martedì 16 aprile 2013

"Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank" di Nathan Englander e "Il muro invisibile" di Harry Bernstein

Mi sono imbattuta per caso, e quasi contemporaneamente, in questi due libri. Entrambi sono opera di scrittori ebrei ed in entrambi si affronta il tema dell'antisemitismo. Nel primo, Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank, che è una raccolta di racconti, Englander (nato a New York nel 1970, ha vissuto in Israele e si è poi definitivamente stabilito negli Stati Uniti), ci stupisce con una narrazione ironica, capace perfino di muovere al riso. I protagonisti sono sempre ebrei contemporanei, figli e nipoti dei sopravvissuti all'Olocausto; non ne sono ignari, ma spesso considerano quegli eventi lontani con distacco. Nel primo racconto, che dà il titolo al libro, due coppie di ebrei molto diverse tra loro trascorrono un fine settimana in compagnia. La prima coppia è di americani non praticanti, l'altra è formata da ultraortodossi residenti a Gerusalemme, ritornati in vacanza negli States per poche settimane. I primi hanno un figlio, i secondi ne hanno dieci. Le confidenze tra le due coppie, aiutate da alcool e marijuana, si fanno via via più intime e profonde. Finché si giunge alla domanda finale, l'interrogativo cruciale per tutti coloro che provengono da una progenie di perseguitati: in caso di una nuova persecuzione chi sarà il Gentile che ci salverà? E', questo, il terribile "gioco di Anna Frank". 
La guerra dello Yom Kippur è l'evento da cui prende le mosse un altro racconto, "Le colline sorelle", nel quale un'indomita donna, dopo aver perso in diversi eventi, bellici e non, tutta la famiglia, s'impadronirà senza pietà di una fanciulla destinata, contro la sua volontà, ad essere per lei un "nuova figlia", e per tutta la vita, senza scampo.
Il muro invisibile narra la storia di Harry e della sua numerosa famiglia. Siamo a Manchester agli inizi del Novecento (Bernstein è nato nel 1910) e la vita è assai dura. Il padre, ebreo polacco taciturno ed attaccabrighe, lavora in una grande sartoria e la sera si beve quasi tutto il salario della giornata. La madre è votata completamente a crescere i cinque figli per i quali sogna un avvenire migliore, magari in America, terra del miraggio e della speranza, in cui già una parte dei parenti è emigrata. La strada di perifieria nella quale Harry abita ha una particolarità: "ciò che la distingueva da tutte le altre era il fatto che noi vivevamo da una parte e loro dall'altra. Noi eravamo gli ebrei e loro i cristiani". Non si verifica nessun movimento di persone da un lato all'altro della strada: è proprio l'assenza di scambi quotidiani, la mancanza di attraversamenti da un marciapiede a quello opposto,  il "muro invisibile" che dà il titolo alla storia. I pregiudizi sono difficili da eliminare, le proibizioni impediscono contatti ed amori tra ragazzi e ragazze di fedi diverse, attacchi violenti sono mossi dai bambini cristiani ai loro coetanei ebrei. Tuttavia una certa tolleranza esiste, soprattutto nella scuola, la St. Peter's, scuola per poveri. E' la povertà, infatti, ad accomunare i residenti dei due opposti lati della via, a volte nemici giurati, ma altre volte, quelle in cui il dolore bussa più forte, anche capaci di solidarietà e comprensione.