Un dispiacere profondo, nato nella più tenera infanzia, radicato nella quotidianità, inflitto dalle persone che più dovrebbero proteggerti, può accompagnare un essere umano per tutta la vita. E questo indipendentemente dall’evoluzione positiva, appagante, talvolta perfino brillante dell’esistenza professionale, amorosa, familiare in età adulta. La prima considerazione che sovviene alla lettura di Le chagrin, romanzo autobiografico di Lionel Duroy, scrittore e giornalista di Libération autore anche di importanti reportages in zone di guerra dall’Algeria ai Balcani, è proprio questa. E richiama all’antico precetto troppo disatteso “maxima debetur puero reverentia”.
La storia è quella della famiglia dello scrittore: il padre reca nel nome le proprie nobili origini (si chiama Théophile, ma viene sempre chiamato con il nome affatto illustre di Toto), la madre, Suzanne, di origini piccolo borghesi, idolatra il proprio padre, mentre aborrisce tutto ciò che riguarda la famiglia del marito. Di professione cattolica integralista, di idee politiche più che conservatrici - parteciperanno attivamente alle campagne elettorali di Le Pen - i due mettono al mondo undici figli. Non per gioia, salvo forse nel caso dei primissimi nati, tanto che, molto presto, oltre alle difficoltà economiche, la coppia e la famiglia esperimentano tensioni, intemperanze verbali, scenate al limite dell’isterismo, soprattutto da parte della madre, disinteresse, al limite dell’abbandono, per i figli. Tutto ciò è raccontato da William (il nome dietro cui si cela l’autore) in prima persona, con ricchezza di particolari, precisione di date, chiara descrizione di ambienti. William cresce, diventa uomo, ma non può liberarsi dalla tristezza - e dalla rabbia - dei suoi anni di infanzia e di adolescenza in famiglia. O, meglio, l’unico modo per liberarsene, per fare la pace con quegli anni è quello di scriverne, di raccontarli, senza indulgenza e senza veli. Duroy aveva già scritto un altro romanzo, assai discusso, sulla sua storia familiare, Priez pour nous. La lettura di questo libro, che ha vinto prestigiosi premi, offre molteplici spunti di discussione, ad esempio: può la scrittura fare le veci della psicanalisi? quanti danni possono produrre nella vita familiare l'integralismo e la letterale applicazione dei precetti cattolici sulla procreazione? quanto questo cattolicesimo si apparenta con la destra politica? Vi sono poi diversi riferimenti alla storia e alla politica internazionale francese ed europea, vissuti dal protagonista ormai adulto nell'esercizio della propria professione giornalistica.
Le chagrin comincia così:
"All'origine della mia venuta al mondo, della venuta al mondo di tutti noi undici, c'è l'amore che si sono dichiarati i nostri genitori. Tutte le sofferenze che poi essi si inflissero, tutti gli orrori dei quali siamo stati testimoni, non possono cancellare le dolci parole che si scambiarono nell'inverno 1944. Si vollero, attesero, desiderarono, tanto da amarsi appassionatamente nel bel mezzo del pomeriggio, nelle settimane seguenti il matrimonio. Ho in mente una scena che mi riferì zio Armando, fratello minore della mamma: aprendo distrattamente una porta, li scopre seminudi, i corpi intrecciati, confusi e senza fiato. Al tempo la mamma non ha che un rimprovero da fare a papà, un rammarico più che altro: lo trova un po' troppo basso se paragonato ai due uomini della sua vita, suo padre e suo fratello. Papà, lui, non ha nessun rammarico; sembra che la gente si giri per strada per ammirare la bellezza di mamma." (trad. E.B)
Lionel Duroy, Le chagrin, éditons Julliard 2010.
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