai bambini.


“Non tutti possono essere orfani” (J. Renard, Pel di Carota)
La bella analisi di Giusi Quarenghi mi fa tornare alla mente i romanzi per bambini e ragazzi d’antan (quelli che la mia generazione, avendoli letti nell’infanzia, ha reputato di far leggere solo “a margine” e non troppo presto ai propri figli). E mi fa pensare che quei plotoni di orfani celassero un’utopia di libertà e di crescita indipendente dall’autoritarismo, e dalla crudeltà perfino, di alcuni genitori. Strappalacrime, sì, ma forse anche liberatori: “Ce la farò anche da solo, sarà brava anche da sola” poteva pensare chi li leggeva identificandosi nei protagonisti e immergendosi nella lettura. I bambini di oggi - si parla di quelli di ceto medio, quello che non ha stretti problemi di sopravvivenza - da soli non possono farcela più: perché sono iperstimolati e iperprotetti. Conosco il caso di chi, a poco più di tre anni, frequenta un asilo normale, ma anche uno bilingue a metà tempo, una piscina, una fattoria per attività con gli animali, l’amichetto per non restare mai solo, il ristorante nel quale i genitori vanno a cena (il tutto ogni settimana). Un regime che non consente di essere abbastanza distesi per ascoltare, per rilassarsi, per concentrarsi e nemmeno per annoiarsi un po’, che non fa male e stimola la fantasia, né per dormire. Ovvio. Ma, ciò che è più grave, i genitori che sottopongono i loro figlioletti a questo regime di vita hanno ovviamente nei loro confronti grandi aspettative, attese di successo che nascono fin dal parto e dalla culla. I bambini, per fortuna, non sono in genere superbambini e non corrispondono perfettamente a tali aspettative. Quindi nei genitori si generano nervosismo, intolleranza, turpiloquio, violenza (Chi non ha visto al supermercato tre e quattrenni aggirarsi “va da solo che sei grande”, servirsi, sparire, poi essere ritrovati dalla genitrice o dal genitore urlanti, e strattonati e schiaffeggiati? Chi non ha visto sul treno rifilare un videogioco o un telefonino a bambini che chiedono notizie sul paesaggio, sulle stazioni in cui ci si ferma?). I genitori che si comportano in questo modo sono molto stanchi, delusi, nervosi; se reagiscono con violenza in situazioni pubbliche, ovvio che lo facciano anche in momenti privatissimi, come la nanna. Perché anche il turpiloquio continuo e reiterato è violenza. Dunque l’operazione editoriale che presiede alla pubblicazione di questo libro, si iscrive, mi pare più nella volgarità che nella comicità: che cosa c’è di comico nelle parole di un più forte che apostrofa con una parolaccia un più debole? E’ un’operazione che mi pare grave, diseducativa, superficiale.
Consigli ai genitori? Avere figli fa status, d’accordo, ma non è obbligatorio in un mondo già sovrappopolato. Si possono sostituire con: un animaletto da accudire una sola volta al giorno e non saprà mai ripetere le parolacce che gli dite; una pianta da accudire una volta la settimana o ogni quindici giorni se grassa – idem per le parolacce; la pet society di facebook. E per chi ha già figli? Ricordarsi: che siamo mammiferi, la nostra crescita completa richiede qualche tempo; che la primissima infanzia dei nostri figli dura molto poco se considerata nell’arco complessivo della nostra vita e che può essere l’occasione per scoperte felici. Così da grandi i figli non rimpiangeranno di non essere stati orfani.
(E.B.)

lunedì 21 novembre 2011

Le chagrin, di Lionel Duroy

Un dispiacere profondo, nato nella più tenera infanzia, radicato nella quotidianità, inflitto dalle persone che più dovrebbero proteggerti, può accompagnare un essere umano per tutta la vita. E questo indipendentemente dall’evoluzione positiva, appagante, talvolta perfino brillante dell’esistenza professionale, amorosa, familiare in età adulta. La prima considerazione che sovviene alla lettura di Le chagrin, romanzo autobiografico di Lionel Duroy, scrittore e giornalista di Libération autore anche di importanti reportages in zone di guerra dall’Algeria ai Balcani, è proprio questa. E richiama all’antico precetto troppo disatteso “maxima debetur puero reverentia”.
La storia è quella della famiglia dello scrittore: il padre reca nel nome le proprie nobili origini (si chiama Théophile, ma viene sempre chiamato con il nome affatto illustre di Toto), la madre, Suzanne, di origini piccolo borghesi, idolatra il proprio padre, mentre aborrisce tutto ciò che riguarda la famiglia del marito. Di professione cattolica integralista, di idee politiche più che conservatrici - parteciperanno attivamente alle campagne elettorali di Le Pen - i due mettono al mondo undici figli. Non per gioia, salvo forse nel caso dei primissimi nati, tanto che, molto presto, oltre alle difficoltà economiche, la coppia e la famiglia esperimentano tensioni, intemperanze verbali, scenate al limite dell’isterismo, soprattutto da parte della madre, disinteresse, al limite dell’abbandono, per i figli. Tutto ciò è raccontato da William (il nome dietro cui si cela l’autore) in prima persona, con ricchezza di particolari, precisione di date, chiara descrizione di ambienti. William cresce, diventa uomo, ma non può liberarsi dalla tristezza - e dalla rabbia - dei suoi anni di infanzia e di adolescenza in famiglia. O, meglio, l’unico modo per liberarsene, per fare la pace con quegli anni è quello di scriverne, di raccontarli, senza indulgenza e senza veli. Duroy aveva già scritto un altro romanzo, assai discusso, sulla sua storia familiare, Priez pour nous. La lettura di questo libro, che ha vinto prestigiosi premi, offre molteplici spunti di discussione, ad esempio: può la scrittura fare le veci della psicanalisi? quanti danni possono produrre nella vita familiare l'integralismo e la letterale applicazione dei precetti cattolici sulla procreazione? quanto questo cattolicesimo si apparenta con la destra politica? Vi sono poi diversi riferimenti alla storia e alla politica internazionale francese ed europea, vissuti dal protagonista ormai adulto nell'esercizio della propria professione giornalistica.
Le chagrin comincia così:
"All'origine della mia venuta al mondo, della venuta al mondo di tutti noi undici, c'è l'amore che si sono dichiarati i nostri genitori. Tutte le sofferenze che poi essi si inflissero, tutti gli orrori dei quali siamo stati testimoni, non possono cancellare le dolci parole che si scambiarono nell'inverno 1944. Si vollero, attesero, desiderarono, tanto da amarsi appassionatamente nel bel mezzo del pomeriggio, nelle settimane seguenti il matrimonio. Ho in mente una scena che mi riferì zio Armando, fratello minore della mamma: aprendo distrattamente una porta, li scopre seminudi, i corpi intrecciati, confusi e senza fiato. Al tempo la mamma non ha che un rimprovero da fare a papà, un rammarico più che altro: lo trova un po' troppo basso se paragonato ai due uomini della sua vita, suo padre e suo fratello. Papà, lui, non ha nessun rammarico; sembra che la gente si giri per strada per ammirare la bellezza di mamma." (trad. E.B)

