martedì 3 dicembre 2013

Antologia del premio letterario nazionale "Arpalice Cuman Pertile" 2013


Gufi lettori in copertina, disegnati da Tamara Rossetto, studentessa di liceo artistico, per l'antologia che documenta la ventiseiesima edizione del Premio Nazionale "Arpalice Cuman Pertile", promossa dal Comune di Marostica. La scrittrice alla quale il premio è dedicato, Arpalice Cuman Pertile, nacque nella cittadina del vicentino il 12 Maggio 1876. Nel 1874 conseguì il diploma magistrale a Verona. Continuò gli studi al Magistero Superiore di Firenze e si laureò, unica fra le marosticensi in quegli anni nel 1898. Nel 1904 sposò il prof. Cristiano Pertile docente di lettere al Liceo di Vicenza. A Vicenza visse a contatto con il poeta Giacomo Zanella e con lo scrittore Antonio Fogazzaro. Oltre che stimata e amata insegnante, fu scrittrice cara ai piccoli lettori ed agli scolari di ogni regione italiana. Per bimbe e bimbi scrisse e pubblicò ben settanta libri, sia di libera lettura, sia testi scolastici. Allo scatenarsi della grande guerra i Pertile si schierarono dalla parte dei neutralisti. Prima conseguenza di questa presa di posizione fu il trasferimento. Col marito Arpalice fu in esilio a Novara e poi a Genova. Ritornò a Vicenza dopo la fine della prima guerra mondiale, nel 1919. Con l’avvento del fascismo la Cuman Pertile fu di nuovo vittima di persecuzioni, non avendo aderito al partito unico. Col pretesto di ridurre i posti di lavoro, nel 1923 lo Stato le tolse l’insegnamento; nel 1929 furono ritirati tutti i suoi libri dalle scuole. Da allora Arpalice si dedicò alla scrittura e  all’insegnamento in forma privata. Riuscì a festeggiare la Liberazione del 1945. Morì a 82 anni a Marostica il 30 marzo 1958. Ora questa donna, di elevate qualità morali ed intellettuali, nonché precorritrice dei tempi, viene ricordata ogni anno solennemente in occasione del premio letterario che porta il suo nome ed al quale partecipano attivamente le scuole del territorio, medie, licei, la scuola di musica e di canto, la biblioteca comunale. In giuria, oltre all'assessore alla Cultura del Comune di Marostica e alla fondatrice del concorso Lidia Toniolo Serafini, una nutrita rappresentanza di docenti dell'Università di Padova: Mariselda Tessarolo, Michele Biasutti, Silvio Ramat, Marnie Campagnaro.
Il volume antologico pubblicato in questo 2013 raccoglie tutte le opere premiate e segnalate nelle diverse sezioni del premio (poesia, narrativa, teatro) insieme a due note critiche di Mariselda Tessarolo e di Lidia Toniolo Serafini, a una breve nota biografica su Arpalice Cuman Pertile e all'albo d'oro di tutti i premiati dal 1988 ad oggi. Nell'antologia, di ben 182 pagine, possiamo dunque leggere le raccolte poetiche per i più piccini Case di Eleonora Bellini (con la seguente motivazione: "La raccolta “Case” dimostra un’ammirevole confidenza con l’arte della poesia: a cominciare da elementi naturali quali il metro e la rima, adoperati con una intelligenza e una maestria capaci di suscitare – anche in virtù della varietà e originalità della materia – l’attenzione del giovanissimo lettore a cui questi componimenti si rivolgono") e Pensieri in libertà di Luisa Bianchi; le liriche per i preadolescenti di Giovanna Gelmi e Giovanni Pigato; le fiabe Il sogno della balena di Giorgio La Scala, Maschio o femmina? di Cinzia Capitanio e La chiave dorata di Miriam Stival. Fuori concorso, in ricordo di una bimba marosticense da poco scomparsa, La foresta dei colori di Cinzia Parise. Nel capitolo dedicato alla narrativa per la preadolescenza Ti tengo viva nel cuore di Silvia Lovisetto, Gandhi e le lettere del nonno di Eleonora Bellini e I conti non contano di Mariantonietta Mentasti. Per il teatro sono presenti in antologia I colori del cielo di Kosmè De Maria e La città che aveva perso le idee di Laura Bonelli.
 
