sabato 22 dicembre 2012

"Trentatre meravigliosi giorni" sull'autostrada Parigi-Marsiglia

Tra la fine di maggio e quella di giugno del 1982, Julio Cortázar e Carol Dunlop realizzarono un viaggio che avevano da lungo tempo programmato. Un viaggio in autostrada da Parigi a Marsiglia: ottocento chilometri da consumare pian piano, da vivere nelle aree di sosta, da annotare minuziosamente, da assaporare come moderni esploratori, capaci di interpretare e di vivere a fondo quel nastro anonimo che è, per tutti i viaggiaotori “comuni”, l’autostrada.
Questo libro è il racconto a due voci di quel viaggio. Carol, chiamata anche l’Orsetta e Julio, chiamato anche il Lupo, annotano ogni momento della giornata, dalla colazione del mattino alla cena serale, alla temperatura, alle caratteristiche di ogni area di sosta, ai rari incontri con altri viaggiatori o con piccoli animali. I due scrittori viaggiano su un pulmino Volkswagen che chiamano Fafner, come il drago Wagneriano de L’anello del Nibelungo. Mezzo di trasporto e rifugio, animale da compagnia e testimone d’amore, il drago è elemento fondamentale nel racconto di un viaggio nel quale l’avventura è venata di malinconia: entrambi i protagonisti sono malati. Carol il 2 novembre dello stesso anno 1982 “è scivolata via come un filo d’acqua” dalle braccia di Julio che la assisteva. Julio vivrà ancora due anni e partirà per il suo ultimo viaggio da Parigi il 12 febbraio 1984.
Non pensate però di leggere un libro triste, perché non lo è. E’ ricco di immaginazione, di annotazioni sul tempo, lo spazio, i panorami talvolta solo intravisti, il traffico. E’ il racconto di una vera avventura, insomma, e non è privo di umorismo. Lo corredano poi molte fotografie e molti disegni (di Stéphan Hébert).

Julio Cortázar e Carol Dunlop, Gli autonauti della cosmostrada ovvero Un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia, Einaudi 2012

domenica 25 novembre 2012

lunedì 5 novembre 2012

Giacomino e le ghiande, di Tim Bowley e Inés Vilpi

Questo è un albo per bambini proprio di stagione. Da qualche settimana, infatti, le ghiande stanno cadendo a terra dalle querce e non sarà difficile accompagnare in un parco o in un viale i piccoli lettori e lettrici che vorranno imitare Giacomino. Il libro comincia con Giacomino che pianta una ghianda, ma uno scoiattolo se la prende e la nasconde. Giacomino non si scoraggia, pianta una nuova ghianda, che germoglia; però anche questa volta si verifica un inconveniente. E diversi altri ne seguiranno. Tuttavia Giacomino continua a piantare le sue ghiande, con grande fiducia, fino a quando una attecchisce e, con il tempo, diviene una grande quercia dall'ampia, fresca, ombra. E la storia continua...
La vicenda di Giacomino ricorda, trasportata in ambito infantile (è infatti adatta a bimbi da 4 a 6-7 anni), quella di Elzéard Bouffier, il protagonista de L'uomo che piantava gli alberi di Jean Giono; trasmette ammirazione per la tenacia del protagonista e per il suo amore per le piante. Invita i bimbi a divenire piccoli giardinieri.
L'illustrazione è calda, luminosa, dal tratto semplice ed essenziale; ricca di colori, evoca in qualche modo il disegno infantile.
 
 
Tim Bowley e Inés Vilpi, Giacomino e le ghiande, Kalandraka Editrice 2012 

domenica 4 novembre 2012

Obbedienza e libertà, di Vito Mancuso

“Il mio obiettivo consiste nel promuovere pubblicamente la libera ricerca spirituale, all'insegna di una teologia che non risponda al principio di autorità ma a quello ben diverso di autenticità. A tale riguardo la prima indispensabile condizione è la libertà, anzitutto della mente. Ma esiste una seconda condizione, altrettanto essenziale, che è l'amore per la verità...” in questa frase troviamo, sintetizzato all'estremo, il senso di questo libro e, più in generale, di tutta la ricerca teologica di Vito Mancuso.
Parlare di verità ripercorrendo la storia della Chiesa cattolica significa incontrare sulla propria strada momenti e fatti nei quali l'esercizio del potere temporale snaturò completamente il messaggio di liberazione di Gesù. Significa incontrare Jan Hus e Giordano Bruno, entrambi arsi vivi e Francesco Pucci, decapitato nelle carceri papali, e Galileo umiliato e penitente e tanti altri uomini e donne mandati a morte in modo crudele ed ingiusto dalla romana Inquisizione. Ogni libertà di pensiero e di coscienza veniva negata, con violenza. E questa violenza, che pretendeva quell'obbedienza cieca ed acritica che fa leva sulla paura, fu decisiva nella costruzione della istituzione ecclesiastica e della stessa dottrina.
In appendice al saggio possiamo leggere un Elenco provvisorio degli italiani uccisi in quanto “eretici”. Chi fa prevalere il principio di autorità, cioè l'obbedienza, giustificherà e riterrà perfino “naturale” questa storia di ingiustizie e di condanne. Chi ricerca la verità, nella libertà e nell'autenticità, sa che la condanna esplicita ed incondizionata di questi crimini potrebbe restituire alla stessa Chiesa l'autentica e piena dimensione spirituale che è la sua vocazione originaria.
Gli otto capitoli del libro sono così intitolati: L'Inquisizione e la dottrina; Sul motto episcopale di Martini: pro veritate adversa diligere; La teologia politica del Grande Inquisitore; L'anima spirituale, ovvero la libertà; Il primato della coscienza; Laicità; Dialogo tra le religioni, Teologia e libertà della mente.
Ferdinando Camon concluse la sua recensione al libro, apparsa su LA STAMPA, del 9 aprile 2012, con questa considerazione: “[Mancuso] afferma lo scontro fra obbedienza e coscienza, fra dottrina e bene: se scopo della vita è fare il bene, è anche lasciar perdere la dottrina. I suoi libri sono gioiosi e trionfali per i non cattolici, atroci e dolorosi per i cattolici. E questo più degli altri.”
 

