giovedì 31 marzo 2022

Ora dimmi di te. Lettera a Matilda, di Andrea Camilleri

Lunga lettera dello scrittore indirizzata alla nipotina di quattro anni, in cui ripercorre i momenti più significativi della sua lunga esistenza, inserendola nella storia d’Italia cui dà ampio spazio, dagli anni del fascismo ai nostri giorni. Camilleri si sofferma su episodi importanti della sua vita di ragazzino delle elementari, di adolescente del liceo e di studente universitario. Avrebbe voluto frequentare l’Università a Firenze ma, nel 1943, a causa degli eventi bellici, fu costretto a rimanere a Palermo a malincuore, perché aveva amici in Toscana che lo avevano aiutato e soccorso in una particolare circostanza. Al raduno internazionale della gioventù nazifascista nel 1942 venne esposta solo la bandiera nazista, il giovanissimo Camilleri osò fare l’osservazione ad alta voce e, all’uscita dal teatro, Alessandro Pavolini gli assestò un violentissimo calcio per cui gli fu necessario recarsi in ospedale. Quell’episodio segnò la scelta politica dello scrittore per gli anni futuri.

Terminati gli studi, il suo primo desiderio era quello di diventare lettore di italiano in una Università straniera di lingua francese, sogno negato a causa di un diverbio con l’insegnante con cui sostenne un esame importante: ebbe un voto basso, gli occorreva il massimo. Iniziò ad interessarsi di teatro, per alcuni anni visse di espedienti, come venditore di libri, fino a quando entrò in RAI per sei mesi e lì rimase fino agli anni della pensione con incarichi sempre diversi, molte soddisfazioni e sicurezza economica. Camilleri si riteneva fortunato nonostante il suo carattere difficile, la sua personalità aliena da compromessi, anche per merito della moglie Rosetta a cui era molto legato.

E venne il giorno in cui il teatro non gli bastò più, riemerse l’antica passione per la scrittura e scrisse romanzi. Nessuno però glieli pubblicava a causa della mescolanza linguistica: italiano e dialetto siciliano. Così per dieci anni. Un amico gli fece conoscere la casa Editrice di Elvira Sellerio, ci fu intesa culturale. Pubblicò il romanzo poliziesco La forma dell’acqua, protagonista Salvo Montalbano. Fu un successo, un grande successo.


Che cosa ha imparato dalla vita Camilleri? Lo scrive in poche parole: “il lupo non è cattivo, due più due non fa quattro, a volte tre, a volte cinque”. Sono queste delle espressioni simboliche che comunicano la necessità di superare gli stereotipi e di allargare la visuale del pensiero considerando la realtà in tutta la potenzialità dell’essere. Una raccomandazione rivolge alla nipotina: non giudicare gli altri in modo assoluto, si può sempre sbagliare. E’ bello avere un ideale e sostenerlo, ma è opportuno confrontarsi anche con le idee altrui. Che cosa dice la nipotina al nonno? E’ un loro segreto. Il romanzo termina con il titolo Ora dimmi di te.

Anna Maria Pastore

Andrea Camilleri, Ora dimmi di te. Lettera a Matilda, Bompiani 2018


Per Mario Lodi 3. Favole di pace

Ed eccoci ancora qui a parlare di pace, un'utopia o, meglio, una realtà fondamentale, per gli esseri umani e la terra tutta, che pensavamo ormai acquisita. Ma il genere umano non si comporta quasi mai in modo razionale e fraterno. Leggiamo allora, ancora, queste quattordici storie, in prosa e qualche volta in rima, di Mario Lodi che raccontano la pace e ripudiano la guerra. Il libro è scritto con caratteri ad alta leggibilità, che è un modo concreto di creare accoglienza per tutti. 

Che cosa raccontano queste storie? Cose importanti, ma anche allegre e sorridenti. Ne "Il cambiateste", ad esempio, incontriamo un chirurgo che si rifiuta di usare la prodigiosa macchina cambiateste a fini di guerra e la distrugge. La storia di Antenna è una storia di riciclo, un po' triste a un certo punto, ma ricca di speranza. Incontriamo poi un lupo per nulla malvagio, amico dei bambini e amante della libertà. 

