domenica 26 gennaio 2020

Tutte le mie mamme, di Renata Piatkowska

Szymon vive rinchiuso con la sua famiglia nel ghetto di Varsavia. Le rappresaglie naziste gli portano via il babbo e la sorella e il bambino rimane solo con la mamma malata. L’infermiera Jolanta porta loro un po' di cibo e qualche vestito caldo, finché, un giorno, propone alla donna di affidarle Szymon, per portarlo in salvo fuori dal ghetto. Il bambino viene nascosto presso diverse famiglie e sopravvive grazie al coraggio delle nuove mamme che, di volta in volta, lo accolgono. Dopo molti anni, sopravvissuto alla Shoah, Szymon Bauman verrà a sapere che l’infermiera Jolanta in realtà si chiamava Irena Sendler e che lavorava come impiegata nell'assistenza sociale. Grazie al suo ruolo, che le permetteva di avere un lasciapassare per il ghetto, Irena, mettendo a rischio la propria vita, aveva organizzato, insieme ad altri membri della Resistenza, numerose fughe dal ghetto, riuscendo a mettere in salvo più di 2.500 bambini e molti adulti. Come furono ritrovati e identificati, alla fine della guerra, i bambini salvati? Grazie ''ad un barattolo di vetro sotterrato sotto il melo nel giardino di viale Lekarska 9 a Varsavia. In questo barattolo Irena Sendler aveva messo delle striscioline di carta arrotolate. Su queste aveva scritto i nomi e cognomi dei bambini, quelli veri e quelli falsi, e, sotto i nomi, aveva annotato gli indirizzi cifrati delle famiglie che si occupavano di loro''.
Nel 1965 il Memoriale di Yad Vashem conferì alla Sendler il titolo di “Giusta tra le Nazioni”. Al Senato Polacco, che nel 2007 la insignì del titolo di ''eroe nazionale'', Irena scrisse: «Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria». Il libro, splendidamente illustrato da Maciej Szymanowicz, narra senza retorica, attraverso la vicenda di un solo bambino, un momento tragico della storia del Novecento. Da consigliare a bambini,  genitori e insegnanti.


Renata Piatkowska, Tutte le mie mamme, Giuntina 2018

mercoledì 22 gennaio 2020

Forse ho sognato troppo, di Michel Bussi

Nathalie, hostess su voli intercontinentali, ha due figlie Laura e Margot e un bravo marito che la adora. Al momento di partire su un aereo per Montreal scopre che l'equipaggio è identico a quello di un altro volo, di vent'anni prima, sempre diretto alla stessa città canadese. E altri due voli, che le sono stati assegnati a breve, sono nella stessa successione di allora, verso Los Angeles e Giacarta, e sempre con il medesimo equipaggio. Nathalie s'inquieta. Vent'anni prima infatti, proprio in quell'occasione aveva conosciuto Ylian, giovane chitarrista dall'indiscusso fascino, e con lui l'amore nella sua forma più completa e travolgente. Le coincidenze del presente turbano la donna, ansia e speranze indefinite e confuse le fanno temere il ripetersi degli eventi di allora e soprattutto si domanda se sia il caso ad averle teso un tranello, o un complotto o addirittura un rito magico. Il romanzo si snoda, tra turbamenti e ricordi, tra passato e presente, a Parigi e a Montreal, a Los Angeles e a Barcellona, a Giacarta e chi legge segue, con passione e tensione sempre crescente, le vicende di Nathalie e di Ylian che scopriamo essere un genio della musica, ma troppo timido e modesto per sfondare.
In questa storia originale e coinvolgente hanno un posto importante le canzoni, quelle degli idoli del Rock amati da Ylian e quella che innesca il giallo: la canzone da lui composta per Nathalie, parole e suoni d'amore intimi e privati. 
"Lasciami un po' di te,
una fettina, un ramo, un petalo del tuo fiore,
una briciola, tre pagliuzze, un pezzettino di cuore,
una lentiggine contro la fuliggine
e di sangue una goccia per la pioggia"   
Il romanzo, che unisce una storia d'amore immortale a un enigma da risolvere e al delitto, terrà i suoi lettori avvinti alla vicenda fino all'ultima pagina.
Forse ho sognato troppo è il dodicesimo romanzo di Bussi, scrittore i cui romanzi occupano il secondo posto nella graduatoria dei libri più venduti in Francia  e professore di geografia politica all'Università di Rouen.
M. Bussi, Forse ho sognato troppo, E/O. Traduzione di Alberto Bacci Testasecca
 