Vito Mancuso, Obbedienza e libertà. Critica e rinnovamento della coscienza cristiana, Fazi 2012.

giovedì 4 ottobre 2012

Giacomo Ponti, di Dato Magrazde

Dato (David) Magrazde, nato a Tbilisi, in Georgia, nel 1962, ha compiuto studi di filologia e letteratura nella sua città. Le sue prime opere poetiche sono state pubblicate sulla rivista Tsiskari nel 1980. Magrazde non si è dedicato solo alla letteratura: è stato ministro della cultura del suo Paese dal 1992 al 1995 ed è stato altresì membro del parlamento fino al 2001. Nel 2003 ha appoggiato la “rivoluzione delle rose”. Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, tedesco, russo e armeno. Magrazde è tradotto anche nella nostra lingua ad opera di Nunu Gelazde, sua conterranea che vive da molti anni in Italia. Sabato 22 settembre alla Fondazione Marazza – Biblioteca pubblica e Casa di Cultura di Borgomanero è stato presentato, in prima nazionale italiana, il suo poemetto Giacomo Ponti (Ladolfi Editore, 2012). Trentasette poesie, di diversa lunghezza, ma di costante e a volte epica intensità, si susseguono: testimoniano non solo le fasi del processo a un innocente, uno dei tanti che la storia ci ha consegnato, ma offrono anche vibranti squarci sull’oggi della sua Georgia e del mondo sconvolto in cui viviamo.
Un esempio per tutte:

XII

COLLEGAMENTO TELEVISIVO

Lo tsunami ha colpito il Giappone,
le vittime non sono ancora accertate,
nel frattempo lancia Gucci un nuovo profumo,
le ceneri del Vesuvio attendono i turisti.

E i patrioti della Georgia indagano
con la loro apparente diligenza
quante gocce erano proprio russe
nel sangue di Tolstoj.

La Libia ha aperto un nuovo fronte;
Chanel ha concesso la casa ai gatti;
condannano Giacomo Ponti,
accusatore è il suo popolo natìo.
(trad. Gelazde)

Dato Magrazde legge Giacomo Ponti in lingua georgiana

Dato Magrazde, Giacomo Ponti, Ladolfi Editore 2012
Peccato che il libro (almeno la prima edizione, quella che ho letto io) contenga molti refusi e alcune evidenti imprecisioni nei testi biobibliografici, troppi per un poeta di tale portata.

sabato 22 settembre 2012

Il disagio della libertà, di Corrado Augias

Perché l’Italia oscilla - non solo da pochi anni, ma da secoli - tra eccellenze ed abiezioni, molto più di altri Paesi del vecchio continente e addirittura del mondo? Perché gli italiani non amano la libertà?
A questa domanda si propone di trovare una risposta il libro di Corrado Augias. E lo fa tracciando un itinerario di secoli, scegliendo eventi e personaggi ed opere esemplari, emblematici sia degli aspetti positivi che dei negativi della nostra patria: la luce del pensiero, dell’arte, delle lettere, ma anche il buio dell’oscurantismo, dell’opportunismo, della tirannide. Accennerò solo a due tra questi ultimi temi. Il primo, di cui si legge al capitolo 6 è quello della “doppia morale”, già intuito da Machiavelli, ricorda l’autore, nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio: il Papato, non abbastanza forte da poter sottomettere ed unificare tutta la penisola, non consente però a nessun altro principe o condottiero di farlo. La morale civile, il riferimento alto alla nazione, al suo bene, al suo prestigio, non trova casa in Italia: “Nella realtà italiana, la Controriforma fece della Chiesa il sostituto della Patria, l’identità religiosa soppiantò quella nazionale, i benefici ecclesiastici si rivelarono molto più comodi dei rischi d’impresa. La ricerca scientifica e quella filosofica vennero fortemente ostacolate e per i disobbedienti era pronto il carcere, non di rado il rogo.”(Pag. 71). La paura del castigo, il prevalere dell’obbedienza sulla coscienza, furono - e ancora talvolta sono - tristi caratteristiche non solo del popolo affamato ed impaurito (che imparò a sopravvivere, non affermando i propri diritti, ma dandosi allo sberleffo ed al servilismo) ma anche dei ceti dominanti e di governo, dei “padroni”, nel corso dei secoli al servizio di se stessi più che del Paese.
Il secondo tema è quello della famiglia, sede dell’interesse privato, del particulare più cieco, tanto che il ricercatore americano Edward Banfield, che tra il 1954 e il 1955 condusse una ricerca in Lucania, definì la sopravvalutazione dei legami familiari e la difesa ad oltranza, anche al di là del “giusto”, degli interessi di famiglia, con l’espressione, rimasta celebre, di “familismo amorale”. L’enfatizzazione dei legami familiari onnipresente nella religiosità cattolico romana, inoltre, non è mai dispiaciuta ad altre, sanguinarie famiglie, quelle mafiose.
E’ davvero da consigliare a tutti la lettura di questo libro, che, tra l’altro, è corredato da una attenta bibliografia (spunto per altre letture, da scoprire o da ripescare dall’oblio) e da un utile indice dei nomi. La scrittura e l’argomentazione sono sempre chiare, scorrevoli, misurate, mai sovrabbondanti o retoriche. Testimoniano la medesima eleganza che conosciamo ed apprezziamo nel Corrado Augias de “Le storie” di RAI3 e che abbiamo ritrovato dal vivo anche in recenti incontri: a Caffeina, importante punto di incontro di libri ed autori a Viterbo, e ad Arona (NO) in occasione del Festival delle Due Rocche.