Premio nazionale Città di Marostica "Arpalice Cuman Pertile" 2013, Poesia, narrativa, teatro, Edizioni Comune di Marostica 2013
 

venerdì 29 novembre 2013

ILVA. Comizi d'acciaio, di Carlo Gubitosa e Kanjano

C'è una bambina di nove anni che vive in una delle città più inquinate d'Italia e c'è un'altra piccoletta che vive a Carajàs, Brasile. Quale è il legame tra loro? Entrambe sono vittime del siderurgico "ILVA", un gigante dell'acciaio che semina inquinamento e malattie dall'uno all'altro capo del mondo. 
L'ILVA di Taranto è stata ed è al centro di un dibattito e di indagini giudiziarie che hanno permesso di identificare con certezza i colpevoli della morte lenta della città pugliese affacciata sul mar Ionio e non priva di naturale, suggestiva bellezza. Ma la vicenda non è ancora finita: bisogna bonificare, in fretta. Chi lo farà?
Questo libro ricostruisce trent'anni di storia dell'industria siderurugica a Taranto avvalendosi di un'ampia documentazione derivante da ricerche giornalistiche, rilevazioni medico sanitarie, ricerche ambientali, dati raccolti in loco. Svela "il legame di sofferenza che unisce da un continente all'altro chi vive all'ombra dell'industria siderurgica", raccontando la tragedia di una comunità brasiliana (stati del Parà e del Maranhão) sfruttata per la ricchezza del suo sottosuolo e colpita profondamente da quelle malattie e da quella devastazione ambientale che lo sfruttamento selvaggio ed inumano porta con sé. 
In appendice alla graphic novel si può leggere una dettagliata cronologia  dei fatti principali riguardanti il siderurgico di Taranto, curata da Carlo Gubitosa e da Michele De Benedetto. Conclude l'opera una riflessione di Alessandro Marescotti sul futuro dell'acciaio; l'autore si domanda "il mondo ha proprio bisogno di tutto questo acciaio?" La documentata risposta è no. Quale allora il futuro (che i potenti NON ci dicono) di questi mastodontici e nocivi siti industriali? La soluzione possibile esiste e ne sono esempi Stoccolma e il suo quartiere di Hammarby Sjöstad, nonché l'intera area della Ruhr in Germania.

 Hammarby Sjostad (immagine tratta dal sito di PEACELINK)
La storia, le immagini, i testi di questo libro sono rilasciati con licenza Creative Commons; possono dunque essere citati, riprodotti e condivisi senza fine di lucro, citando autori e fonti.

Carlo Gubitosa e Kanjano, ILVA. Comizi d'acciaio, BeccoGiallo 2013

sabato 23 novembre 2013

Il sole dei morenti, di Jean Claude Izzo

Quando gli addetti dell'ambulanza portano via il corpo di Titi, morto di freddo sotto una panchina della stazione del metro parigino di Ménilmontant, Rico capisce che è venuta l'ora di lasciare quella città. Il suo solo amico se n'è andato e l'inverno morde e uccide. Rico decide di partire per il Sud, per Marsiglia. Pensa: morire per morire, meglio morire al sole. Il viaggio attraverso la Francia d'inverno diventa per Rico anche il viaggio attraverso la memoria della sua vita: il fallimento del matrimonio, un figlio che non ha più il diritto di vedere, la perdita del lavoro. E' infinitesimale e spietato il gradino che ti fa precipitare da una vita "normale" al marciapiede, alle giornate passate a chiedere l'elemosina, alle notti trascorse nei ripari improvvisati che celano, nell'ombra delle città, i barboni. Di questo Rico è consapevole, lucidamente convinto e, nella presente svolta finale della sua vita, nemmeno troppo disperato. La disperazione ha preso altre vie, quella del fiato che fatica ad uscirgli dai polmoni, quella dell'alcol che gli rode le viscere e gli appesantisce il passo. Rico scende verso Marsiglia e spera di incontrarvi Léa, il suo primo amore. Ma stare al mondo non è semplice e certi incontri, preziosi e profondi, non si ripetono. E poi, come sarà ora Léa? Quella fanciulla bruna e sognante dovrebbe essere ora una donna di cinquant'anni: la nozione del tempo trascorso si affaccia alla mente di Rico e tuttavia la sua mente la respinge. L'immagine della fanciulla è indelebile, immutabile nel ricordo. Rico capisce: "Sarà più facile per chi morirà per ultimo. Perché avrà già perso tutto". 
Per scrivere questo romanzo, il suo ultimo, ritenuto dalla critica il suo capolavoro, Izzo si documentò a lungo sulla vita quotidiana dei senza fissa dimora, degli emarginati, dei barboni, delle prostitute povere, degli immigrati recenti. Di tutti coloro che vivono nell'ombra e al cospetto dei quali si distoglie lo sguardo o si tace.