Ne "La strabomba", c'è Padron Palanca che nella sua strafabbrica costruisce appunto "la strabomba e poi aerei, carri armati, fucili e tutto quello che occorre per fare una grande guerra. E vende tutto al re per cento stramilioni. Il giorno della guerra il popolo, in piazza, guarda sul maxischermo il re e il generale Palanca". Arriva l'ordine di sganciare la strabomba su una città dove c'è gente che lavora e bambini che giocano. Il pilota non pensa che quelli siano "i nemici". Nonostante gli ordini del re, sempre più furente, non sgancia la bomba e segue la volontà del popolo e dei soldati a terra che gridano tutti insieme a gran voce: "NO!". Ecco: ora sappiamo che cosa dobbiamo fare anche noi. 

Mario Lodi, Favole di pace, Edizioni Terrasanta 2020. Disegni di Desideria Guicciardini

mercoledì 23 marzo 2022

Casa di luna, di Eleonora Bellini e Maria Mariano

Tina e Renato, sorellina e fratellino, trascorrono il lungo tempo delle vacanze costruendosi una casetta di cartone sul balcone. Ci mettono tutto ciò che necessita: la porta, le finestre il tetto rosso, il fumo nero che esce dal camino e, su in alto, la luna appesa a un filo. Quando si fa sera i due piccini entrano in casa dove i loro comodi lettini li attendono. Ma c'è qualcuno che non ha la casa: è l'uomo solo, il senzatetto della stazione.

I bambini devono sentirsi sicuri nelle loro case, reali o per gioco, ma come spiegare loro che non per tutti è così? Questa storia in rima prova a farlo, con delicatezza e attenzione. Chi acquista l'albo può richiedere all'editore una scheda guida che aiuta gli adulti a parlare ai più piccoli di "cose difficili". 

Ha scritto Pino Boero: "Poesie e filastrocche, romanzi e saggi hanno accompagnato l'attività di Eleonora Bellini e le hanno consentito di guardare con maggior attenzione al mondo della produzione e dell’editoria per bambini e ragazzi: in questo albo è la storia brevissima in versi di Tina e Renato che costruiscono, per giocarci, la loro casetta di cartone e forse non sanno che qualcuno da un’altra parte nel cartone ci dorme davvero… Ancora una volta impegno e leggerezza “viaggiano” insieme…"

Eleonora Bellini e Maria Mariano, Casa di luna, Edizioni il Ciliegio 2019

Quarantena, di Petros Markaris

Torna in questi racconti il commissario Kostas Charitos, costretto ad indagare anche in tempi di corona virus e di quarantena. Chiuso in casa, deve collegarsi con l'ufficio mediante computer, videochiamate e riunioni virtuali; tutte cose che gli sono estranee e gli causano ansia. Per fortuna, sua moglie Adriana è diventata un'esperta di collegamenti a distanza, che ha imparato ad attivare per necessità, volendo ogni giorno vedere, pur in modo virtuale, il nipotino. Nei sette magistrali racconti di questo libro non vi sono però solo le indagini del commissario. Troviamo i “tre caballeros”, tre senza tetto dai classici nomi di Socrate, Pericle e Platone, costretti a scovare a fatica qualcosa da mangiare con l'accattonaggio e la ricerca nei cassonetti della spazzatura. La Grecia, vittima della dittatura finanziaria del 2015 e già impoverita, ha ricevuto un'ulteriore batosta a causa del virus: tanti hanno perso il lavoro e con esso la casa. Tra costoro troviamo Cosmàs e Dimos che, costretti a vivere in strada, per una fortunata coincidenza sperimentano la solidarietà di un vecchio mobiliere, profugo in Grecia in tempi lontani. C’è poi Fanis Paradakos, appassionato di pittura negli anni giovanili, ma divenuto economista per obbedienza al padre. Ha fatto fortuna con un'attività alberghiera che però il coronavirus ha messo in crisi. Fanis allora, per diporto, torna all'antica passione e comincia a dipingere mascherine... L'universo di Markaris, affascinante come sempre, ci offre ritratti e momenti di vita vera in cui la solitudine si mescola all'amicizia, la tristezza alla gioia, il presente ai ricordi e alla nostalgia, la paura alla speranza.

