sabato 15 ottobre 2011

La guerra dei bottoni, di Louis Pergaud. Un libro, due film (o meglio tre)

L’uscita contemporanea in Francia di due film ispirati a questo romanzo ci obbliga a rileggerlo e a ripensarlo; a interrogarci sui bambini di adesso e sui bambini di giusto un secolo fa. La guerra dei bottoni uscì infatti a Parigi nel 1912. Nella prefazione l’autore avverte: “Chi si bea della lettura di Rabelais, grande e vero genio francese, credo accoglierà con piacere il presente libro, che, a dispetto del titolo, non si rivolge né ai bambini né alle fanciulle”. Si tratta di guerra, infatti:  guerra guerreggiata a fondo senza pietà da due bande di ragazzini in età di scuola primaria, residenti in due paesi di campagna confinanti, Velrans e Longeverne. I bambini di Longeverne - gli eroi rozzi ed inconsapevoli del romanzo - conducono i loro attacchi contro i rivali con perseveranza, crudeltà, volgarità istintive, “naturali”, ignare delle più elementari regole di educazione. Vestiti lacerati, bottoni strappati (costituiscono il più ghiotto dei bottini di guerra), nudità derise dei vinti sono il quotidiano esito di ogni battaglia e sono vissuti senza sensi di colpa, in modo del tutto innocente. Le parolacce  e gli improperi abbondano. C’è nel libro un mondo infantile privo di pietà, privo anche di quell’ipocrisia e di quel perbenismo - suggerisce l’autore - che adulti e pedagoghi  invano si sforzano di istillare nei discepoli. La guerra dei bottoni è l’epopea dell’inutilità della pedagogia scritta da un maestro di campagna, figlio a sua volta di un maestro di campagna. E’ un proclama anti Rousseau e tuttavia è anche una attestazione di simpatia profonda verso un’età in cui l’esuberanza dei corpi, le promesse (le illusioni?) di gloria e di vittoria, trionfano su ogni altro aspetto del vivere quotidiano. Così anche le punizioni del maestro vengono sopportate dai ragazzini con pazienza e stoicismo, perché la vita li attende: e la vita non è nella scuola, ma fuori, nei campi e nei boschi delle lunghe battaglie, nei graffi e nei lividi, umilianti o gloriosi a seconda che ci si trovi nel campo dei vinti o in quello dei vincitori, nel bottino da accrescere e da custodire ben nascosto.
Chi volesse paragonare questi bambini con i loro coetanei attuali dovrebbe prendere atto del fatto che, malgrado una condizione media più agiata, malgrado un certo maggior rispetto, almeno apparente, delle convenzioni del “vivere civile”, la libertà dei nostri contemporanei è irrimediabilmente perduta: quali e quanti bimbi oggi possono organizzare autonomamente il loro tempo fuori di scuola? Quali e quanti possono autonomamente scegliere i propri amici (e nemici)? Quali e quanti possono liberamente esplorare parchi, boschi, giardini, piazze e strade? Anche per questo La guerra dei bottoni nella sua edizione integrale è più una lettura per adulti che per bambini. Ma il suo fascino è inossidabile, specialmente oltralpe. Al film del 1961 di Yves Robert (in celebrazione del cinquantesimo compleanno del libro), se ne sono aggiunti quest’anno, a festeggiarne il secolo, ben due: La guerre des boutons di Yann Samuell, e La nouvelle guerre des boutons di Christophe Barratier. Nel primo film la storia si svolge all’inizio degli anni Sessanta (e reca sullo sfondo echi della guerra d’Algeria) come era avvenuto per l’opera di Yves Robert, che, così facendo, l’aveva resa sua contemporanea; nel secondo, invece, Barratier ha collocato la vicenda durante la seconda guerra mondiale ed ha introdotto un personaggio che nel libro non esiste, quello di una ragazzina ebrea. Nessuno dei film usciti finora, dunque, colloca la storia nel medesimo tempo nel quale essa si svolge nel romanzo e che è il primo decennio del Novecento. In compenso le due versioni più recenti introducono accanto alle bastonate ed ai cazzotti anche messaggi pacifisti e perfino femministi, impensabili per i protagonisti del libro, salaci eroi rabelaisiani la cui epica oltrepassa il confine del villaggio solo per scontrarsi con l’opposta eguale epica della banda rivale. E tutto il resto del mondo non esiste, perché non è conosciuto, perché è davvero lontano. Chissà che cosa penserebbe dell’introduzione nei film di questi messaggi nuovi e umanitari Pergaud che, lui sì, perse davvero la vita in battaglia - sulla Mosa nel 1915 a trentatre anni - in quella “inutile strage”  che fu la prima guerra mondiale.

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