Lionel Duroy, Le chagrin, éditons Julliard 2010.

mercoledì 16 novembre 2011

Museo dei viaggiatori in Sicilia. Guida all'esposizione, di Francesca Gringeri Pantano

A Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, c'è un museo unico: il Museo dei Viaggiatori in Sicilia. L'isola, in posizione privilegiata al centro del Mediterraneo, ponte tra Europa ed Africa, fu approdo di navigatori sin dai tempi più antichi (pensiamo ai viaggi di Ulisse) e divenne meta imprescindibile, insieme ad altre d'Italia, del viaggio formativo della gioventù nobile e degli intellettuali europei tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo.
Questo libro introduce alla raccolta museale e la illustra ampiamente anche attraverso una ricca iconografia. Scorrono tra le pagine immagini tratte dal  Voyage Pittoresque dell'abate parigino Jean-Claude Richard, che giunge in Sicilia da Napoli nell'aprile del 1778, vi resta sei mesi e pubblica in patria tra il 1781 e il 1786 quattro volumi ricchi di carte geografiche, vedute, itinerari. Segue il viaggio da Siracusa a Ragusa di Jean Houel (edito sempre a Parigi tra 1782 e 1787,): ancora oggi il Centro Studi Jean Houel partecipa insieme al Comune alla promozione e al sostegno del Museo e delle sue attività. Poi possiamo ammirare immagini del santuario rupestre della dea Cibele, carte geografiche, libri antichi sulla Sicilia, corredati da dettagliate schede descrittive. Un bel viaggio tra le pagine, in attesa o dopo un viaggio reale.

La dea Cibele, raffigurata sulla copertina del libro


Museo dei viaggiatori in Sicilia. Guida all'esposizione, cur. F. Gringeri Pantano, Palazzolo Acreide 2008, pag. 150

lunedì 7 novembre 2011

Gente di carattere: "Histoire de caractères" alla Biblioteca Méjanes di Aix-en-Provence

Si tratta qui dei caratteri di stampa, quelli che, dagli incunaboli in su, consentirono la fortuna dei libri e ne ampliarono la diffusione. La Biblioteca Méjanes e la Fondazione Saint-John Perse di Aix-en-Provence espongono una quarantina di esemplari antichi (dal XVI al XIX secolo), tutti usciti dall'Imprimerie Nationale de France. Ma la mostra non si limita ai libri; vi si possono vedere rarissimi punzoni, matrici, lastre iconografiche in rame, marche tipografiche, caratteri cinesi ed arabi, geroglifici, tutti usciti dalle stamperie reali, come testimoniano i loro fascinosi nomi: Grecs du Roi, Romain du Roi ou Grandjean, Buis du Régent...
L'esposizione si è aperta il 17 settembre e sarà visitabile fino al 31 dicembre. L'hanno accompagnata diversi ateliers (l'ultimo di introduzione al libro d'artista) ed interessantissime conferenze: sulla stampa nel Rinascimento; sulla calligrafia dall'antichità fino alla pubblicità dei nostri giorni; sul disegno di carattere, dal piombo dei primi tipografi a quello della stampa contemporanea e dei programmi di scrittura sul computer. L'agile catalogo propone per ciascuno dei libri esposti una breve scheda, che contiene cenni di storia dell'opera e del suo autore insieme alle caratteristiche grafiche e tipografiche di quella particolare edizione, perché, come è noto e come ha ribadito Matthieu Cortat - conferenziere del Museo della Stampa di Lione -, chi ha avuto per secoli il potere sul libro (scelta di formato, edizione, illustrazione, caratteri, abbreviazioni, decorazioni) è stato il tipografo-editore, non certo l'autore.

mercoledì 26 ottobre 2011

In fuga, di Anne Michaels

Jakob è l'unico della famiglia ad essere sopravvissuto alla Shoa, ancora bambino. Terrorizzato e affamato, lacero, coperto da uno strato di fango, Jakob emerge dalla palude di Biskupin in Polonia e un uomo, Athos, lo nasconde sotto il cappotto e lo porta con sé fino all'isola di Zante dove gli insegnerà tante cose del mare e delle pietre, della poesia e della vita. Cercherà di conciliare il presente del fanciullo con il suo tragico passato. "Il presente, come un paesaggio, è solo una piccola parte di una narrazione misteriosa. Un resoconto di catastrofi e di lento accumularsi. Ogni vita salvata: caratteri che torneranno a comparire in un'altra generazione. "Cause remote". Così riflette Jakob, grazie all'insegnamento del suo salvatore. Athos è un giusto che, oltre ad occuparsi di geologia, dedica molto del proprio tempo a scrivere un libro che renda giustizia agli ebrei sterminati dai nazisti e che sveli anche molti altri loro crimini; non ultimo, l'avere alterato i dati geologici ed archeologici di Biskupin per attribuire alla località la caratteristica di crogiuolo della razza e della cultura ariana.
Un altro protagonista del libro è Ben, giovane studioso figlio di sopravvissuti allo sterminio nazista: "Il passato dei miei genitori, da un punto di vista molecolare, è anche il mio", all'insegna di questa convinzione vive Ben. 
In fuga è un romanzo, ma il suo linguaggio e gli spazi che apre alla mente somigliano spesso a quelli della poesia e della filosofia, per questo si presta ad una lettura lenta e meditativa, in senso contrario a ciò a cui ci spinge il nostro tempo affrettato, superficiale, vorace di consumi sempre nuovi.
Il libro è uscito con una postfazione di Francesca Romana Paci che afferma: "...  il senso letterale del racconto avvolge molti altri sensi nascosti e, proprio per questo, il romanzo offre numerosi livelli di lettura".  Ricordo del passato dei giusti e dei loro destini prematuramente troncati dalla furia nazista, ma anche della loro capacità di resistenza al male, indagine sugli scrigni nascosti nella profondità delle ere geologiche sotto una coltre di  fango, scandaglio delle profondità della parola poetica sono solo alcuni dei temi del romanzo.
Anne Michaels vive a Toronto, dove insegna letteratura. Si è affermata dapprima come autrice di poesia e con questo romanzo ha ottenuto importanti premi.