martedì 14 gennaio 2020

Elena, Ecuba e le altre, di Maria Lenti



Lungo le infinite strade percorse dalle donne dei miti si snoda questa nuova, complessa raccolta poetica di Maria Lenti. Quasi cento pagine di figure femminili che, fuori dai libri di scuola, affascinano per i tratti distintivi della loro personalità, definita in versi misurati, essenziali eppure coinvolgenti. Soprattutto perché, in questi versi, queste donne vivono in piena autonomia tra amore della conoscenza e affermazione della libertà di agire, come volendo, finalmente, essere pienamente se stesse.
Leggiamo una delle liriche dedicate a Elena, ''Elena a Menelao'': ''Non tornerò a Sparta./ Quale che sia/ veloce o lento/ il verso il giro il senso/ che imporrai alla spada,/ Menelao,/ resto con la mia ombra''.
E leggiamo anche ''Ecuba a Priamo'' la prima delle poesie dedicate a Ecuba, al pari di Elena citata nel titolo della raccolta. Si tratta di una lirica lucida, forte, magistrale e attuale, che riecheggia, per la capacità di esprimere concetti profondi in essenzialità di stile, i versi di Giorgio Caproni: ''come i pensieri si sono fatti bianchi/ che sfiato mattinale attorno al cuore/ periti i figli, in mare – alto – le figlie/ i letti vuoti spente le vigilie''.
Le donne presenti nella silloge parlano agli uomini, mariti, compagni, amanti, divini o terreni che siano, in modo assolutamente nuovo rispetto all'immagine tramandata, un poco sbrigativamente, dalla tradizione scolastica e ci offrono una diversa prospettiva secondo cui considerare le loro vite e le loro storie. Una prospettiva che può perfino mostrare a noi, così lontani dal tempo in cui quei miti nacquero, un inedito paesaggio, un nuovo cammino. Come in ''Eufrosine al mondo tutto'': ''Conforto o letizia/ auguro porto spando:/ chi chiude la porta/ chi non se ne cura/ chi ha dorso girato./ Chi riconosce il nome/ si concede giorni felici''.
O anche in ''Pandora difesa dalle donne'': ''Rifiuta il divieto del coperchio/ e scopre Pandora il vaso:/ la curiosità le fa onore.// Epimeteo ha fallito, atteso alla scaltrezza/ ora non vale/ dare a Pandora l’origine del male''.
I brevi ma profondi monologhi delle donne di Maria Lenti, sempre fondati sulla solida conoscenza della tradizione, posseggono dunque la voce del contemporaneo. Le loro parole provengono da un femminino universale e incoercibile, pur se spesso negato da una storia e da un'organizzazione sociale che hanno lasciato la quasi totalità dello spazio e dell'ascolto al maschile, come è noto.
Godrà pienamente della raccolta, solidamente radicata nell'antico e sugli archetipi del mito eppure aperta a inedite interpretazioni e nuovi ri-conoscimenti, chi sa affinare l'orecchio e aprire la mente. Lo suggerisce la lirica di (quasi) congedo della poetessa, ''Io a chi ama l’arte'': ''Giocando con la gelosia/ chissà chi mi ha fatta giovenca di Zeus./ Assurda la mitologia./ Guardatemi nella pittura parietale di Pompei/ o nel Vaso di Ruvo a Maddaloni:/ quella io sono''. L'appuntamento è là, in quel passato che sa farsi futuro.

Eleonora Bellini 


Maria Lenti, Elena, Ecuba e le altre, Arcipelago Itaca 2019. Prefazione di Alessandra Pigliaru

lunedì 13 gennaio 2020

Rodari in biblioteca 2. Il laboratorio della cicala


Durante l'anno scolastico 1990-1991 alla Sezione Ragazzi della Biblioteca ''Achille Marazza'' di Borgomanero (NO) direzione e bibliotecarie si assunsero il piacevole compito di celebrare il settantesimo compleano di Gianni Rodari e la decima ricorrenza dalla sua morte. Con l'aiuto economico e l'adesione convinta degli allora assessori alla Cultura della Provincia di Novara e del Comune Borgomanero, il tempo trascorse veloce, fecondo e ricco di idee, di lavoro, di scambi intellettuali e umani. In questa seconda tappa di ''Rodari in biblioteca'' mi proverò a raccontarvi IL LABORATORIO DELLA CICALA, la parte bambina e poetica dell'insieme delle iniziative rodariane di quell'anno, intitolate LABORATORIO PER RODARI.
La parte bambina del programma, dunque, fu dedicata ai laboratori di poesia, già appuntamenti abituali di incontro tra bambini e poesia in biblioteca, ma questa volta tutti dedicati a Gianni Rodari. Il punto di partenza fu la lettura di filastrocche (Alla formica, Mi piacerebbe un giorno, Filastrocca di primavera, Il treno dei bambini), ad alta voce e non una sola volta. Leggere una filastrocca o una poesia, qualsiasi filastrocca o poesia, ma ancor più se è del ''favoloso Gianni'', significa ascoltare con le orecchie, riprodurre con le labbra, facendo bene schioccare le parole, specialmente quelle importanti, assaporare il significato di tutto il testo e di ogni singola parola. Questo facemmo con i bambini, anche quella volta. Fu divertimento e fu intelligenza, nel suo significato etimologico di ''guardare dentro'', che i bambini, se messi in condizioni di esprimersi spontaneamente (tempo, benevolenza, ascolto), sempre manifestano.
Dai laboratori nacquero una mostra e un opuscolo, intitolati per unanime comune volontà IL LABORATORIO DELLA CICALA, liberamente parafrasando il titolo di un'emblematico testo di Rodari, ''Alla formica''.
Ancora una volta la mirabile, incontenibile e poi negli anni per sempre perduta creatività dei bambini esplose e prese parzialmente forma nelle filastrocche e nelle poesie, tutte rigorosamente redatte in biblioteca durante i laboratori e raccolte nel quadernetto omonimo, e nei fantasmagorici disegni che le accompagnavano. Queste filastrocche, quasi sempre allegre, ma talvolta malinconiche, spesso umoristiche, ma talvolta perfino didascaliche, sopravvivono alla lettura anche oggi, trent'anni dopo. Miracoli della poesia, miracoli dell'infanzia, certamente, queste composizioni che continuano a confortarci e a regalarci qualche gioia. Tuttavia viene da chiedersi che cosa sia accaduto, quali mostri abbiano deviato le parole, quali arpie abbiano rubato i sogni e il senno, quali ladri abbiano saccheggiato la naturale innocenza delle menti, se ora, divenuti adulti i piccoli di allora, le cose vanno come vanno, si confondono e degradano, volgono al peggio. Chi era adulto già allora ci pensa spesso. E non se ne capacita.
 