Jean Claude Izzo, Il sole dei morenti, E/O

mercoledì 20 novembre 2013

Anna Politkovskaja, di Francesco Matteuzzi ed Elisabetta Benfatto


"Io vedo tutto, questo è il mio problema". Si apre con la citazione di consapevoli e, alla luce di quello che di lei avvenne, anche tragiche parole di Anna Politkovskaja questo fumetto che propone momenti fondamentali dell'attività della giornalista russa, nata nel 1958 a New York da due diplomatici sovietici che lavoravano all'ONU. La sua carriera giornalistica si svolse tutta nella patria d'origine e il suo imperativo categorico fu all'insegna della convinzione che "il giornalista deve dire ciò che vede", la verità dei fatti. Fortemente critica verso il regime di Putin, Anna Politkovskaja fu più volte in Cecenia per documentare le violenze e le violazioni dei diritti umani, la tragedia di un popolo. Fu in prima fila, come mediatrice, al momento dell'irruzione di 42 terroristi al teatro DUBROVKA di Mosca (23 ottobre 2002), che poi si concluse tragicamente a causa di un'azione di forza dei servizi segreti russi. Corse a Beslan il giorno in cui la scuola elementare venne presa in ostaggio da un gruppo terroristico (1 settembre 2004), ma non vi arrivò, perché fu avvelenata in aereo. Si riprese tuttavia e continuò la sua attività con la consueta passione. Fu assassinata il 7 ottobre 2006, giorno del cinquantaquattresimo compleanno di Putin, nell'androne del suo palazzo.
Questa sua coinvolgente storia a fumetti è corredata da una cronologia della vita della giornalista, da testimonianze di Andrea Riscassi e di Ottavia Piccolo, da un'intervista di Francesco Matteuzzi a Paolo Serbandini, giornalista e sceneggiatore esperto di cose russe, che ebbe contatti con la Politkovskaja.
 
 Francesco Matteuzzi ed Elisabetta Benfatto, Anna Politkovskaja, Becco Giallo 2010
 

mercoledì 30 ottobre 2013

Jonas ou l'artiste au travail, di Albert Camus


Pubblicato per la prima volta nel 1957 nella raccolta di racconti "L'exil et le royaume", Jonas ou l'artiste au travail narra la vicenda di un giovane pittore che vive all'insegna della "sua buona stella". Simpatico, comprensivo, semplice e disponibile esercita il suo fascino su tutti coloro che gli vivono accanto. La sua arte viene riconosciuta, diffusa, venduta, tanto che egli riesce a viverne mantenendo la famiglia. Amici, curiosi, gente di mondo, popolano costantemente il suo studio e, quando nello studio non c'è posto, le altre stanze della casa. Finché Jonas avverte un forte bisogno di solitudine, di riflessione, su se stesso innanzitutto: "Molti artisti non sono sicuri di esistere" confida all'amico Rateau. Jonas si ritira dunque su un soppalco del suo piccolo appartamento, si isola, non dipinge più. Auto esiliatosi dal suo mondo quotidiano medita, cerca il segreto dell'arte, indaga il segreto della vita.
Nell'economicissima edizione Gallimard, della quale è qui riprodotta la copertina, la storia di Jonas è seguita dal racconto La pierre qui pousse, ambientato in un Brasile seducente e quasi selvaggio. L'ingegner D'Arrast, incaricato di costruire una diga, incontra la comunità locale, assiste ai riti religiosi ed orgiastici degli indigeni, tocca con mano il sentimento della lontananza dalla patria e dell'esilio: "La vita, qui, era raso terra e per integrarsi bisognava mettersi a letto e dormire, per anni, fosse il suolo fangoso o arido. Laggiù, in Europa, c'erano la vergona e la rabbia. Qui l'esilio e la solitudine, in mezzo a questi folli languenti e trepidanti, che danzavano per morire" (pag. 105; trad. E. Bellini).
 
Albert Camus, Jonas ou l'artiste au travail, Gallimard 2012.

venerdì 11 ottobre 2013

Racconti per bambini che si addormentano subito, di Pinto & Chinto


"I libri da leggere prima di dormire devono essere brevi, e non come quei racconti così lunghi che quando si finiva di raccontarli era già ora che i bambini andassero a scuola" avvertono gli autori nella introduzione. E i racconti di questo libro sono davvero brevi, ciascuno occupa una pagina e anche meno. Sono ricchi di ironia, di umorismo, di intelligenza e si rivelano molto vicini al vissuto e all'immaginario dei bambini: cito volentieri, tra quelli che appartengono all'esperienza del quotidiano, Il bambino che immaginava, L'orologio di Emma, Il vento.
Altri racconti invece hanno come protagonisti i personaggi dell'immaginario infantile di sempre: la strega, il pirata, l'indiano, il principe e la principessa, il gigante.
I racconti mi hanno ricordato un memorabile libro di tanti anni fa, le Favole al telefono di Gianni Rodari, brevi storie narrate al telefono da un commesso viaggiatore alla sua bambina, ogni sera, per raccontare, con la storia, l'amore del babbo per la figlioletta.  Storie argute e profonde, storie per sognare, abbracci di parole per l'appuntamento privilegiato di ogni sera, quello con i libri e la fantasia.
Le illustrazioni, una per ciascun racconto, accompagnano con colori e linee decisi e delicati insieme, la narrazione. Offrono, oltre le parole, ulteriori spazi, ulteriori visioni, all'immaginazione e alla narrazione. 
 