Corrado Augias, Il disagio della libertà. Perché agli italiani piace avere un padrone, Rizzoli 2012
Carroda Augias e Dacia Maraini ad Arona il 7 settembre 2012

giovedì 19 luglio 2012

Le parole perdute di Amelia Lynd, di Nicola Gardini

In via Icaro 15, il 21 settembre, il protagonista del libro, Chino, compie 13 anni. La mamma è la portinaia di un grande stabile di periferia, le sue giornate sono lunghe, faticose, sempre uguali. Ma la donna ha un sogno, anzi due: il primo è quello di diventare proprietaria di un appartamento degno di questo nome, il secondo riguarda il figlio, i suoi studi, il suo futuro. Questo è il romanzo, bellissimo, di una madre e di un ragazzino di periferia, là dove il sole sorge già un po’ sciupato e tramonta stanco ed offuscato. Là dove i pettegolezzi e le ripicche rimbalzano di pianerottolo in pianerottolo, scendono giù per le scale, rotolano nel cortile e nessuno può esserne immune, nemmeno chi vorrebbe condurre una vita silenziosa ed appartata. Così, quando nel palazzo arriva Amelia Lynd, una “maestra” che ha tanti libri e di tutti può raccontare qualcosa, li può prestare e può perfino insegnare l’inglese che parla correntemente, la vita per Chino – Luchino – Luca (questo è il vero nome del ragazzino, che ella esige di usare perché “Chino è un aggettivo literally depressing”) cambia profondamente e spiragli di luce si aprono davanti a lui. Sono spiragli sul mondo delle parole, della loro storia, dei loro significati antichi e nuovi. Luca riempie quaderni di parole e scopre nuova la gioia dell’imparare. Ma un brutto giorno la maestra Amelia così si congeda: “Domani, Luca, non venire. Forse è meglio se per un po’ sospendiamo i nostri pomeriggi. Studiare da solo non ti potrà nuocere. Ormai sai come si fa. Io ho bisogno di riposo”. Il cuore di Luca si ferma, le gambe gli cedono un poco, le prime lacrime gli salgono agli occhi. Eppure quel congedo così doloroso non preclude promesse, nuovi incontri, la scoperta di nuove amicizie, la nascita di solide certezze. Tutto ciò che costituisce la conoscenza e la vita.   
Il libro è ora nella terna dei finalisti del Premio Viareggio-Repaci per la narrativa.  


Nicola Gardini, Le parole perdute di Amelia Lynd, Feltrinelli 2012


giovedì 14 giugno 2012

Con il braccio piegato a far da cuscino, di Bai Yuchan

I campi di gelsi si trasformano in mare
e il mare diventa un campo.
Quando si usa questa frase come insegnamento
ai discepoli risulta difficile crederci.
Ne trovi a malapena uno
capace di liberarsi del proprio io;
un genere di libertà questa
che non è concessa neanche a principi e sovrani
(ventesima quartina)

---

Lo spettacolo della primavera sta per giungere alla fine,
ma alla fine non è ancora giunta la poesia.
La ragazza che apre il vaso per il vino
mi fa far pace con il vento dell'est.
Camminando, calpesto per caso
del muschio verde;
di fiori caduti ce ne sono ancora tanti,
formano un'unica, rossa, distesa.
(sessantaseiesima quartina)

Le poesie sono tratte dall'antologia di ottantotto quartine di Bai Yuchan, curata da Alfredo Cadonna. Bai Yuchan fu una personalità di spicco della tradizione taoista e visse tra il XII e il XIII secolo nella regione del sud-est della Cina che corrisponde alla odierna provincia del Fujian, di fronte a Taiwan. Nelle prime venti quartine del libro il sentimento prevalente è quello dell'esilio che subisce colui che è disceso da "una dimora celeste" nel mondo degli uomini. Campi e mare che si estendono all'orizzonte sono immagini di un io difficile a perdersi e a dimenticare, ma anche visione suggestiva e quasi pittorica dalla quale è bello lascairsi attrarre.
Scrive Cadonna nell'introduzione: "i temi per così dire paesaggistici, sono presentati da Bai Yuchan sotto l'aspetto dell'interiorizzazione e permettono di smentire i luoghi comuni che ancora sussistono sul carattere meramente descrittivo della poesia classica cinese, che della natura tanto si occupa".

Bai Yuchan, Con il braccio piegato a far da cuscino, a cura di Alfredo Cadonna, Einaudi Editore 2010

 

venerdì 25 maggio 2012

Roma cento anni fa, di Miriam Mafai

Questo libro, pubblicato nel 1973 a Roma, fa parte della collana "I grandi servizi di Paese Sera" e reca la prefazione di Amerigo Terenzi, antifascista e resistente, giornalista tra l'altro de "L'Unità". Paese Sera non c'è più, non c'è più Miriam Mafai e anche Terenzi se ne è andato. Rimane, nella sezione ragazzi della mia biblioteca (e anche in molte altre biblioteche italiane) questo libro importante e davvero da leggere. Quando uscì fu collocato da noi alla sezione ragazzi sicuramente perché poteva offrire materiale ricco e interessante per ricerche sull'Unità d'Italia e sulla situazione sociale, politica ed economica della capitale, dominio incontrastato del papa e della nobiltà parassitaria a lui legata, al momento dell'ingresso dei bersaglieri a Porta Pia. Ora che i ragazzi leggono principalmente fantasy, libri con frasi brevi, sintassi scarna, lessico limitato (basta vedere che cosa è uscito per loro in occasione del 150°), la lettura è da consigliare a tutti, ma specialmente agli adulti e ai “giovani adulti”. Negli undici capitoli del libro la Mafai descrive molti aspetti della Roma papale: dalla “città quasi sempre in vacanza”, nella quale quasi la metà dei 220.000 abitanti erano senza professione al “Che volete, signore, siamo sotto i preti” del giovane barbiere di Stendhal; alle scuole che qualsiasi persona di fervente credo religioso poteva aprire, non tanto per istruire i bambini ma principalmente per educarli ad avere “paura del diavolo, obbedienza al papa e reverenza verso i potenti”; dalla “dolce vita” della nobiltà ai 200.000 ettari di Agro proprietà del Capitolo di san Pietro e di poche famiglie principesche, alla durissima condizione degli ebrei del ghetto (che in Toscana, Piemonte, Lombardia erano a quel tempo già cittadini), obbligati alla più penosa ed umiliante schiavitù; dall'ironia sagace del Belli allo stato d'animo di attesa e di speranza dei romani quando, fin dal 6 settembre 1870, ebbero cognizione del fatto che la situazione sarebbe precipitata e che la libertà sarebbe giunta presto.
Libertà e dignità riconosciute anche per i romani di religione ebraica, perché l'antisemitismo fu connaturato al dominio pontificio, finché, finalmente, il 20 settembre 1870 pose fine a secoli di ingiustizia e di persecuzione: “... i cinquemila ebrei romani diventarono cittadini italiani a parte intera. I piccoli ebrei entrarono, nonstante la violenta protesta delle pubblicazioni clericali, nelle prime scuole comunali della città. Due anni dopo, due ragazze ebree, Lastemia e Perla Segre, prendevano il diploma di maestre. Erano le prime ebree autorizzate a insegnare in una scuola municipale. Ne parlarono i giornali, quali per protestare e quali per approvare. L'avvenimento insomma fece notizia; poi le due maestre presero possesso della loro classe in via di Tor de' Specchi e lì insegnarono per molti anni” (pag. 129).
   