Petros Markaris, Quarantena, La nave di Teseo 2021. Traduzione di Andrea Di Gregorio

martedì 22 marzo 2022

Le otto montagne, di Paolo Cognetti

Paolo Cognetti scrive sulla sovra copertina del libro: “Si può dire che abbia cominciato a scrivere questa storia quando ero bambino, perché è una storia che mi appartiene quanto mi appartengono i miei stessi ricordi. In questi anni quando la gente mi chiedeva di cosa parla, io rispondevo sempre: di due amici e di una montagna. Sì, parla proprio di questo.” Gli amici sono Pietro e Bruno; la montagna è il Grenon in val D’Ayas, attorno al paese di Grana. Cognetti è cresciuto in una famiglia amante della montagna, loro venivano da Lonigo e amavano le Dolomiti ma, essendosi trasferiti a Milano, lo sguardo di tutti i giorni li ha portati prima sulle montagne lombarde e poi sul monte Rosa.

MONTAGNA D’INFANZIA

Nell’estate del 1984, durante le ferie estive la famigliola approda a Grana, dove affitta una porzione di casa situata in una corte attorno ad un abbeveratoio. Rimangono per il momento madre e figlio; Pietro, gironzolando per il paese, vede un ragazzo che porta le mucche al pascolo ma pur sollecitato dalla madre a fare amicizia, se ne sta per suo conto. Un giorno, rientrando a casa, trova quel ragazzo seduto in cucina a conversare con la sua mamma. Tra i due inizia la conoscenza. Durante le giornate vanno a rovistare nelle case abbandonate, smuovono una macina, esplorano un edificio che un tempo era una scuola. E il mese di luglio va che è una meraviglia. Ad agosto arriva il papà di Pietro e incominciano le salite in montagna, su sentieri e pietraie, a volte solo loro due qualche volta anche con Bruno. In famiglia ognuno aveva le sue quote: la mamma i 1500 metri, lui i 2000, il padre le alte quote, 3000 e più. Pietro non è affascinato dalle vette, preferirebbe che la meta delle passeggiate fosse un alpeggio o un torrente. L’amicizia tra i due ragazzi è rinsaldata anche dall’affetto dei genitori di Pietro verso Bruno. Nel più bello dell’estate si viene a sapere che Bruno non ha terminato la prima media. Ciò mette in allarme la famiglia milanese, in particolare la mamma, che propone di discutere del problema con la famiglia di Bruno per far conseguire la licenza di terza media al giovane valligiano. Ma si pone poi la possibilità di una scuola superiore. Dopo un approccio apparentemente benevolo verso la questione, in cui pare che gli zii di Bruno siano condiscendenti alle proposte della famiglia dell’amico, questa s’imbatte nel padre di Bruno che non vuole sentire storie di scuole ed istruzione e anzi prende a pugni il padre di Pietro. Per un paio d’anni i due ragazzi non si frequenteranno più.

LA CASA DELLA RICONCILIAZIONE

Con chi si deve riconciliare Pietro? Deve riconciliarsi con il padre che è mancato all’improvviso e gli ha lasciato in eredità un pezzo di terra con un rustico su in alta montagna in una posizione difficile da individuare. Comunque ci sono i documenti, di non facile consultazione, ma Bruno è al corrente di tutto. E’ il mese di aprile quando i due amici salgono a vedere il posto: Pietro ansima perché non è più allenato e si guarda attorno, attento alla natura che sta per destarsi alla primavera, ma qua e là ci sono ancora chiazze di neve, e terreno fradicio, e piante divelte per effetto di una frana caduta durante l’inverno. All’interno del rudere ereditato è cresciuto un piccolo pino cembro, il pianoro è bello e il laghetto è poco distante. Pietro pensa a suo padre e all’amico Bruno. La montagna è un sapere, è educativa, ed è questo il vero lascito di suo papà. Il distacco adolescenziale dal padre, causato dal carattere spigoloso dell’uno e dall’orgoglio eccessivo dell’altro, sarà sanato attraverso la costruzione di una casa-baita con il valido aiuto dell’amico ritrovato. Nelle estati in cui Pietro andava all’estero alla ricerca di occasioni nel mondo del cinema, Bruno rimpiazzava la lontananza di Pietro aiutando, facendo amicizia, chiedendo consigli al papà dell’amico milanese, che non aveva mai disertato la val D’Ayas, anzi aveva fatto altre e più impegnative escursioni ed esplorazioni. E’ il mese di giugno e i due iniziano la costruzione su alla “barma drola” la pietra strana, la pietra bianca, secondo il progetto del papà, utilizzando anche quel che restava del cascinale addossato al grande masso. E’ un processo di avvicinamento di Pietro a suo papà, lui che aveva sfuggito le case per tutta la vita ma inseguiva il desiderio di costruirne una lassù, su quel pianoro battuto dalle slavine! Gli era mancato il tempo, sarebbe dunque toccato al figlio realizzare il progetto attraverso il lavoro da muratore di Bruno con l’aiuto di manovalanza del figlio. L’amicizia tra i due giovani e qualche escursione sulle vette poco distanti dal luogo del lavoro caratterizzano quei mesi. Lassù sulle cime c’è sempre una croce, sotto la quale c’è spesso una cassettina contenente il quaderno delle firme. La firma del padre, GIOVANNI GUASTI, non manca mai, con la dicitura: Fatta anche questa! Pietro comprende solo ora il padre, attraverso la fatica, i dettagli delle istruzioni, le cartine e le mappe che trova in casa e l’affetto dell’amico. Anche con la mamma c’è più dialogo e questa volta da parte di entrambi.

