lunedì 22 marzo 2010

Lungo messaggio chiuso in bottiglia

Lungo messaggio chiuso in bottiglia
da stappare o da perdere nel mare


Caro ignoto lettore e resistente
ci tocca forse attendere
in colpevole silenzio che trascorra
pure la presente vergogna
e che ancora trionfino le orde
dei barbari - però che non sia offesa
ai criniti nomadi invasori del già morente
romano impero: furono meritevoli spazzini
come le formiche e le iene sui cadaveri -.
Altri e più perfidi sono i nostri barbari.
E’ giusto restare qui ad attendere
che il presente degrado si sfarini,
attendere resistendo in dignità,
lodando la certezza
delle leggi e ribadendo inerme la ragione?

Vide innumerevoli orrori il Novecento
e toccò il fondo: testimoni
uomini e donne tornati al loro nulla.
E al nulla si portarono speranze,
rimasugli lasciandone al futuro.
Noi - i futuri - coltiviamo
capannoni, hangar, centri commerciali.
Al futuro mandiamo polluzioni
(nel senso francese di inquinanti).
Veneriamo
quei beni posseduti ed esibiti
che, marchiando l’uomo,
modellano il suo essere e il suo nulla.
La domenica nei piccoli paesi è usanza
per molti andare a messa. E la sostanza
dell’uso sta tutta nell’andare, infatti
sfilano verso il tempio sfavillanti
automobili di lusso, minacciosi
SUV e poi ne fan ritorno. Processione
di gas per quella santa e salda
e metallica fede esibita come arma
- o scudo. La carne umana, invece,
è debole, precaria,
cresce, ama, gioisce, cede, decade.
Non si lustra con un panno e una pomata.

Stiamo varcando il confine di un inverno
che ha ucciso le mimose, ma fra poco,
sciolta l’ultima tardiva neve,
torneranno le primule e i narcisi.
Spunteranno le più anonime
ed umili erbe nelle crepe
dell’onnipotente asfalto, dell’onnipresente
cemento, e le ostinate foglie
nuove sopra gli alberi
respireranno anche per noi.
Ed è superfluo dire che non torneranno
invece gli uomini e le donne
perdutisi nel nulla, non risorgeranno
poeti e resistenti
(anche solo per loro noi vorremmo
avverarsi la menzogna dei sepolcri squarciati
e della pasqua).
S’annuncia invece
il nuovo conflitto elettorale - quella che era
festa di volontà popolare
ora è conflitto, rantolo di patria sgretolata -.

Chi ci darà soccorso? Forse
dovrà arrivare qualcuno da lontano?
Senza diritti
nei campi del sud si curvano i migranti,
subiscono la stessa violenza delle zolle
che zappavano
gli antichi braccianti venduti ai bastimenti.
Chi più ricorda quel passato di sogni e di miserie?
E chi ne racconta le storie ai suoi bambini?
Chi vede nei nuovi migranti quelle stesse
promesse, quelle stesse mute nostalgie?

Caro ignoto lettore e resistente,
sto esaurendo perfino le domande
e mi congedo:
di questa carta ho fin troppo approfittato.
Se non ti garba, affida la mia lettera,
che invero è più uno sfogo,
al fuoco (ti basta un accendino) o abbandonala
all’acqua (e qui basta un tombino).
Sia chiaro e lieve almeno a te ogni sole.
Vale, amico, nel tuo giorno vale.


21 marzo 2010, giornata mondiale della poesia/ giornata mondiale contro il razzismo

Eleonora Bellini

lunedì 8 marzo 2010

Il gioco delle rondini, di Zeina Abirached

Il gioco delle rondini è un romanzo autobiografico a fumetti ambientato a Beirut, città divisa dalla guerra, nel 1984. Su di un muro si legge: "Mourir, partir, revenir c'est le jeu des hirondelles. Florian". Gli abitanti di un condominio minacciato dal bombardamento si riuniscono tutti nell'appartamento di Zeina, ritenuto il punto più sicuro dell'intero edificio. Ma a casa ci sono solo lei e il fratellino; i genitori sono andati dalla nonna e ora non potranno tornare tanto presto. In una città divisa dalla guerra non conta la distanza, breve, ma l'intesità del fuoco, crudele, e il pericolo per la vita. Nel racconto ci sono anche le cose di tutti i giorni, la verdura preziosa, l'acqua scarsa, i ricordi e le feste di famiglia, la storia di Cyrano che il babbo legge ai figlioletti tra un trasloco e l'altro.

"Il gioco delle rondini. Morire partire tornare" di Zeina Abirached, Ed. Becco Giallo 2009.