E. Roesler Franz, Borgo e il Passetto

venerdì 11 maggio 2012

Il pensiero di Immanuel Kant, di Pietro Chiodi

Questo è un vecchio libro, del 1974. Fa parte dei "Classici della filosofia", pubblicati da Loescher Editore di Torino, libri di prezzo contenuto (questo volumetto costava L. 3.300, iva compresa) e formato tascabile. Li si leggeva come introduzione agli esami dell'università o per ricerche e relazioni al liceo. E' organizzato in sei capitoli: L'epoca della critica; Possibilità, fondamenti e limiti della conoscenza umana;  Morale e religione; Arte e natura; Politica e storia; La pedagogia.
Pietro Chiodi (1915 - 1970) fu filosofo di ispirazione esistenzialista, docente a Torino dopo un'intensa partecipazione alla Resistenza nelle formazioni di "Giustizia e libertà" e dopo aver conosciuto la prigionia e la deportazione.
Chiodi così conclude l'introduzione alla sua antologia di scritti kantiani: Una volta restituito il pensiero di Kant a quel "secolo dei lumi", a quell' "epoca della critica", che egli rivendicò come propri ed alla cui chiarificazione concettuale diede un contributo determinante, la figura stessa di Kant viene in primo piano come quella di un  "filosofo di mondo", lontano da ogni pedanteria, "pronto allo scherzo, all'arguzia e all'umorismo, e la cui indagine "valorizza tutto e tutto riconduce ad una spregiudicata conoscenza della natura e del valore morale degli uomini", secondo il ritratto di Herder, che lo ebbe a maestro. Sotto questo profilo acquistano particolare importanza anche le dottrine kantiane concernenti la vita politica e la storia, e prendono un significato nuovo le sue concezioni pedagogiche. Filosofia e pedagogia non sono per Kant teorizzazioni astratte e contemplative, ma gli strumenti più validi per quella uscita degli uomini dallo stato di "minor età" in cui consiste il significato ultimo dell'impegno filosofico (pp. XXIII-XXIV). Ed anche il significato ultimo dell'essere individui pienamente umani e pensanti, in ogni situazione di vita.
Il libro, ovviamente, non è in commercio, ma si trova in molte biblioteche. Merita una lettura, come viatico in un'epoca così poco onesta e razionale quale è quella che stiamo vivendo.

giovedì 3 maggio 2012

Sostiene Pereira, di Antonio Tabucchi

"Quel bel giorno d'estate, con la brezza atlantica che carezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo”.
Quel bel giorno d'estate Pereira lesse un articolo e fece un incontro per caso, ed il caso operò meglio della provvidenza. L'articolo era tratto dalla tesi del giovane Monteiro Rossi e trattava del significato dell'essere e del rapporto tra vita e morte. Pereira volle conoscere l'autore del pezzo e da questa conoscenza scaturirono fatti inediti per la sua vita sino ad allora molto metodica e tranquilla, fatti, al principio, sconvolgenti, ma poi estremamente positivi, liberatori, generatori di un'esistenza nuova nella consapevolezza e nella libertà. Pereira vive nel Portogallo del 1938, una nazione piegata dalla dittatura di Salazar, che non è l'unica dittatura d'Europa in quegli anni: la Spagna è travagliata dalla guerra civile, l'Italia è in pieno regime fascista, in Germania Hitler è al potere. Pereira vedrebbe, se volesse vedere, ma si chiude nell'esercizio letterario (dirige la pagina culturale di un giornale non tra i maggiori della città, il Lisboa). L'incontro che il caso gli offre lo indurrà ad una presa di coscienza mite e profonda, che ne fanno un grande personaggio letterario, un protagonista da amare.
Nella Nota conclusiva Tabucchi scrive: “... compresi vagamente che un'anima che vagava nello spazio dell'etere aveva bisogno di me per raccontarsi, per descrivere una scelta, un momento, una vita […] In portoghese Pereira  significa albero del pero, e come tutti i nomi degli alberi da frutto è un cognome di origine ebraica, così come in Italia i cognomi di origine ebraica sono nomi di città. Con questo volli rendere omaggio a un popolo che ha lasciato una grande traccia nella civiltà portoghese e che ha subito le grandi ingiustizie della Storia. Ma c'era un altro motivo...”
Quale? Lo troverete leggendo o rileggendo il libro. 

Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli. Prima edizione 1994.


 

sabato 7 aprile 2012

E ancora una volta è la Pasqua

(omaggio a Toti Scialoja)

E ancora una volta è la Pasqua,
la talpa è nel prato che raspa,
raspa alla cieca quel nero budello,
fruga la terra, la scarta, l'annusa.
Non trova
né suoni giulivi, né argento d'ulivi,
né gravide uova: ma caduta,
offuscata, perduta vi scova
un fragile scheggia di cielo.