Anne Michaels, In fuga, Giunti Editore 1998

Biskupin, la palude

sabato 15 ottobre 2011

La guerra dei bottoni, di Louis Pergaud. Un libro, due film (o meglio tre)

L’uscita contemporanea in Francia di due film ispirati a questo romanzo ci obbliga a rileggerlo e a ripensarlo; a interrogarci sui bambini di adesso e sui bambini di giusto un secolo fa. La guerra dei bottoni uscì infatti a Parigi nel 1912. Nella prefazione l’autore avverte: “Chi si bea della lettura di Rabelais, grande e vero genio francese, credo accoglierà con piacere il presente libro, che, a dispetto del titolo, non si rivolge né ai bambini né alle fanciulle”. Si tratta di guerra, infatti:  guerra guerreggiata a fondo senza pietà da due bande di ragazzini in età di scuola primaria, residenti in due paesi di campagna confinanti, Velrans e Longeverne. I bambini di Longeverne - gli eroi rozzi ed inconsapevoli del romanzo - conducono i loro attacchi contro i rivali con perseveranza, crudeltà, volgarità istintive, “naturali”, ignare delle più elementari regole di educazione. Vestiti lacerati, bottoni strappati (costituiscono il più ghiotto dei bottini di guerra), nudità derise dei vinti sono il quotidiano esito di ogni battaglia e sono vissuti senza sensi di colpa, in modo del tutto innocente. Le parolacce  e gli improperi abbondano. C’è nel libro un mondo infantile privo di pietà, privo anche di quell’ipocrisia e di quel perbenismo - suggerisce l’autore - che adulti e pedagoghi  invano si sforzano di istillare nei discepoli. La guerra dei bottoni è l’epopea dell’inutilità della pedagogia scritta da un maestro di campagna, figlio a sua volta di un maestro di campagna. E’ un proclama anti Rousseau e tuttavia è anche una attestazione di simpatia profonda verso un’età in cui l’esuberanza dei corpi, le promesse (le illusioni?) di gloria e di vittoria, trionfano su ogni altro aspetto del vivere quotidiano. Così anche le punizioni del maestro vengono sopportate dai ragazzini con pazienza e stoicismo, perché la vita li attende: e la vita non è nella scuola, ma fuori, nei campi e nei boschi delle lunghe battaglie, nei graffi e nei lividi, umilianti o gloriosi a seconda che ci si trovi nel campo dei vinti o in quello dei vincitori, nel bottino da accrescere e da custodire ben nascosto.
Chi volesse paragonare questi bambini con i loro coetanei attuali dovrebbe prendere atto del fatto che, malgrado una condizione media più agiata, malgrado un certo maggior rispetto, almeno apparente, delle convenzioni del “vivere civile”, la libertà dei nostri contemporanei è irrimediabilmente perduta: quali e quanti bimbi oggi possono organizzare autonomamente il loro tempo fuori di scuola? Quali e quanti possono autonomamente scegliere i propri amici (e nemici)? Quali e quanti possono liberamente esplorare parchi, boschi, giardini, piazze e strade? Anche per questo La guerra dei bottoni nella sua edizione integrale è più una lettura per adulti che per bambini. Ma il suo fascino è inossidabile, specialmente oltralpe. Al film del 1961 di Yves Robert (in celebrazione del cinquantesimo compleanno del libro), se ne sono aggiunti quest’anno, a festeggiarne il secolo, ben due: La guerre des boutons di Yann Samuell, e La nouvelle guerre des boutons di Christophe Barratier. Nel primo film la storia si svolge all’inizio degli anni Sessanta (e reca sullo sfondo echi della guerra d’Algeria) come era avvenuto per l’opera di Yves Robert, che, così facendo, l’aveva resa sua contemporanea; nel secondo, invece, Barratier ha collocato la vicenda durante la seconda guerra mondiale ed ha introdotto un personaggio che nel libro non esiste, quello di una ragazzina ebrea. Nessuno dei film usciti finora, dunque, colloca la storia nel medesimo tempo nel quale essa si svolge nel romanzo e che è il primo decennio del Novecento. In compenso le due versioni più recenti introducono accanto alle bastonate ed ai cazzotti anche messaggi pacifisti e perfino femministi, impensabili per i protagonisti del libro, salaci eroi rabelaisiani la cui epica oltrepassa il confine del villaggio solo per scontrarsi con l’opposta eguale epica della banda rivale. E tutto il resto del mondo non esiste, perché non è conosciuto, perché è davvero lontano. Chissà che cosa penserebbe dell’introduzione nei film di questi messaggi nuovi e umanitari Pergaud che, lui sì, perse davvero la vita in battaglia - sulla Mosa nel 1915 a trentatre anni - in quella “inutile strage”  che fu la prima guerra mondiale.

sabato 8 ottobre 2011

Il libro mio lo pubblico io, di Ettore Bianciardi e Marcello Baraghini

"Questo libro potrebbe essere il manifesto per l'eliminazione dell'editore, il riconoscimento esplicito della sua inutilità pratica e della sua pericolosità sociale", così esordisce la quarta di copertina, avvertendo subito il lettore circa le due categorie principali con le quali si trova ad avere a che fare l'autore esordiente o non ancora noto: i grossi editori e gli editori a pagamento. Da entrambi, molto spesso - quasi sempre - l'ignoto autore non vien letto, con una differenza, però: i grossi editori gli rispondono che l'opera non rientra nei piani editoriali; gli editori a pagamento gli propongono un'edizione a caro prezzo, costosa e, insieme, poco o mal curata.
Allora che fare? Imparare come, passo dopo passo, si costruisce un libro e pubblicarselo da sé. Bisogna che l'autore, esordiente o meno, ma spesso ignaro dell'arte della stampa, conosca e impari ben bene tutti i passaggi necessari alla pubblicazione, dalle correzioni del testo (e qui vengono spiegate anche molte regole di ortografia e grammatica, che non è mai male rispolverare) alla scelta del carattere, all'impaginazione ed, eventualmente, all'illustrazione e, infine, alla scelta della copertina. Seguono le indicazioni su come far conoscere l'opera e su come venderla.
Certo per affrontare una simile impresa è necessario avere determinazione, coraggio, tenacia. Doti che auguriamo a tutti gli autori e che a Marcello Baraghini, il mitico fondatore di Stampa Alternativa, certo non mancano (come potete leggere qui: http://www.stampalternativa.it/cmssa/uploads/docs/Alias1.pdf). 
Il testo è scaricabile on line.