Leggiamo ora, leggiamo
1
''C'è un paese dove i bambini
hanno per loro tanti bacini,
bacini veri che mamma gli dà.
Bacini amorosi
di mamme premurose.
Così il bambino diventa un ragazzetto
simpatico e perfetto.
(Maruska, fine psicologa nativa)
2
Vorrei che un mattino
in questa città
ogni bambino
avesse la libertà.
La libertà è un bene di tutti
anche dei bambini più piccini.
(Marco, che guardava lontano)
3
C' è un paese dove i bambini
sono così monelli che in soggiorno
fanno chiasso tutto il giorno.
Tutti i soprammobili hanno rotto,
sia di sopra che di sotto.
I genitori dei bambni
sono diventati anche loro ragazzini.
(Gianpaolo, che vedeva lontano)
4
Mi piacerebbe un giorno
cantare in girotondo
con la pace tutta intorno.
Girare in tondo
intorno al mondo.
Con la pace toccare
il fondo del mare.
(Oriana, che pensava in grande)
5
Mi piacerebbe un giorno parlare
con un abitante lunare.
Vi pare strano?
Chissà come parlano,
se tedesco o australiano?
Vivranno nei crateri
o nei poderi?
Questo non si sa,
ma se un astronauta lo vedrà,
lo prego se dirmelo potrà.
Forse là
non è come qua.
Chissà! Avranno occhi sopra,
occhi sotto, ma le mani?
Forse una,
forse cinquemila.
(Giovanna, la fantascientifica)

(C) Eleonora Bellini


martedì 7 gennaio 2020

Legno estivo, di Eleonora Bellini


Legno estivo, raccolta di  trentacinque poesie nate durante un'estate brevilunga su facebook, esce ora in libro cartaceo. L'estate nelle sue molte sfaccettature, spesso molto lontane dall'enfasi vacanziera, vive tra queste pagine, tutte da leggere fin da subito, dopo che il solstizio d'inverno annuncia il ritorno della luce, il prolungarsi del giorno. Il titolo si riferisce alla botanica, ove viene detto ''estivo il legno secondario del fusto, che, nelle piante legnose, si forma verso la fine del periodo vegetativo, ed è di norma più compatto e più scuro di quello primaverile''. 

I primi, positivi, riscontri di lettura affermano che

"Legno estivo", tra lacerti di bestiario e osservazioni della realtà odierna, tra evocazioni del tempo andato ("La frangetta") e riflessioni leopardiane sul presente e sulle sue brutture ("I cani"), si àncora alla più alta saggezza dei bambini come sola speranza di salvezza (ed "estate" echeggia "restate") (Fabio Scotto).

"Legno estivo" (e foglie autunnali), offre pensieri intimi e sguardi aperti sul mondo (Carlo Carena).
"Molto bella l'immagine stessa del legno estivo, che evoca qualcosa di epifanico che pare riferirsi ad una rigenerazione della natura con il calore della luce quando si accresce il tronco degli alberi. Si respira nei versi una vena neolirica ed elegiaca tout-court" (Raffaele Piazza).
Un'acuta recensione a firma di Maria Lenti si legge sul sito di Poeti del Parco
Proponiamo qui la poesia Il ghiro

Il ghiro che volteggia
sui fili, che rimbalza
sui rami non si cura
della nostra bassura
ma nemmeno dell'inquieto
mare che percuote il golfo.
Il ghiro corre alla ricerca
di frutti nei giardini, coglie
cibo luce amori prima
del sonno che l'autunno
gli prepara. É ignaro
perfino delle foto in cui mi ostino
a bloccare le sue corse,
con questa mia sciocca ostinazione ad inseguire
istanti in sé perfetti e inenarrabili.
Youcanprint, 2019