INVERNO DI UN AMICO

Questa terza parte è la più complessa: esaltazione dell’amicizia, amore per la montagna, gioie, dolori, partenze, arrivi improvvisi caratterizzano le vicende dei protagonisti e dei familiari. Tre figure femminili hanno rilievo accanto ai protagonisti: la mamma di Pietro, sempre presente, Lara ed Alice persone importanti nella vita di Bruno. La montagna è dominante, non solo il Grenon e il Monte Rosa ma anche l’Himalaya. Pietro si trova in Nepal ed è lì che avviene la scelta del titolo del romanzo “ Le otto montagne”. Incontra un nepalese che, bastoncino alla mano, disegna per terra un cerchio il cui centro è il Monte Sumeru, attorniato da otto montagne e da otto mari. E’ un simbolo per quelle popolazioni. Nel cuore di Pietro il centro è la casa, la baita costruita con Bruno su in montagna, dove d’estate incontra altri amici che salgono dalla pianura padana con i quali discute di ideali difficili da realizzare: vita in comune, consumismo limitato, possibilità di ristrutturare case abbandonate in villaggi ecologici. Bruno, che ha iniziato l’attività di allevatore e produttore di formaggio, è l’unico che, pur nelle difficoltà, e talora nelle grandi difficoltà, sta tentando di realizzare ciò che gli amici di Pietro teorizzano. Bruno ha conosciuto Lara che si è trasferita su in montagna a lavorare con lui; al sodalizio lavorativo si è aggiunto anche quello affettivo ed è arrivata anche una bimba: Alice. Bruno fa scelte d’amore e di lavoro molto generose ma molto azzardate. Si espone troppo con i prestiti alle banche. Pietro va sull’Himalaya per girare documentari nei villaggi dove si costruiscono scuole o ospedali. Ha interiorizzato di quei luoghi un’immagine colorata visibile nei panni di preghiera multicolori che lui stende fuori, sul prato antistante la casa baita. E alla domanda di Bruno: “Com’è l’Himalaya?” Pietro risponde: “Quello è il tempio originale, le Alpi sono monumenti crollati”. Pietro avverte il disagio di Bruno, ma ciò che è detto è detto. Mai come in questo momento Bruno avverte le insidie cattive dell’ambiente di montagna e l’azzardo di aver tutto lì: casa, lavoro, famiglia. Di nuovo poi ognuno va per la propria strada: chi in Nepal, chi in val d’Ayas. La mamma, la signora milanese impegnata nel volontariato, aggiorna il figlio di ciò che accade a Bruno, a Lara, alla piccola Alice, per lettera. Una di queste allarma Pietro che telefona a Bruno e decide di tornare un po’ a Grana. Lascia Katmandu a fine ottobre e a novembre piomba in valle, dove è già inverno. L’incontro con Bruno non è positivo, i due amici passano le giornate a far legna e di sera stanno in silenzio davanti alla stufa. Pietro crede di aver fatto un viaggio inutilmente e se ne torna via. Anche Lara torna suoi passi, con la piccola Alice raggiunge la casa dei genitori e riprende il lavoro all’alberghetto; lascia solo Bruno in montagna senza più l’azienda, perché fallita. Questi non ha più nulla e chiede a Pietro di usufruire della baita su alla barma drola, dove i due amici si rivedono ancora e Pietro invita in modo pressante l’amico a scendere a valle, c’è già stata l’avvisaglia di una valanga caduta vicino a casa. Il montanaro non sente ragioni e afferma “questa montagna non mi ha mai fatto male”. Così si va verso l’epilogo, drammatico ed eroico. Nell’inverno 2014 sulle Alpi occidentali c'è una nevicata eccezionale e mentre Pietro è in Nepal viene raggiunto da una telefonata di Lara: Bruno è introvabile. I cugini sono saliti a cercarlo ma non si vede più neppure la casa, tanto è alta la neve e non ci sono neppure gli sci. Il soccorso alpino ha perlustrato la zona inutilmente. Forse Bruno l’avrebbero trovato col disgelo. Sarebbe spuntato in qualche canalone in piena estate. A Pietro… “non resta che vagare per le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico.”