Ettore Bianciardi/ Marcello Baraghini, Il libro mio lo pubblico io. Guida all'autopubblicazione, Stampa Alternativa - Strade Bianche, 2010.

venerdì 30 settembre 2011

Le notti bianche

Copertina dell'edizione Fabbri, Milano 1975
Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che forse esistono soltanto quando si è giovani, mio caro lettore. Il cielo era così stellato, così luminoso che, guardandolo, ci si chiedeva istintivamente: è mai possibile che sotto un simile cielo vivano uomini collerici e capricciosi? Anche questa, caro lettore, è una domanda da giovani, molto da giovani...
Così comincia Le notti bianche, che Dostoevskij stesso definì "romanzo sentimentale", storia delicata e fiabesca ambientata in una Pietroburgo gentile e poetica. Leggetelo, se non l'avete già fatto (è breve, tanto che potremmo definirlo anche racconto lungo), e poi procurate di vedere l'omonimo film di Luchino Visconti, che rende perfettamente e sapientemente l'atmosfera del romanzo. Il film è del 1956, ha la sceneggiatura dello stesso Visconti e di Suso Cecchi D'Amico; gli attori sono, tra gli altri, Marcello Mastroianni e Maria Schell; il commento musicale è di Nino Rota.

domenica 7 agosto 2011

La scrittrice novarese Pina Ballario nel libro "Les enfants de Mussolini" di Mariella Colin


Nel 1998 redassi per la pubblicazione Il Novarese: pianura, laghi e monti (Regione Piemonte - Centro Studi Piemontesi - Centro Novarese di Studi Letterari, Torino 1998) la scheda relativa alla scrittrice Pina Ballario, che si può ora leggere in rete anche qui: http://www.novara.com/letteratura/bibliografia900/ballario.htm
Trattandosi di un repertorio sintetico, nella trattazione degli autori era di norma la brevità. Tuttavia nella mia scheda sulla Ballario sarebbe stato bene un commento - pur lapidario - sui due periodi nei quali si può suddividere la produzione della scrittrice: il primo, quello fascista (guerra compresa) e il secondo, quello repubblicano. Mi dà ora l’occasione per due ancora brevi annotazioni sul primo periodo la lettura di un bellissimo libro, Les enfants de Mussolini. Littérature, livres, lectures d’enfance et de jeunesse sous le fascisme. De la Grande Guerre à la chute du régime di Mariella Colin (Presses universitaires de Caen, 2010). La novarese Ballario vi è citata in più di un’occasione. La più significativa, anche alla luce dell’attualità, è quella relativa al libro Nassubi, aquilotto del Tigrai. Romanzo coloniale per ragazzi (Milano, 1936; che nella scheda di cui sopra, per un refuso credo dell’editor, appare come Nassuloi ecc.). Nassubi è un bimbo abissino che la guerra separa dalla famiglia. Ferito, viene raccolto e curato da missionari italiani. La sua storia è sintetizzata dalla Colin in questo modo (pp. 283-284): “Nassubi scopre il Dio dei Bianchi e la cultura europea; comprende che quella civiltà è superiore e che l’Etiopia sarà prospera soltanto (e qui seguono le parole della Ballario) . Il ragazzo apprende però che suo padre è stato fucilato per avere ucciso un ufficiale italiano, ritorna dunque al villaggio per fare vendetta: il compito che gli viene assegnato è quello di spiare gli italiani e di riferirne le mosse al suo popolo. Nassubi accetta, ma poi non ce la fa a tradire persone della stessa nazionalità di quelle che lo hanno curato quand’era ferito. E fin qui l’evolversi dei fatti è psicologicamnte comprensibile, se non che il romanzo si conclude con l’uccisione del fanciullo, “un piccolo selvaggio che aveva imparato ad amare l’Italia” (sono parole della Ballario), proprio da parte dei suoi compatrioti, ancora allo stato di “selvaggi”. Il libro è del 1936 e si comenta bene da sé. Nel 1938 Pina Ballario vince il Premio Bologna per la letteratura dedicata alla gioventù con una storia sulla spedizione di Fiume.



Del 1941 è Quartiere Corridoni. Libro di lettura per la II classe delle scuole dei centri urbani (Roma, 1941).  Protagonista è una famiglia numerosa e fedelissima al regime. Nel libro, nota la Colin (pag. 332), “la novità è la presenza della guerra mondiale, che serve da sfondo a molti aneddoti che danno al conflitto armato una colorazione infantile: un barboncino, nascosto sulla nave, segue il padrone in Albania; una bambola, trovata per terra e riportata in Italia da un padre soldato, serve per parlare della guerra di Grecia. Sulla penisola, la guerra si manifesta in modo diverso: il maestro spiega agli scolari che, a causa del razionamento, i pasti serviti alla mensa della scuola sono meno variati, ma sempre ugualmente sani e nutrienti…”  Le illustrazioni del libro sono di Bruno Angoletta, l’autore di Marmittone per il Corriere dei Piccoli, ma qui ci appaiono meno vivaci, meno ironiche, molto statiche e rigide. Tornando alla nostra Ballario: la sua attività di scrittrice è fertilissima, pubblica pressoché ininterrottamente dal 1924 al 1984, viene ugualmente premiata dal regime fascista prima e da istituzioni della Repubblica nata dalla Resistenza poi. E non perché abbia scritto, la Ballario, prevalentemente di argomenti “neutri” (il solo suo libro per così dire “neutro” raccoglie le leggende delle Dolomiti ed è ancora in commercio), ma perché ha sempre scritto opere organiche ai governi in carica. Quand’ero bambina, ad esempio, era altamente raccomandato L'erba cresce d'estate. Storia della Repubblica dell'Ossola (Firenze, 1962, Premio Piemonte 1965); l’idea che all’epoca mi ero fatta dell’autrice - e che mantenni a lungo - era che fosse donna della Resistenza. E’ un caso complesso, dunque, quello della Ballario, che mi propondo di approfondire. Per ora un gigantesco grazie a Mariella Colin ed al suo libro (del quale pure mi propongo di parlare ancora) che mi ha fatto ripensare alla scrittrice novarese e a tante altre cose sui libri per ragazzi nella storia e sempre.

Mariella Colin. Les enfants de Mussolini, Presses Universitaires de Caen 2010 

sabato 6 agosto 2011

Te lo dico, è sparito del tutto...