(© Eleonora Bellini)

Perché un omaggio a Toti Scialoja? Perché è l'autore della più bella poesia di Pasqua che io conosca e che è questa:

E' Pasqua, è Pasqua, è Pasqua
vado in bagno e riempio la vasca,
perché al suono di tante campane
la mia anima puzza di cane.

Ah, poter essere perfettamente sintetici come lui!

giovedì 5 aprile 2012

Vandali. L'assalto alle bellezze d'Italia, di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo

Vengono i brividi a leggere questo documentatissimo libro di Stella e Rizzo. Poi viene da piangere, pianto di rabbia e di impotenza. Sì, perché dall'Appia Antica trasformata in strada a scorrimento veloce verso l'aeroporto (per non parlare dell'abuso edilizio) ai crolli di Pompei, alla cementificazione della ridente provincia veneta, agli sprechi dei siti ministeriali (vi ricordate gli spot "turistici" della Brambilla e di Berlusconi?), ai musei ed alle biblioteche abbandonati e languenti, il panorama dei beni culturali in Italia è desolante; addirittura senza speranza. Se ne è scritto e se ne è parlato anche in documentati reportages televisivi. Tuttavia, per ora, sul fronte di chi ha denaro e potere nulla si muove (o solo pochissimo, troppo poco). E risuonano nella memoria versi antichi:

O patria mia, vedo le mura e gli archi
e le colonne e i simulacri e l'erme
torri degli avi nostri,
ma la gloria non vedo,
non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
i nostri padri antichi. Or fatta inerme,
nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
formosissima donna! Io chiedo al cielo
e al mondo: dite dite;
chi la ridusse a tale?

Incalzano le domande di Leopardi nel suo canto. Sembrano storia recente e nuova. Ed esplode l'invettiva di Sordello nel Purgatorio dantesco:

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
"C'è qualcosa di immorale nel non voler soffrire per la perdita della bellezza, per la Patria rotolante verso chissà quale sordido Inferno" afferma oggi Guido Ceronetti.

E noi? Che cosa aspettiamo a ribellarci?


POST SCRIPTUM: di fronte a tanta devastazione sembrano piccola cosa, la nostra volta pericolante - dal dicembre 2009 - e le nostre sale chiuse, l'ascensore mai messo in funzione ed il cui vano ad ogni minima pioggia si allaga, i libri rovinati dalle colle colate dalle crepe nelle travi dei soffitti ... eppure l'abbandono e il degrado son fatti di tanti tasselli, anche piccoli (i più grandi mosaici son fatti di piccoli tasselli); per questo ogni abbandono, ogni degrado, devono essere contrastati. Ogni giorno.
Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, Vandali. L'assalto alle bellezze d'Italia, RCS Libri 2011

venerdì 23 marzo 2012

Albert Camus contre la peine de mort, di Ève Morisi

La pena di morte in Francia venne abolita solo nel 1981. In occasione della ricorrenza trentennale è uscito (Gallimard) un libro di Ève Morisi, docente all'università di St. Andrews in Scozia. L'autrice, che ha rielaborato ed approfondito per il saggio la sua tesi di dottorato, inserisce Camus - premio Nobel per la letteratura nel 1957 - nel filone di scrittori francesi, tra i quali spiccano Victor Hugo e Robert Badinter, che furono strenui oppositori della condanna capitale. Scandita come i capitoli del libro è visitabile, fino al 2 giugno, al Centre Camus della Biblioteca Méjanes di Aix en Provence una mostra documentaria che propone, attraverso preziosi manoscritti originali, ritagli di stampa e fotografie d'epoca le tappe della lunga ed instancabile battaglia civile dello scrittore  (http://www.etudes-camusiennes.fr/wordpress/2012/02/05/aix-en-provence-24-fevrier-2012-conference-et-exposition-albert-camus-contre-la-peine-de-mort-par-eve-morisi/).

Camus bambino
Nel romanzo postumo Le premier homme Camus racconta un episodio degli anni d'Algeria, accaduto quand'egli era bambino e rimasto quale tappa indelebile nella memoria dell'epica familiare e della formazione della sua personalità: è l'episodio in cui suo padre, recatosi ad assistere ad un'esecuzione capitale, rientrato a casa fu colto da incontrollabili conati di vomito e rimase a lungo muto e rinchiuso nella sua camera. Un ricordo d'infanzia nel quale è già espicita la negazione di quella pena profondamente inumana.
« Il se leva dans la nuit pour se rendre au supplice, à l’autre bout de la ville, au milieu d’un grand concours de  peuple. Ce qu’il vit ce matin là, il n’en dit rien à personne. Ma mère raconte seulement qu’il rentra en coup de vente, le visage bouleversé, refusa de parler, s’étendit un moment sur le lit et se mit tout à coup à vomir. Il venait de découvrir la réalité qui se cachait sous les grandes formules dont on la masquait. »
L'archivio Camus è stato depositato dai familiari alla biblioteca Méjanes ed è oggetto di studio e di ricerca da parte di molti studiosi, nonché di attenta valorizzazione e tutela da parte delle conservatrici che vi sono preposte.
Sintesi dell'esposizione nel Dépliant de la Cité du livre:
Albert Camus contre la peine de mort. Avec Ève Morisi, maître de conférence à l’université de Saint
Andrews, Ecosse. À l’occasion de la parution de son ouvrage aux éditions Gallimard, Ève Morisi propose un regard sur l’ensemble des textes au travers desquels Albert Camus s’est engagé contre la peine capitale ou en faveur de condamnés, au même titre que Victor Hugo ou Robert Badinter.
L’exposition présente des documents souvent inédits, articles, extraits de Carnets, textes de conférences, correspondances ou extraits de l’oeuvre littéraire de Camus, indissociables de l’histoire
sociale et politique du XXe siècle en Europe et en Algérie.