Anna Maria Pastore

Libri di scuola 5: Leggere per, a cura di Biancamaria Aiello, Mirella Di Bartolo, Simonetta Salacone; consulenza scientifica di Nicoletta Papini e Lydia Tornatore

Leggere per è una trilogia di libri di lettura per il secondo ciclo della scuola elementare, in uso alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta del Novecento, a cura di Biancamaria Aiello, Mirella Di Bartolo, Simonetta Salacone, con la consulenza scientifica di Nicoletta Papini e Lydia Tornatore. Come spesso accadeva in quel periodo, sia la scelta dei brani poetici e in prosa proposti ai bambini, sia il tema della lettura "a tutto tondo" rispondono a criteri alti e profondi. E la selezione degli autori antologizzati è tale che chi avesse conservato i tre volumetti fino all'età adulta potrebbe (o dovrebbe) reperire nell'indice finale i titoli delle loro opere e rileggerle con piacere in versione integrale.

Il testo dedicato alla classe terza si apre con una lunga sezione che racconta la scuola, allora spesso il primo luogo della vita sociale del bambino (pochi erano i nidi d'infanzia e la scuola materna in genere non veniva frequentata da chi aveva la mamma casalinga). Raccontano la scuola, dopo alcuni testi personali o collettivi dei bambini, Vamba e Llewellin, le poesie di Machado e di Pezzani, ma anche Albino Bernardini, il maestro di Pietralata, che narra di una gita all'Aniene con i suoi scolari. Non solo una gita, però, ma anche l'occasione per studiare gli insetti e le altre creature viventi sul greto del fiume. Sempre a tema di vita bambina, troviamo una sezione dedicata al gioco infantile, che propone testi di Twain, Lodi, Lepscky, Gatto. E poi ampie sezioni dedicate alla storia, perché "tutto ha una storia", la terra, gli animali e gli esseri umani. Qui possiamo leggere brani di Virgilio e Kipling, Ledda e Stuparich. Infine sezioni dedicate alle stagioni, un tema costante nella letteratura per ragazzi, nelle quali incontriamo Brecht, Fortini, Pascoli, Gozzano, Jimenez, Leopardi, Xuan Dieu, Chuoni Fukudu, Mohammed Fuzuli. Nel libro, infatti, trova ampio spazio la poesia, anche la poesia adulta, quella "difficile", e questo è molto interessante perché il linguaggio immediato, musicale e figurato della grande poesia ha molta presa su cuore e mente dei bambini.

Nel libro per la classe quarta l'orizzonte di lettura si amplia. Entrano i generi letterari e la distinzione tra i diversi tipi di espressione e di linguaggio: il racconto, il fumetto, il documento, le fiabe, le favole e le leggende, il giornale, la pubblicità, la poesia a cui sono dedicate ben 21 pagine, la scienza e la magia. Tra gli autori leggiamo con piacere Guillot, Carlo Manzoni, Palazzeschi, Quasimodo, Neruda, Natalia Ginzburg, Cristoforo Colombo, Hamilton, Metraux, Rodari, Antonicelli, Esopo, trilussa, Guerra e Malerba, Giulio Cesare Croce, Follereau, Sanguineti, Saba, Soldati, Garcia Lorca, Alessandro manzoni, Lee Masters, Di Giacomo, Jacopone da Todi: un florilegio invidiabile, insomma. Fra gli argomenti qui appare anche la guerra, scellerata costante della storia umana, con brani di Friedmann, Rodari, Elsa Oliva.