Te lo dico, è sparito del tutto, ma proprio del tutto, il dottore di una volta che curava tutte le malattie: ora ci sono soltanto gli specialisti e si fanno tutti pubblicità sui giornali. Ti fa male il naso, ti spediscono a Parigi: "Là, dice "uno specialista europeo cura i nasi". "Arrivi a Parigi, ti visita il naso: "Vi posso curare solo la narice destra" dirà "perché non curo le narici sinistre, non è la mia specialità; andate a Vienna, là c'è uno specialista speciale che finirà di curarvi la narice sinistra". Che fai? Sono ricorso ai metodi naturali: un dottore tedesco mi ha suggerito di strofinarmi nel bagno con miele e sale. Io, unicamente per andare una volta di più al bagno, ci sono andato: mi sono sporcato tutto, ma nessun giovamento. Disperato scrissi al conte Mattei a Milano: mi ha spedito un libro  e delle gocce."
Da I fratelli Karamazov, di F. Dostoevskij, Mondadori, 1994. Trad. di Paola Cotta

Il diavolo, Spazio Teatro 89, Milano

venerdì 5 agosto 2011

A proposito di Giona, di Alexander Langer

"E' un tempo, questo, in cui non passa giorno senza che si getti qualche pietra sull'impegno pubblioco, specie politico. Troppa è la corruzione, la falsità, il trionfo dell'apparenza e della volgarità. Troppo accreditati i finti rinnovamenti, moralismi abusivi, demagogia e semplicismo. Troppo evidente la carica di eversione e deviazione che caratterizza mansioni che dovevano essere di estrema responsabilità. Troppo tracotanti si riaffacciano durezza sociale, logica del più forte, competizione selvaggia. Davvero non si sa dove trovare le risorse spirituali per cimentarsi su un terreno sempre più impervio. Non sarà magari più saggio abbandonare un campo talmente intossicato da non poter sperare in alcuna bonifica, e coltivare - semmai - altrove nuovi appezzamenti, per modesti che siano?
O dobbiamo forse riandare alla storia di Giona, precettato per recarsi a Ninive, a raccontare agli abitanti di quella città una novella pesante e sgradevole, tanto da indurlo alla diserzione, imbarcandosi sulla prima nave che andava in direzione lontana e contraria pur di non protare il messaggio? Sappiamo com'è andata a finire: la tempesta, il rischio di naufragio, Giona scoperto, identificato come causa dell'ira degli elementi e gettato dalla nave, inghiottito dal pesce enorme e riportato esattamente là dove aveva abbandonato e doveva quindi proseguire il suo compito."

Alexander Langer, Il viaggiatore leggero. Scritti 1961 - 1995, Sellerio 2011 (pag. 397)

martedì 2 agosto 2011

Morte apparente, di Thomas Enger

Il romanzo, pur attraverso “l’invenzione”, testimonia spesso realtà tangibili; avverte su pericoli magari non ancora evidenti ai più; analizza frammenti della società nascosti, ma insidiosamente operanti. E’ stato il caso di Stieg Larsson, che in Svezia lottò attivamente contro i rigurgiti neonazisti – forse sottovalutati – fin dal 1995 e ora, alla luce della recente abominevole strage di Oslo, intravediamo un monito contro il razzismo e il fanatismo anti-islamico anche in questo Morte apparente di Thomas Enger. Il romanzo, un giallo a tutti gli effetti, inizia con il ritrovamento del cadavere di una fanciulla ventitreenne, norvegese, uccisa per lapidazione. Le indagini si indirizzano subito verso il fidanzato di lei, un pachistano: che si tratti di shari’a? Di punizione per una vera o presunta infedeltà della giovane donna? Henning Juul, giornalista, non ne è completamente convinto e indaga a fondo. Indaga tra i familiari del fidanzato, nella scuola della vittima, tra le organizzazioni criminali e dedite allo spaccio. La realtà gli si rivelerà ben più complessa di quanto gli elementi iniziali dell’indagine facessero sospettare. E il pregiudizio razzista, presente tra persone giovani ed apparentemente insospettabili nonché pago di chiudere senza tanti approfondimenti l’indagine, sarà da lui svelato, se non sconfitto. Il libro è un thriller come si deve, di avvincente lettura, non un pamphlet contro il razzismo, il neonazismo, la xenofobia; è stato pubblicato in Norvegia nel 2010 (e fosse stata solo invenzione!). Tuttavia, pur implicitamente, avverte il lettore sensibile ed attento di un pericolo: il pericolo del razzismo in un’Europa che pensavamo definitivamente convinta paladina dei diritti dell’uomo, di tutti gli uomini. Per chi vuole approfondire, al di là del romanzo, la realtà, indichiamo che sul sito de L’ESPRESSO si trova una mappa dei movimenti neonazisti, xenofobi e razzisti in Europa e in Italia:


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/neonazisti-xenofobi-e-razzisti-ecco-dove-cresce-il-virus/2157377/11

Thomas Enger, Morte apparente, Iperborea 2001

sabato 2 luglio 2011

Giulia Colbert di Barolo marchesa dei poveri, di Angelo Montonati

Dopo la monumentale biografia documentaria scritta da Ave Tago (Giulia Colbert di Barolo, madre dei poveri, Libreria Editrice Vaticana 2007) ci voleva coraggio ad affrontare di nuovo il tema della vita e delle opere della marchesa di Barolo. Angelo Montonati ha avuto questo coraggio. Esce ora dunque un nuovo volume di oltre duecento pagine che racconta la vita di questa donna straordinariamente lungimirante e generosa a partire dall'infanzia travagliata degli anni della Rivoluzione francese, attraverso il passaggio dalla corte di Napoleone, il matrimonio con Tancredi di Barolo, l'amicizia con Cavour e con Lamartine, fino alle battaglie per la restituzione della dignità alle donne carcerate e devianti, alla fondazione di asili infantili e di case per l'educazione di ragazze a rischio. "Una delle caratteristiche di Giulia era la capacità di stare sempre con le antenne tese, per captare ogni segnale che le venisse dalle aree del bisogno", afferma l’autore, e racconta di quando, di passaggio a Recoaro per le cure termali, la marchesa notò in una sala di quel Comune numerosi utensili da cucina in rame sequestrati a famiglie bisognose che non avevano potuto pagare le tasse e si affrettò a pagarne il riscatto. Tutto nel più rigoroso anonimato, per non essere ringraziata, perché - era una sua convinzione - chi ha avuto di più deve dare, "restituire" diceva, di più.


Angelo Montonati, Giulia Colbert di Barolo. Marchesa dei poveri, Paoline 2011

martedì 14 giugno 2011

La glorie de mon père, di Marcel Pagnol

"Sono nato nella città di Aubagne, sotto il Garlaban incoronato di capre, al tempo degli ultimi caprai.
Garlaban è un'enorme torre di rocce blu, piantata sul bordo del Plan de l'Aigle, immenso altopiano roccioso che domina la verde vallata dell'Huveaune.
La torre è un po' più larga che alta: ma, poiché esce dalla roccia a seicento metri di altitudine, si eleva molto alta nel cielo di Provenza e spesso una nuvola bianca di luglio va lì a riposarsi un momento.
Non è dunque una montagna, ma non è più una collina: è Garlaban, dove gli esploratori di Mario, quando videro, nel profondo della notte, un fuoco che brillava sulla mantagna Sainte Victoire, accesero un fuoco di sterpaglie: quell'uccello rosso volò di collina in collina nella notte di giugno e, posandosi infine sulla rupe del Campidoglio, annunciò a Roma che le sue legioni di Gallia avevano trucidato, nella piana di Aix, i centomila barbari di Teutobocuhs.
Mio padre era il quinto figlio di un tagliatore di pietra di Valréas, vicino a Orange."