Un articolo su questo tema nel blog Thomas More http://thomasmore.wordpress.com/2010/01/04/camus-et-la-peine-de-mort/

Ève Morisi, Albert Camus contre la peine de mort, Gallimard 2011


Il trailer del film "Il primo uomo" di Gianni Amelio
 
 
 
 
 

giovedì 15 marzo 2012

Ad Auschwitz c'era un'orchestra, di Fania Fénelon

Fania Fénelon, ebrea francese, nata Goldstein, fu deportata ad Auschwitz-Birkenau a soli vent'anni. Amava dire che fu deportata non perché ebrea, ma perché membro della Resistenza e comunista.  A Birkenau c'era un'orchestra femminile; doveva accompagnare l'uscita dei reclusi che andavano al lavoro la mattina presto e, la sera, doveva offrire momenti di svago alle SS - che amavano la musica classica e forse la usavano per cancellare l'orrore delle innominabili torture  a cui sottoponevano le loro vittime e per dimenticare l'odore dei forni crematori che pervadeva il campo. Questo libro, scritto trent'anni dopo la deportazione, racconta la storia di Fania e delle sue compagne dell'orchestra del lager. Perché aspettare trent'anni per raccontare? "Ho avuto bisogno di vivere. Vivere la nostra giovinezza; avevamo vent'anni e sembravamo tutte delle vecchie. Ho avuto bisogno di ritrovarmi nel calore degli altri, di mangiare, di fare l'amore, di amare... e soprattutto di guarire. Ero malata. Dovevo guarire dai lager", spiegherà lei, in un tardo pomeriggio degli anni Settanta a Bruxelles, incontrando due compagne di allora.
Fania Fénelon fu cantante e pianista e portò la sua arte nei teatri di tutto il mondo. Dopo la guerra visse a lungo nella Germania dell'Est. Dalle sue memorie fu tratto negli Stati Uniti un film, Playng for time (in italiano Ballata per un condannato), di cui scrisse la sceneggiatura insieme ad Arthur Miller e che fu interpretato da Vanessa Redgrave. Un suo ricordo si trova, tra gli altri, qui: http://gerardbarray.fr/humeurs/fania/index.htm

Fania Fénelon, Ad Auschwitz c'era un'orchestra, collana Caratteri del '900, Vallecchi 2008

giovedì 23 febbraio 2012

L'ombrello giallo, di Joel Franz Rosell e Giulia Frances

Pesci di plastica, fiori finti dai brutti colori che cosa stanno a fare nella vetrina di un grande magazzino? Ovvio: sono merce in saldo, quella che nessuno ha comperato e ora viene venduta a prezzo basso. Insieme a loro in vetrina è stato esposto anche un ombrello giallo; giallo come il sole, giallo come un pulcino. Ma perché? Ovvio anche questo: la città è grigia e gli ombrelli sono tutti neri o marroni o, al massimo, blu di Prussia e verde scuro. L'ombrello giallo è nato solo perché un operaio, un giorno, stanco di premere sempre gli stessi tasti della macchina sulla quale era addetto alla produzione di ombrelli, ha schiacciato il tasto "giallo pulcino". Nessuno ha comperato l'ombrello giallo ed esso è finito nella vetrina dei saldi. E' molto demoralizzato per questo; tutti i suoi fratelli neri, marroni, verde scuro e blu di Prussia sono usciti ad allargare le braccia e a respirare sotto la pioggia e lui è rimasto lì, esposto solo alla polvere. Però un bel giorno arriva un personaggio bruttino e strano e lo compera. Finalmente! Anche l'ombrello giallo potrà volteggiare sotto la pioggia adesso? O conoscerà qualcosa di nuovo ed inatteso? Leggete questo bell'albo illustrato e lo saprete. La lettura è indicata a tutti, bambini e anche adulti, e particolarmente a chi vorrebbe essere sempre uguale agli altri e si interroga sul perché della propria unicità e/o diversità. E' adatta a chi si sente messo da parte e non se ne capacita. E' adatta a chi sa fare bene delle cose e nessuno gliele chiede.  A tutti costoro è adatta, e a molti altri, perché mostra - senza tante chiacchiere e senza moralismi - che diversità, solitudine, attesa possono riguardare anche chi ha un bel colore, caldo e luminoso come il sole. E che questo può accadere spesso in una città nella quale la gente è abituata ad accontentarsi del grigio.

Joel Franz Rosell e Giulia Frances, L'ombrello giallo, Kalandraka 2012

martedì 14 febbraio 2012

Spartaco, di Aldo Schiavone

“...il pensiero degli schiavi romani è per noi un universo perduto: nessuna voce ci è mai arrivata da quel mondo, se non filtrata attraverso la sensibilità e i pregiudizi dei padroni – la scrittura non era per loro; come del resto è perduta la quasi totalità dei miseri beni che riempivano la loro vita di ogni giorno: perché sottoterra – nonostante i prodigi dell’archeologia – riusciamo a ritrovare i manufatti posseduti dai ricchi e dai potenti (grandi edifici, oggetti dell’uso quotidiano costruiti per durare), ma assai meno le cose della povera gente, ricavate da materiali più umili e deperibili, che il tempo provvedeva subito a spazzare via: cancellate – come i sentimenti, il folklore, gli stati mentali – dalla irrimediabile distruttività che la storia riserva al ricordo dei deboli” (pp. 76-77)


Inizia a Capua nel 73 a. C. la rivolta di Spartaco e finisce nell’alta valle del Sele nel 71, per mano dell’esercito di Crasso. Come nella storia di un altro “profeta”, che nascerà in una diversa terra d’Oriente pochi decenni dopo, il suo corpo non sarà mai trovato. Aldo Schiavone ricostruisce in questo libro la vicenda del trace, che aveva certamente conoscenza dell’arte militare e forse un’utopia libertaria – eversiva, anche, perché fondata sui culti dionisiaci radicati nella sua terra d’origine – e che riuscì a condurre un esercito di poveri e diseredati attraverso tutta la penisola. Con stretta aderenza alle antiche fonti e rifiutando ogni interpretazione “moderna” della rivolta (il concetto della “lotta di classe” non è applicabile all’antichità, ci fa notare l’autore, così come, all’estremo opposto, non è applicabile alla nostra presente contemporaneità) Schiavone racconta un frammento di storia “lontana” con linguaggio estremamente chiaro e con stile talvolta avvincente come quello di un romanzo.

