lunedì 14 settembre 2009

FILIPPO FOCARDI, Criminali di guerra in libertà: da una recensione di Francesco Omodeo Zorini

Per la cortesia di Francesco Omodeo Zorini, anticipiamo alcuni brani della sua recensione al volume di FILIPPO FOCARDI, "Criminali di guerra in libertà. Un accordo segreto tra Italia e Germania federale 1949-55", prefazione di Lutz Klinkhammer, Roma, Carocci, 2008, pp. 170, € 18.00. La pubblicazione integrale del testo è prevista sulla rivista "I sentieri della ricerca" (dir. A. Del Boca):

"Chi avesse ancora delle perplessità, ma sincere, sulla validità della tesi della continuità dello Stato tra fascismo e post-fascismo, cara, mi sovviene, al nostro maestro Guido Quazza, (che poi è la tesi affacciata da Lutz Klinkhammer tra Reich e Germania federale), è servito. Un “accordo segreto” tra Italia e Germania consentì la scarcerazione dei criminali di guerra tedeschi. Una storiaccia. Fanno breccia sentimenti e pensieri difficili a vestire di parole. Una politica malata fa ammalare la lingua e viceversa.

Il patto scellerato – ennesima conferma di un’evidenza da cavare gli occhi della mancata defascistizzazione dell’Italia dopo il 25 aprile – cui allude il titolo di Focardi, non è in effetti una novità storiografica. Lo rese noto lo studioso stesso nel 2003 in un convincente saggio su “Italia Contemporanea”, in cui, tra le altre cose, denunciava la questione del fondo H-8, sui crimini di guerra, presso l’archivio dell’Ufficio storico dello stato maggiore dell’esercito, in permanente riordino da circa quattro anni, sottraendo di fatto le carte agli studiosi dopo l’uscita del volume di Costantino Di Sante, Italiani senza onore.

In sostanza nel novembre 1950 Heinric Höfler, Kamerad und Freund compagno di partito e amico personale del cancelliere Adenauer, s´accordò in veste di suo emissario con il conte Vittorio Zoppi, segretario generale del ministero degli Esteri, per il proscioglimento dei criminali di guerra tedeschi condannati con sentenza definitiva. Nel volgere di alcuni mesi, con provvedimenti di grazia firmati dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi e controfirmati dal ministro della Difesa Randolfo Pacciardi (ex volontario antifascista nella guerra di Spagna), costoro furono rimpatriati in Germania in gran segreto. Tra loro, gli ufficiali del cosiddetto Gruppo di Rodi. In testa il Generalmajor Otto Wagener, il capitano Helmut Meeske, i maggiori Johann Koch e Herbert Nicklas, responsabili dell’uccisione sull’isola greca di migliaia di prigionieri di guerra italiani. Ieri come oggi nazisti e fascisti in libera uscita.

Il dossier straordinariamente accurato si concentra con meticolosa acribia sulla clamorosa vicenda. La certifica. Ne ricostruisce passo a passo le modalità di attuazione in cui giocò un ruolo primario la complicità del Vaticano. E ciò soprattutto per mezzo dell’azione – avallata in alto loco pur nello sconcerto del Segretario di Stato Montini – del vescovo austriaco rettore del Collegio teutonico di Santa Maria dell’Anima in Roma, Alois Hudal. Ordinato da Pacelli all’epoca della nunziatura apostolica nel Reich, era stato fin da allora fautore fanatico di un “nazionalsocialismo cristiano” incarnato da Hitler “Sigfrido della grandezza tedesca”, e poi quinta colonna dell’organizzazione Odessa per l’esfiltrazione dei criminali nazisti in America Latina, tanto da essere implicato, parrebbe, addirittura nella fuga di Eichman (indefessa fu anche l’opera prodigata in favore dei nazisti da parte del sacerdote cattolico J. W. Jurowsky).

L’A. si avvale di documentazione di prima mano, proveniente dall’Archivio del Tribunale militare territoriale di Roma, da quello storico-diplomatico del ministero degli esteri, dall’Archivio centrale dello Stato, da quello federale tedesco di Coblenza e da quello politico del ministero degli esteri di Berlino. Per di più in appendice allega una silloge della repertazione probatoria riproducendo 26 scottanti documenti: appunti, lettere, sentenze, decreti, rapporti, tutti del periodo 1946-54, tra i quali compare in chiaro persino la firma di Konrad Adenauer.

Nelle carceri italiane erano così rimasti soltanto Kappler e Reder, a far da specchietto per le allodole, nell’inveterata ambiguità italiana, alla negata giustizia contro i criminali, a molti dei quali era stato dato come escamotage il tempo e fornita l’occasione di scappare, per così dire a risarcimento dell’emanazione dei mandati di cattura. Una mano lava l’altra. Non si dice così nel cinismo amorale del potere di casa nostra?"