La gloire de mon père, la cui prima edizione risale al 1957, è la storia dei primi anni d'infanzia di Pagnol (1895 - 1974), scrittore, drammaturgo e cineasta francese. Il libro, la cui stesura l'autore iniziò dopo l'elezione all'Académie Française, è il primo della serie dei "ricordi d'infanzia". Dopo un'introduzione dedicata alla storia di famiglia, il romanzo narra una mitica estate in collina, durante la quale Marcel e il fratellino Paul scoprono cortili brulicanti d'insetti, boschi avventurosi, monti e vallate, libertà dei giochi all'aperto. E tutto è narrato con lo stupore ed il candore dell'infanzia, quando dietro ogni albero si cela un'avventura, ogni adulto a cui si vuol bene è un gigante meraviglioso e invincibile.

venerdì 6 maggio 2011

Il libro selvaggio, di Juan Villoro

"Il lettore migliore non è quello che legge più libri, ma colui che trova più cose in quello che legge"

Possiamo considerare questa frase, presente già in copertina, l'assunto principale del romanzo, tutto giocato dentro una biblioteca immensa e strana, frutto del collezionismo librario di un personaggio alquanto bizzarro, lo zio Tito. Zio di chi? Di Juan, ragazzino un po' goffo che, in seguito alla separazione dei genitori, dovrà trascorrere un'estate con lui. Tito è alla ricerca, da anni, di un libro che gli sfugge, il libro selvaggio, appunto. E', questo, un libro speciale, che si lascia trovare solo da lettori altrettanto speciali e Tito è convinto che proprio Juanito, suo nipote, possieda tale qualità. Juanito, secondo Tito, appartiene ad una specie rara: è un lettore princeps. La ricerca è lunga e non priva di ostacoli, perché i libri sono vivi, si nascondono ai tuoi occhi o ti vengono incontro; perché i libri sono mutevoli: narrano a lettori diversi storie diverse...

Alcune citazioni:
"Una biblioteca non deve essere letta da cima a fondo, ma consultata. I libri sono qui per ogni evenienza" p. 38
"I libri si muovono da soli, ti cercano o ti sfuggono" p. 35
"La differenza tra un presuntuoso e un saggio è che il presuntuoso apprezza solo quello che già sa e il saggio cerca quel che ancora non conosce" p.38
"Ogni libro è come uno specchio: riflette quello che pensi. Non è la stessa cosa se lo legge un eroe o se lo legge un cattivo. I grandi lettori aggiungono qualcosa ai libri, li rendono migliori" p. 68

                       .... e così via, fino alla fine della storia.

Jaun Villoro è uno scrittore e giornalista messicano (cfr. http://es.wikipedia.org/wiki/Juan_Villoro)

Juan Villoro, Il libro selvaggio, Salani 2010

sabato 30 aprile 2011

Lo stivale di Garibaldi, di Marco Pizzo

"Se si consente che la fotografia supplisca l'arte in alcune sue funzioni, in breve essa l'avrà soppiantata e corrotta", scriveva Charles Baudelaire. Era l'epoca della fotografia nascente, tecnica, artigianato ma non ancora autonoma forma d'arte ed il dibattito ferveva. Ma intanto, fin da subito, la fotografia fu utilizzata per documentare, descrivere, ricordare, criticare, immortalare. Così anche per il nostro Risorgimento. Dalla Roma ferita del 1849 ai ritratti della famiglia reale, il libro di Pizzo racconta gli eventi risorgimentali attraverso le fotografie, svelando anche storie di falsi, come quello del ritratto di Garibaldi ferito al piede in Aspromonte (al posto del generale posò un sosia). E che dire dei Mille, immortalati uno per uno in piccole fotografie formato tessera, quasi a rendere la loro impresa due volte immortale?
Un bel libro, da sfogliare ed assaporare con calma, eloquente più di una lezione di storia, coinvolgente come un romanzo.

Marco Pizzo, Lo stivale di Garibaldi. Il risorgimento in fotografia, Mondadori 2011

mercoledì 13 aprile 2011

Il corpo che siamo, di Pietro Prini

"Ho detto più sopra che la 'preoccupazione possessiva' è una condizione costitutiva ed inautentica della nostra esistenza nel mondo. Perché inautentica? In realtà alla sua origine sta il fraintendimento inevitabile del rapporto che abbiamo con il nostro corpo. Essere il nostro corpo significa assumerlo come la struttura della nostra soggettività, e tuttavia il suo essere oggetto, anatomicamente, fisiologicamnte, socialmente constatabile, ci conduce a comportarci con esso come con gli oggetti o beni dei nostri bisogni vitali o culturali. L'ambito dello psichico si articola inestricabilmente con l'ambito dell'economico. Di qui deriva che l'uomo è l'unico essere che può rifiutare se stesso, che può dire di no alla vita e non soltanto anticipare le tecniche della sua fine, come avviene, secondo gli etologi, nel cosiddetto 'suicidio' di alcuni animali" (p. 99)
Il corpo che siamo fu pubblicato nel 1991, vent'anni fa. Si compone di dieci capitoli che, a partire da considerazioni sullo sviluppo della scienza (Galileo, Darwin), ma anche su antichi miti, affronta i seguenti temi: bioetica, desiderio e bisogno, piacere e gioia, lavoro, cattiva coscienza del tempo libero, l'abitare e l'edificare, la qualità della vita, imperatività della coscienza morale.
L'occasione della rilettura di questo libro viene dal recente convegno "Pietro Prini filosofo e uomo" (vedi http://www.pietroprini.org/), organizzato dalla Società Filosofica Italiana-Sezione del Verbano Cusio Ossola.

Pietro Prini, Il corpo che siamo, SEI 1991.

martedì 8 marzo 2011

Il corpo-persona della donna


L'8 marzo commemora le 129 operaie della Cotton di New York, rinchiuse dal padrone in fabbrica durante uno sciopero e morte in un incendio appiccato dolosamente nel 1908. Nella nostra Repubblica fondata sul lavoro, come afferma la Costituzione in vigore che non vogliamo né dimenticare né cambiare, che significato dare alla festa della donna?