Aldo Schiavone, Spartaco. Le armi e l’uomo, Einaudi 2011

domenica 5 febbraio 2012

Dans le jardin, la libellule est morte, di Cheon Jeong-cheol e Lee Gwang-ick


Una poesia e luminosi disegni per raccontare il ciclo della vita e della morte, un libro da sfogliare, adulti e bambini, con calma e meraviglia, una favola senza tristezza per la libellula che ha finito il tempo della sua vita e giace nel giardino, ai piedi di una margherita  e
[...]
le formiche si radunano
per celebrare il suo funerale.
Davanti, le formiche più piccine
camminano in cadenza.
Dietro, le formiche più grandi
cantano un canto funebre.
E' un giorno d'autunno
e splende dolce il sole.
Il lungo corteo funebre della libellula
si snoda senza fine.
(traduzione dal francese E. B.)

Il disegno, caldo e luminoso, completa e penetra a fondo il significato della poesia: l'illustrazione smembra a poco a poco la figura della libellula in punti variopinti di luce e poi, con gli stessi frammenti di colore, ricostruisce la figura di una margherita, rivelando il ciclo della natura che, mutando, vive senza fine.
Cheon Jeong-cheol è un poeta coreano del Novecento, autore di liriche per bambini molto popolari nella sua patria; Lee Gwang-ick, l'illustratore, è nato a Seul nel 1969, in questo albo il suo disegno evoca mirabilmente le leggi della natura, in cui tutto cambia, si trasforma, assume diverse forme e nuovi colori.

Cheon Jeong-cheol e Lee Gwang-ick, Dans le jardin, la libellule est morte, Picquier 2010 (traduzione dal coreano al francese di Lim Yeong-hee)

sabato 28 gennaio 2012

Io e Dio, di Vito Mancuso

Se un libro di teologia arriva alla sesta edizione (sempre che mentre scrivo non ne siano state stampate altre) significa che è capace di condividere gli interrogativi di molti e sicuramente anche che ha il dono di saper trattare e approfondire in modo chiaro concetti difficili, sempre aperti, nuovi, incalzanti.
“Oggi le utopie sono morte, ma con esse purtroppo sembra che siano morti anche gli ideali. Talora ne discende una specie di depressione collettiva della speranza e dell'immaginazione sociale e, ancora peggio, una sfiducia di fondo dell'umanità in se stessa. […] Questo libro nasce dalla consapevolezza della gravità del momento presente e dall'esigenza interiore di rifondare al cospetto delle perplessità odierne il pensiero di Dio, inteso come verità della vita del mondo”, afferma l'autore nel Prologo. Ma, al contrario di quanto avvenuto sinora nelle forme storiche della religiosità occidentale, e particolarmente nel cattolicesimo romano, il fondamento del pensiero di Dio viene qui posto nell'Io, cioè nella “libertà che si compie come amore” e non nel magistero ecclesiastico, espressione storica più di potere che di fede autentica, di intellettualismo più che di intelligente serenità interiore.
Un grande maestro del pensiero, da un'affermazione del quale Mancuso esordisce nel suo argomentare fu Norberto Bobbio, figura esemplare di filosofo nel nostro Paese: “come uomo di ragione e non di fede, so di essere immerso nel mistero” scrisse Bobbio nelle sue ultime volontà e Mancuso nota che questa è una condizione di perplessità comune a molti contemporanei (il sottotitolo del libro lo definisce appunto “una guida dei perplessi”). Le domande che l'opera pone sono quelle, sul senso della vita - e della morte - che ogni giorno ci premono e ci incalzano, sia che siamo credenti e non credenti.
Il libro, di oltre 400 pagine, si struttura in 10 capitoli che offrono al lettore: analisi fenomenologica dello “stato delle cose” (religione, società, cultura; fede, vita, sacro, Dio; dogmi cattolici, ateismi, scienza); analisi critica (libertà religiosa e santa inquisizione; libertà di stampa e indice dei libri proibiti; la storia – non storia della salvezza; la lunga elaborazione dei Vangeli); costruzione della proposta personale dell'autore (che culmina nei capitoli finali “Itinerario della mente verso Dio”; “Una fede più umana”). Seguono il testo ventuno pagine di proposte bibliografiche ragionate e l'utilissimo indice dei nomi. Altro non sarei capace di “riassumere” di questo libro: la semplificazione di ciò che è complesso non gli rendebbe infatti un buon servizio. Ma è possibile leggerlo, il libro, scorrerlo tutto di seguito o andando a cercare singoli temi che riteniamo più urgenti; oppure centellinarlo, discuterne i contenuti con altri. 
A chi proviene, come me, fin dalla metà del secolo scorso ed ha avuto un'infanzia ed un'adolescenza “cattoliche” (mortificazione, ma anche introspezione e sforzo di praticare quella minuta umile quotidiana giustizia che consiste nell' - un poco deriso - essere buoni) per poi, lungo gli aspri tornanti degli anni, volgere verso altre direzioni e ancora vaga, potrei consigliare di non leggere nell'ordine; ma di partire, ad esempio, dal capitolo VII: vi incontrerà fatti e personaggi - è il caso dei teologi della liberazione, ma anche di Rosmini e di tanti altre altre personalità “spirituali” sia maschili che femminili - che alimentarono speranze, rischiararono anni difficili (ma forse meno difficili, e certo meno ambigui, di quelli che stiamo vivendo).
In una recente presentazione a Lesa (Lago Maggiore, sulle rive che assistettero alle passeggiate e ai dialoghi di Alessandro Manzoni con Antonio Rosmini e, più vicino a noi, l'argomentare di un altro filosofo, Pietro Prini ) Vito Mancuso, che oltre al dono dell'intelligenza ha anche quello dell'umanità e della tolleranza, ha conversato per oltre due ore con un pubblico attentissimo, forse non sempre d'accordo con le sue tesi ma autenticamente coinvolto. E' stato come un risveglio e un apririsi al giorno delle menti, alle quali non abbastanza spesso, noi gente comune, concediamo spazi ampi di approfondimento e di pensiero. E dialoghi privati sono proseguiti nei giorni seguenti, ormai partito l'autore. E' questo che un libro deve fare, non è forse così?