Il volume per la classe quinta propone - tra le sezioni dedicate ancora alle stagioni, alla vita quotidiana dei bambini in paese o in città, alla scuola, alla vita spirituale e alla fede - anche argomenti difficili, ma non elusi, anzi affidati alle voci e alle parole dei più eminenti autori: il razzismo, il lavoro, l'emigrazione, la Resistenza. Anche qui si incontrano brevi testi di scrittrici e scrittori che, come s'è ricordato, divenuti adulti i ragazzini incontreranno ancora: Russel, Chaplin, Capuana, Dolci, Manzi, Quilici, Moravia, Kerr, Levi, Silone, Jahier, Calamandrei, Éluard, Luther King, Milani, Bufalari, Bob Dylan. Calvino, Hikmet.

Non sappiamo quanto abbiano inciso e quanto siano rimaste queste letture nel ricordo intellettuale ed emozionale dei bambini che ebbero tra le mani queste pagine, ma certo le troviamo molto più interessanti e formative degli gnometti, maghetti e streghette che ci pare sovrabbondino nei libri di lettura di oggi.


lunedì 21 marzo 2022

Scaffale locale 1: La memoria è la nostra storia

Questo libro, edito dal Comune di Pella nel 2009, raccoglie saggi e documenti storici relativi a Pella, piccolo paese del lago d'Orta, in Piemonte. La finalità della pubblicazione è duplice: in primo luogo intende offrire ai residenti locali un'accurata informazione sulla storia del paese; in secondo luogo si propone di essere un biglietto da visita per turisti e villeggianti. La trattazione parte dall'antichità e dai ritrovamenti archeologici relativi alla costa occidentale del lago per poi volgersi alla memoria delle tradizioni religiose e delle peculiari devozioni locali, senza trascurare gli edifici ecclesiastici e la loro storia. Uno spazio è dedicato alle nobili famiglie del luogo, ma anche alla tradizione contadina. Pagine interessanti sono dedicate a San Filiberto, originale complesso poco fuori dal centro del piccolo paese. Nella terza e ultima parte un ampio saggio tratta dell'identità e dell'economia tra Ottocento e Novecento. Autori dei testi: A. Del Duca, F. Mattioli Carcano, S. Caldano, M. Dell'Omo, G. Porta, M. Bettoja, A. Papale, M. Tacchini, A. Marzi, P. De Gennaro, A. Vecchi, E. Valeri. 

Complesso di San Filiberto. La chiesa è la più antica della riviera occidentale del lago d’Orta, edificata intorno al XI secolo. E’ ornata da un giro di quattordici cappelle risalenti al 1794 che raffigurano la Via Crucis. Di fronte alla facciata della chiesa è posto il campanile romanico datato tra il 1075 e il 1110. 
   

lunedì 14 marzo 2022

Senza mai arrivare in cima, di Paolo Cognetti

E’ un libro di piacevole lettura di poco più di cento pagine, un ricco taccuino di viaggio in cui l’autore esprime i propri sentimenti, gli stati d’animo, le sorprese del viaggio in Himalaya con efficacia tale che il lettore si sente parte della carovana viaggiante.

Paolo Cognetti intraprende questo viaggio nel 2017 con alcuni amici tra cui Nicola e Remigio. La meta è il Dolpo località situata nel Nepal, altopiano tutto sopra i quattromila metri, non raggiunto né dai monsoni né dalle strade carrozzabili. Il gruppo in partenza da Katmandu con un piccolo aereo arriva su un pianoro; la carovana , formata da una ventina di persone e venticinque muli prende l’avvio per la spedizione. La guida è un fiero nepalese quarantasettenne , Sete, che parla italiano, fa la guida estiva sul Monte Rosa, mentre d’inverno ritorna al suo paese. Cognetti si è portato nello zaino un libro cult Il Leopardo delle nevi di Peter Matthiessen, che sarà la sua guida affettiva e culturale.