Ricordo le prime commemorazioni dell’8 marzo, anche qui in un paese assai chiuso della periferia del Nord. Ne aveva introdotto l’abitudine un’amica che aveva quasi gli anni di mia madre, da poco trasferita da Milano. Ciclostilammo qualche centinaio di copie di un minuto giornalino con la storia della Cotton ed altre notizie, relative soprattutto alla salute delle donne e delle madri e l’andammo a distribuire dinnanzi a due fabbriche di confezioni femminili che ora non esistono più. L’amica, che aveva qualche entratura, fece arrivare un camper medico per eseguire gratuitamente il pap-test, allora visita quasi sconosciuta, a chi volesse sottoporsi; riuscì a far aprire presso locali comunali il consultorio pediatrico per un paio d’ore la settimana. Insieme ad altri inaugurammo in biblioteca un corso finalizzato al conseguimento della licenza media agli adulti che non la possedevano; e vi partecipò anche qualche uomo. Era la prima metà degli anni Settanta, l’Italia aveva davvero fervore di dignità, di uguaglianza, di conoscenza se questo fervore era giunto fin qui, in un piccolo paese.

E ora, dunque, come festeggiare l’8 marzo contro la barbarie che avanza?

Difendendo la Costituzione Italiana, certo; difendendo i principi della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo; difendendo il lavoro, la cultura, la ragione. Se rifletto, però, sull'immagine di donna che i media (pubblicità, spettacolo eccetera) ci propongono, devo constatare che l'immagine femminile è molto svilita. Addirittura alle bambine si additano modelli di donna sottomessa, legata solo alla “costruzione” della propria immagine esteriore, molto omologata alla moda corrente, da sottoporre costantemente al trucco, perfino al "ritocco" chirurgico estetico. Il corpo femminile, in questi casi e contrariamente alla prima apparenza, non è affatto valorizzato (sessualità, maternità, bellezza), ma reso oggetto di scambio, fatto merce in concorrenza con altre merci. Il corpo della donna è corpo umiliato, è corpo violato. Contro queste espressioni di grande decadenza civile e morale, bisogna dunque ripartire dal corpo della donna. E bisogna abbandonare il dualismo nel quale esso viene smembrato: corpo come oggetto di conseguimento del piacere sessuale (quello che si compra, si vende, si “lavora esteticamente”); oppure corpo come sede generatrice di figli, per sé o per il coniuge (quello che si “tutela”); ed entrambi sottratti all’unità profonda e all’unicità irripetibile del corpo-persona. Lo smembramento (una versione aggiornata della “vecchia” suddivisione schizofrenica delle donne tra madri, vergini e prostitute) è opera di propaganda politica o ecclesiastica, così martellante, però, da avere assunto i connotati di una vera e propria visione del mondo anche comunemente, tra la gente.

Il corpo è ciò che noi siamo - anche le più alte facoltà razionali, artistiche, letterarie, morali sono facoltà del corpo e nel corpo, come ci ha insegnato la scienza -. Il corpo, dunque, deve ritrovare la propria libertà e la propria sacralità. Come il corpo del neonato appena uscito dall’utero, come il corpo del morto preparato per scomparire nella terra o nel fuoco, il corpo della donna (e, insieme, dell’uomo) deve essere restituito alla propria nobiltà ed alla propria bellezza in ogni età della vita. Avete notato quanto spesso, quando si riproduce il quadro di Klimt “Le tre età della donna”, si elimina la vecchia riprodotta a sinistra? E’ il sintomo di un momento storico, il nostro, votato all’apparenza, al consumo, senza distinzione tra “prodotti” manufatti dall’uomo, viventi della natura animale e vegetale, e corpi umani. Il corpo-persona della donna sede di diritti ad ogni età, il corpo-persona della donna restituito alla dignità ad ogni età, il corpo-persona della donna sede di piacere e di bellezza in sé e per sé e non il corpo artefatto da esporre, da esibire, da “valorizzare” anche economicamente e strumentalmente, è il corpo-persona in festa dell’8 marzo. Certo, questo è un obiettivo, un utopico obiettivo per donne ed uomini, non certo la realtà dei nostri giorni.
Come ci si incammina verso questo utopico obiettivo? Con l’educazione, credo, con la testimonianza, con l’onestà, con l’esercizio della ragione, che sta dentro il corpo ed è la stessa per donne ed uomini. Ci si incammina come formiche contro il possente muro del potere, del profitto e dei media loro asserviti; ma le formiche possono fare lunghissime file, scavare grandi cunicoli, intaccare ampie fondamenta. Buon 8 marzo.

Eleonora Bellini

Una lettura (della quale parleremo prossimamente): Pietro Prini, Il corpo che siamo, SEI 1991

giovedì 17 febbraio 2011

Una biblioteca Per Renzo e Lucia. Intervista.

"Abbiamo conosciuto la  Biblioteca Marazza di Borgomanero, qualche anno fa, quando, invitati da Eleonora Bellini, sua attiva e impegnata direttrice, abbiamo presentato, nel corso di alcune giornate Nati per Leggere, la nostra casa editrice davanti a un pubblico numeroso e attento. Il luogo ci ha colpiti: una villa settecentesca al centro di un bellissimo parco...."
Per continuare a leggere...
http://topipittori.blogspot.com/2011/02/una-biblioteca-per-renzo-e-lucia.html

martedì 15 febbraio 2011

Il congresso, di Libero Bigiaretti

Direttore dell'ufficio stampa dell'Olivetti a Ivrea, fondatore a Roma del Sindacato Nazionale Scrittori, Libero Bigiaretti narra in questo romanzo le brevi giornate di un congresso, ma anche la storia dell’incontro del protagonista con una donna, Anna.
“... Anna pretende che mi accorsi di lei subito, come se ne fossi stato colpito. Invece l’ho scoperta, trovata, soltanto in una successiva occasione, molto tempo dopo. Sia lei che io, al secondo incontro, che abbiamo voluto considerare memorabile, siamo stati presi da quella strenua avidità di ricercare coincidenze e antecedenti cui si abbandonano gli innamorati, e abbiamo ricostruito una fitta serie di altri incontri mancati per poco...”
Nei pochi giorni del congresso nasce un amore più che spontaneo determinato, voluto, quasi deliberatamente perseguito dal protagonista: attrazione e trasgressione, interrogazione sulla vita presente, sguardo sulla vita possibile.
Alla storia dei due amanti si intreccia la cronaca degli incontri congressuali. All’interno di questa è memorabile il discorso del protagonista, provocatorio ed ardente, teso a mettere a nudo le ipocrisie della politica aziendale “ illuminata” del tempo: “... le nostre teorie sul tempo libero, ad esempio, erano niente altro che una sofisticata mistificazione dell’intenzione padronale di prolungare il proprio intervento e la propria influenza ideologica, oltre che economica, di là dal tempo della prestazione lavorativa. A questo solo criterio rispondevano, in effetti, secondo me, i servizi sociali, le biblioteche di fabbrica, i circoli culturali...”. E a motivo di questo discorso si trova spesso il romanzo citato come “opera che affronta il problema del rapporto tra intellettuale ed operaio”. Ma è pur vero che lo stesso protagonista afferma, all’esordio della sua prolusione pubblica: “sentii insorgere in me la tentazione di parlare per Anna, come se gli altri non ci fossero”. Il romanzo affronta dunque anche il tema del rapporto amoroso, scava tra le sue pieghe, dalle più romantiche alle più prosaiche.
Chi riesce a trovare questa o altre opere di Bigiaretti potrà rileggere con piacere una bella prosa, potrà assaporare gli scritti di un intellettuale intelligente, che meriterebbe di essere maggiormente ricordato.