Recensioni che vi consiglio:

Mancuso (al centro) a Lesa il 13 gennaio 2012
Sul sito del teologo, http://www.vitomancuso.it/ , trovate la rassegna delle recensioni del volume uscite sinora, anche di quelle “contro” o volgari, che ovviamente non condivido; troverete pure  il calendario di tutte le presentazioni del libro: se ne trovate una vicino a casa, andateci, mi raccomando!

Vito Mancuso, Io e Dio. Una guida dei perplessi, Garzanti 2011

mercoledì 11 gennaio 2012

L'uomo che odiava i martedì, di Hakan Nesser

"Richard Berglund era per molti aspetti un ragazzo razionale, eppure odiava i martedì. Non era sempre stato così. La razionalità c'era sempre stata, ma verso la fine degli anni Cinquanta [...] era venuta a mancare nel suo atteggiamento verso i martedì. Quel giorno sembrava circondato da un'aura singolare. Almeno verso la fine dell'inverno e in primavera. La ragione era semplice o, piuttosto, duplice: ogni martedì nella cassetta delle lettere trovava "Paperino & C." e, ogni martedì, quando tornava a casa per la pausa, la mamma gli faceva trovare i dolci con la panna montata e il latte caldo. [...] Poi i martedì cominciarono ad assumere un aspetto diverso. Nel 1963 e, soprattutto, nel 1964, dopo aver cambiato scuola, era diventato troppo grande per Paperino e papà Josef era ricoverato al sanatorio di Adolfshytta, dove poi sarebbe morto. Perché ogni martedì Richard ed Ethel, la sua mamma, prendevano l'autobus e lo andavano a trovare."
Nesser riesce sempre a non annoiare il lettore e a riservargli nei suoi gialli sia le soprese che le riflessioni filosofiche, che l'introspezione psicologica. La storia dell'uomo che odiava i martedì e dei suoi più stretti amici, si snoda tra gli anni Sessanta ed i nostri giorni: capitoli del presente si alternano a capitoli del passato. Tutto ruota attorno a due delitti - o forse a due suicidi? - consumati nello stesso luogo a trentacinque anni di distanza. Gli investigatori sono l'italo-svedese Gunnar Barbarotti e la sua collega Eva Backman, simpatica e collaudata coppia di poliziotti ben nota ai lettori di Nesser.

H. Nesser, L'uomo che odiava i martedì, Traduzione di Barbara Fagnoni, Guanda 2011

giovedì 5 gennaio 2012

Per una biblioteca indispensabile, di Nicola Gardini

Siamo nella prima settimana del 2012. Ecco un libro che ci potrà accompagnare per tutto l’anno e anche oltre quest’ anno. Si tratta di un “libro di libri”, perché ci propone cinquantadue classici della letteratura italiana, cinquantadue, appunto, come le settimane di un anno solare. Nell’introduzione l’autore, che insegna letteratura italiana all’università di Oxford, esordisce così: “Volevo scrivere un libro sull’Italia migliore, avendo chiara cognizione di quella peggiore; e cercare nel passato, per amore della vita, perché la vita è più nel passato che nel presente, come è stato detto; e parlare di letteratura, ma fuori degli schemi falsificanti della storia letteraria. Ecco com’è nato questo catalogo di 52 libri, che propongo, chissà quanto per caso, nel centocinquantesimo anno dell’Unificazione”.
I cinquantadue classici ci vengono incontro in ordine alfabetico di titolo, per primo si fa avanti L’Adone di Giambattista Marino, e seguono Alcione di Gabriele D’Annunzio, L’allegria di Giuseppe Ungaretti, Aminta di Torquato Tasso, Il barone rampante di Italo Calvino, Canti di Giacomo Leopardi, Canzoniere di Francesco Petrarca, Il Canzoniere di Umberto Saba, La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda, Le confessioni di un italiano di Ippolito Nievo, La coscienza di Zeno di Italo Svevo, Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, Decameron di Giovanni Boccaccio, Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei, Divina Commedia di Dante Alighieri, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, Il giorno di Giuseppe Parini, Iliade di Omero di Vincenzo Monti, Il libro del cortegiano di Baldassar Castiglione e poi La locandiera di Carlo Goldoni, I Malavoglia di Giovanni Verga e, più avanti, Ossi di seppia di Eugenio Montale, Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, Se questo è un uomo di Primo Levi, fino allo Zibaldone dei pensieri di Giacomo Leopardi, che figura qui con più di un’opera (come Alfieri e Petrarca).
Gardini ci parla di ogni opera con passione e rigore, ma in modo non scolastico: anzi, spesso fa notare come, quando e quanto le “letture” scolastiche, quasi sempre parziali e gravate sia da superficiali “etichette” sia dall’ansia del controllo e della verifica a cui vengono sottoposte e finalizzate, allontanino dalla lettura autentica di un’opera o di un autore. Un esempio? Le Confessioni di un italiano di Nievo, nei manuali ridotte ed emarginate rispetto alla tradizione manzoniana preponderante (non del tutto a torto) nel nostro approccio scolastico, ci sono qui proposte in modo così positivo ed accattivante, che il lettore non potrà fare a meno di andare a cercarsi il libro, in biblioteca o in libreria, e di leggerlo per intero.

Nicola Gardini, Per una biblioteca indispensabile. Cinquantadue classici della letteratura italiana, Einaudi 2011.