Il viaggio iniziato ai primi di ottobre è un girovagare, un saliscendi in un ambiente nuovo per alcuni componenti il gruppo. Un intero capitolo è dedicato al Bheri Koala, alla vallata del Suli Gad, all’organizzazione della giornata e al riposo della carovana. Brevi e fugaci gli incontri con la gente dei villaggi che si riducono alla pausa del the, a scambiare qualche parola e qualche frase con l’aiuto dei portatori che si fanno interpreti. Solo qualcuno parla inglese. Emergono presto le difficoltà respiratorie di cui l’autore soffre spesso, superati i tremilacinquecento metri di altitudine, che lo condizionano spesso, ma che passo dopo passo saranno mitigate dalla forza di volontà e dall’adattamento ambientale. Nei momenti difficili gli saranno di valido aiuto Remigio, l’amico montanaro e Nicola, l’amico pittore, di cui è riprodotta una tavola con disegno ad acquerello all’inizio del libro.

Mentre cammina lungo il fiume, Cognetti disegna e descrive il paesaggio: cedri dell’Himalaya, pini cembri, betulle dalle foglie ingiallite, un cumulo di grandi sassi di fiume su cui è inciso il disegno a protezione del villaggio. E il colorato sventolio dei panni di preghiera, e i piccoli luoghi di culto. Con piacere immerge i piedi nell’acqua ghiacciata del fiume che lui definisce sacro perché affluente del Gange. I gipeti, le capre e le pecore azzurre gli faranno compagnia per tutto il viaggio. E’ mancato l’incontro con il leopardo delle nevi, cui teneva molto, ma gli è giunto così vicino d’averne avvertita la presenza. Sullo sfondo le montagne dell’Himalaya, il monte Cristallo e il lago, nel variare della stagione e dei momenti del giorno sono descritti e disegnati con poesia e passione.

Anna Maria Pastore

Paolo Cognetti, Senza mai arrivare in cima, Einaudi 2018

domenica 13 marzo 2022

Piccola cara, lettere di Simone Weil alle allieve

"Il volume contiene tredici lettere scritte da Simone Weil a tre sue ex allieve di liceo, Suzanne Faure, Simone Gilbert e Huguette Baur. Simone insegnò nei licei femminili di cinque città francesi - Le Puy, Auxerre, Roanne, Bourges, Saint-Quentin - dall’ottobre del 1931 al gennaio del 1938, anche se non in modo continuativo. Dalle lettere traspare il sincero affetto dell’insegnante per le sue allieve, ma anche la sicura percezione della disparità di quello scambio epistolare. La Weil non si sottrae mai al suo ruolo di adulta e di educatrice e si dimostra lucidamente attenta nel non incoraggiare nessuna situazione di dipendenza da lei delle ragazze, di età compresa tra i diciotto e i quindici anni. Sono numerosi in queste missive, lunghe e molto articolate i consigli sugli studi, gli autori e i libri che la docente ritiene indispensabili per la crescita intellettuale (Platone, Descartes, Rousseau, Kant, Marco Aurelio, Balzac, Stendhal, Comte, Proudhon, Marx e perfino Machiavelli), le reiterate raccomandazioni a studiare sempre la matematica e la geometria, la necessità di imporre disciplina alla mente e al corpo. Simone spiega alle ragazze anche il quadro politico europeo di quegli anni e riferisce notizie sulla sua esperienza di lavoro in fabbrica. Si tratta di anni difficili, afferma, e questa è una cosa che non si può tenere nascosta alla gioventù, perché “(...) soltanto coloro che sono veramente forti, veramente coraggiosi, veramente generosi reggeranno ai colpi. Sebbene a sedici anni si abbia diritto a qualche illusione, è meglio che lei sappia tutta la verità e subito. Non ho il tempo di fornirle le prove di ciò che ho detto, ma saprà bene, immagino, che io non vorrei mentire né a lei né a me stessa”, scrive, tra l’altro, la Weil alla sua omonima sedicenne Simone Gibert."

Trovate la mia recensione per intero su MangialibriPiccola cara... Lettere alle allieve | Mangialibri dal 2005 mai una dieta 

Simone Weil, Piccola cara, Marietti1920, 2021

lunedì 7 marzo 2022

Ancora su L'acquatico viaggio di Bartolo

Libro bello e coraggioso, testi di Eleonora Bellini e disegni di Maria Mariano. L’acquatico viaggio di Bartolo si presenta nell’elegante forma quadrata di album colorato con la storia di un topo di campagna che cede alle lusinghe di una lucida bottiglia di plastica, ne fa la sua tana preferendola all’angolo della cantina. Incorrerà in spiacevoli situazioni che lo faranno riflettere. Già dalla prima pagina Bartolo afferma: “Chi ama la natura non abbandona mai i rifiuti nell’ambiente.” L’educazione ambientale è sostenuta con garbo elegante in tutto il racconto, con livelli diversi di proposte.