   Libero Bigiaretti, Il congresso, Bompiani 1963

venerdì 4 febbraio 2011

E' non è, di Marco Berrettoni Carrara e Chiara Carrer



C’è in questo libro una foto di famiglia con bambini, genitori, nonni, zii e perfino il cane. C’è nella foto anche Sara, che fa parte della famiglia, ma non assomiglia a nessun altro. Sara non è uguale. Sara è speciale: “è silenziosa come un gatto, rumorosa come il traffico, imprevedibile come il tempo, invisibile come un respiro, sensibile come una foglia... è come un rebus, un enigma, un labirinto”.
Sara si aggira tra le pagine del libro talvolta grigia come un’ombra, talvolta trasparente come l’aria. Si confonde con il decoro della parete, con le decorazioni floreali della tappezzeria. Abbraccia con forza e con gioia, si distrae e guarda lontano, forse il cielo.
L’albo è illustrato da Chiara Carrer, una delle più originali e conosciute illustratrici italiane, vincitrice nel 1999 del Premio Andersen – Il mondo dell’infanzia.
L’editore presenta questo libro come “approssimazione poetica vicina ai disturbi dello spettro autistico”. E’ così, perché il libro può essere utile agli educatori, ai genitori, agli stessi bambini per entrare un poco in un mondo chiuso e difficile. Ma è anche un albo da leggere per il piacere delle similitudini e delle invenzioni verbali, efficaci eppure misurate, e per il piacere delle immagini, interni quotidiani tracciati, delineati, composti da mani esperte ed arricchiti e mossi da sentimenti ed interrogativi bambini.
Marco Berrettoni Carrara e Chiara Carrer, E' non è, Kalandraka Italia 2010

lunedì 24 gennaio 2011

Une jeunesse au temps de la Shoa, di Simone Veil

Simone Jacob vive a Nizza con i genitori - il padre è un celebre architetto parigino trasferitosi nel Midi di cui intuisce le potenzialità turistiche ed urbanistiche - le due sorelle e il fratello Jean. E' la figlia minore di una famiglia ebrea laica, molto integrata nella società e molto legata alla cultura del suo Paese. Quando scoppia la guerra in Francia, nel 1939, Simone è ancora bambina, ma già intuisce che questo evento, all'inizio poco percepibile nella vita quotidiana, potrà volgere in tragedia. Anche se Nizza in quel momento si trova in zona libera, anche se in seguito, sotto l'occupazione italiana, non conoscerà l'accanimento antiebraico che contraddistinguerà l'occupazione tedesca, la situazione di pericolo diviene man mano sempre più pressante. E infatti, a partire dallo statuto del 3 ottobre 1940, che proibisce agli ebrei di esercitare alcune professioni, fino all'obbligo di farsi registrare del 1941, la vita della famiglia diviene sempre più precaria e più insicura. Comincia così un periodo in cui figli e genitori vivono separati, in case diverse, presso amici e sono costretti a procurarsi documenti falsi. Ciò non basterà a salvarli dalla deportazione. Simone, la madre e la sorella Milou vengono internate ad Auschwitz.
"... ci adattavamo all'orrenda atmosfera che regnava nel campo, l'odore pestilenziale dei corpi bruciati, il fumo che sempre oscurava il cielo, il fango dovunque, l'umidità penetrante della palude. Oggi quando si torna su quel luogo, nonostrante l'arredo delle baracche, le torrette di guardia, il filo spinato, quasi tutto ciò che era Auschwitz è scomparso. Non si vede ciò che avvenne in quei luoghi e non si riesce ad immaginarlo. Il fatto è che nulla può dare la misura dello sterminio di milioni di esseri umani, condotti lì da ogni angolo d'Europa" (pp. 79-80).
Simone sopravviverà al campo di sterminio. Tornata in Francia si sposerà giovanissima - da allora prenderà il cognome del marito Antoine Veil - e intraprenderà la carriera di magistrato prima e quella politica poi. Sarà la prima presidente del Parlamento europeo. Ora è anche accademico di Francia.
Questo libro è un'edizione francese per ragazzi e giovani, molto economica e ben annotata; contiene i primi quattro capitoli dell'autobiografia Une vie (Stock).

Simone Veil, Une jeunesse au temps de la Shoa, Stock (Le livre de Poche) 2010.

sabato 8 gennaio 2011

Costumes d'enfants, miroir des grands

Chiuderà fra pochi giorni la mostra Costumes d'enfants, miroir des grands al museo Guimet di Parigi. Un agile opuscolo, supplemento della rivista artabsolument, e un ricco catalogo (qui ne riproduciamo le copertine) illustrano l'inedita e coinvolgente esposizione di abiti e di altri capi di abbigliamento infantile (cappellini, bavaglioli, calzette, babbucce...) delle società asiatiche antiche. La mostra propone aspetti poco noti dell'arte tessile asiatica tradizionale, ma soprattutto rivela al visitatore occidentale significati culturali, rituali, sacrali presenti nell'abbigliamento infantile orientale - naturalmente per quanto riguarda le classi privilegiate di quelle società. I capi esposti testimoniano le usanze ancestrali della Cina  e dell'India, fino a quelle della Corea, del Pakistan, del Giappone e offrono a chi li guarda un tripudio di colori, di raffigurazioni realistiche o stilizzate, di filati luminosi come le sete, preziosi come gli ori, fatati come gli specchi. La mostra costituisce anche l'omaggio del museo a Krishna Riboud, appassionata collezionista di tessuti orientali, "...che nel suo appartamento dell'avenue de Breteuil a Parigi stabilì la sede dell'associazione per lo studio e la documentazione dei tessuti asiatici" ricorda Aurélie Samuel, responsabile della mostra, in un'intervista.
La presentazione in francese, corredata da immagini di qualità, capaci di rendere con fedeltà le caratteristiche degli oggetti riprodotti, si può leggere qui http://www.guimet.fr/costumesdenfants/01-presentation.html: un'occasione di visita virtuale per chi è lontano e non può recarsi a Parigi entro il 24 gennaio.

Costumes d'enfants, miroir des grands. Hommage a Krishna Riboud, supplemento di artabsolument, trimestrale, Paris 2010.
Costumes d'enfants, miroir des grands. Hommage a Krishna Riboud, catalogo della mostra, Edizioni RMN, Paris 2010