Aprendo di piatto la copertina si ha la sintesi di tutta la storia per immagini, mentre la foto del litorale veneto dà la misura della situazione odierna del degrado, testimonianza certa dell’urgenza del rispetto dell’ambiente. L’uso prevalente dell’azzurro e del verde suggeriscono la bellezza dell’ambiente naturale e sottolineano l’efficacia del racconto, scritto con capacità espressiva e didattica di chi conosce la psicologia dei ragazzi e il desiderio dei giovani di salvaguardare l’ambiente. Il proporre due diversi caratteri di stampa consente alla ragazza e al ragazzo la lettura di tutto il racconto e in un tempo differente lo studio degli approfondimenti geografici.

I testi sono proposti in italiano, tedesco e sloveno per l’educazione interculturale. E’ un libro adatto ad ogni età per l’importante messaggio che veicola con testi e immagini. Sarebbe opportuno che tutte le Biblioteche, scolastiche e non, ne avessero alcune copie.

Anna Maria Pastore


Eleonora Bellini e Maria Mariano, L'acquatico viaggio di Bartolo/Bartolos Reise auf dem Wasser/Bartolovo potovanje na vodi, Città di Schwanenstadt 2021

Crossroads, di Jonathan Franzen

La famiglia Hildebrandt è la protagonista di questo avvincente romanzo. Ne conosciamo i componenti ad uno ad uno, sia attraverso la narrazione legata al presente - il periodo che va dall'Avvento del 1971 fino alla Pasqua del 1972 - sia attraverso i diversi flashback, dedicati all'uno o all'altro dei protagonisti. Siamo a New Prospect, cittadina immaginaria ma estremamente verosimile se non veritiera, presso Chicago, in Michigan, dove il pastore Russ Hildebrandt è responsabile della chiesa locale "meno ricca", la First Reformed. Russ è sposato con Marion, donna intelligente, collaboratrice della sua attività pastorale e addirittura autrice dei suoi sermoni domenicali. Ma veniamo a sapere nel corso della narrazione che la donna, già bella e attraente, ora non ama più se stessa, è sfatta nel corpo, indecisa e rinunciataria nella mente, anche se continua ad essere estremamente dedita ai figli e al marito. C'è un peso che la schiaccia e la annienta: il passato di Marion nasconde un tremendo segreto, anzi due.

Russ e Marion hanno quattro figli: Clem, già al college; Becky, bella liceale di successo; Perry, intelligente, tormentato e borderline; il tenero Judson di appena nove anni. Al centro dell’attività pastorale giovanile della First Reformed è Crossroads, gruppo a cui aderiscono moltissimi adolescenti, guidati dal giovane pastore Ambrose, istrionico e ambiguo, in evidente contrasto con il pacato Russ, pacifista e umanitario, in difficoltà nel comunicare con i ragazzi di Crossroads così come con i propri figli. Quando Russ diviene oggetto di attenzioni da parte di una bella e giovane vedova, tormento e senso di colpa s'insinuano nei suoi giorni. Perfino l'esperienza nella riserva Navajo, che aveva illuminato la sua prima giovinezza aprendogli orizzonti di comprensione e di solidarietà nei confronti della loro cultura "altra" e che ogni anno ripropone come azione di aiuto e condivisione ai ragazzi della sua Chiesa, si trasforma in un'ulteriore, travagliante delusione.

In Crossroads Franzen tratteggia un grande, variegato affresco della provincia statunitense di quegli anni: religiosità, preghiera, opere caritatevoli, presenza (o assenza) di Dio sono costanti delle azioni e della visione del mondo dei protagonisti del romanzo. Ma non mancano, sul piano personale, il peso del conformismo e delle apparenze, i conflitti generazionali, le cadute. Così come non mancano, sul piano sociale, la tragedia della guerra del Viet Nam, l'emarginazione dei nativi americani, il consumo di droghe. Seicentoventinove sono le pagine di questo libro, che vale la pena di leggere.

Jonathan Franzen, Crossroads, Einaudi 2021, traduzione di Silvia Pareschi