Pinto & Chinto (Carlos Lòpez, David Pintor), Racconti per bambini che si addormentano subito, Kalandraka 2013 

giovedì 19 settembre 2013

Autobiografia di un artista burbero, di Arnoldo Foà

Dalla Spagna anticamente numerosi ebrei, per sfuggire all'Inquisizione cattolica, si rifugiarono nella cittadina di Foix, nella Francia meridionale. Di lì partirono poi verso altri paesi ed altre città prendendo come cognome il nome della cittadina di provenienza, anziché il "difficile" patronimico ebraico. Si formarono così i cognomi Foa, Foà, Fuà, Fois. Il nonno di Arnoldo, figlio di un editore di testi sacri in ebraico in Casale Monferrato, fu professore di lettere all'Università di Torino. Queste le poche notizie che Foà ha dei suoi antenati, troppo poche per lui che avrebbe voluto "conoscerne la vita, i pensieri, le gioie, le sofferenze". Ciò che si sa di chi ci ha preceduto, sostiene, è ciò che è stato scritto e tramandato. Non è difficile pensare che anche questa autobiografia del nostro grande attore, dedicata alle sue figlie, muova  proprio dal desiderio di lasciare nel ricordo la "verità" sui fatti della sua lunga vita. Il racconto comincia dall'infanzia, quella di un bambino coraggioso e caparbio che a otto anni scappa di casa e, nell'occasione, compone i primi versi della sua vita. La vita difficile degli esordi di un giovane che, pur favorito da alcuni fortunati incontri, conosce la persecuzione razziale ed è costretto ad affrontare la prime prove di recitazione sotto falso nome, perché ebreo. E poi seguono le storie delle donne amate; delle tante attività intraprese - radio, televisione, teatro, scrittura, arte -; dei numerosi amici incontrati sul set dei film in Italia e all'estero, sui palcoscenici teatrali, negli appuntamenti quotidiani, anche. Arnoldo Foà non racconta solo la sua storia personale, ma anche quella di eventi che sente come "la tragedia di un secolo"e che non vorrebbe fossero mai dimenticati.
 
Arnoldo Foà, Autobiografia di un artista burbero, Sellerio 2009

martedì 27 agosto 2013

L'ironia della scimmia, di Loriano Macchiavelli


Ha il volto umano e lo sguardo beffardo la scimmia del dipinto settecentesco di Francesco Malagoli, “La scimmia che ride”, quadro di piccole dimensioni e di valore non eccezionale, ma importantissimo nel più recente romanzo di Loriano Macchiavelli, L’ironia della scimmia. Il dipinto, si narra, fu nello studio di Mussolini prigioniero al Gran Sasso e il dittatore vi nascose il proprio testamento. E’ naturale, dunque, che alla scimmia che ride si interessino servizi segreti italiani, inglesi, agenti della CIA deviati estremamente crudeli e violenti, perché non è interesse dei potenti, né allora, né oggi, “divulgare segreti politici della Seconda Guerra Mondiale; rendere pubblici i vergognosi traffici di chi ha sconvolto l’Umanità…”  Abbiamo qui a che fare con una nuova indagine per Sarti Antonio, il questurino bolognese tormentato dalla colite ed amante del buon caffè. Si tratta di un’indagine più ardua del solito, che lo condurrà sino a L’Aquila ed ai suoi monti e che lo metterà di fronte ad un intreccio delittuoso particolarmente intricato: dal “semplice” furto di auto e di opere d’arte, all’omicidio, alla strage, al sospetto di terrorismo internazionale. Sarti Antonio è un uomo onesto, ma non è un eroe; brilla più per memoria che per intelligenza; non ama le armi, né rischiare la pelle. Gli costerà molto, addirittura la subordinazione temporanea al tenente Castillo dell’Arma dei carabinieri, fare un poco di luce sull’intrico tra intrighi del passato e crimini del presente nel quale si trova invischiato: realtà tragiche ed oscure, fantasie indagatrici ma impotenti.

Loriano Machiavelli, L'ironia della scimmia, Mondadori 2013.

 

lunedì 12 agosto 2013

Ingens Sylva, di Enzo Paci

Ingens Sylva è un'opera esemplare di Enzo Paci (1911- 1978), una delle maggiori personalità della nostra filosofia del Novecento. Vi sono esaminate la biografia e l'opera di Giambattista Vico, a partire dal rapporto tra "l'esistenza e l'opera", argomento del primo capitolo: "la vita di G. B. Vico - afferma Paci - avrebbe potuto offrire il contenuto e la materia ad un romanzo di Thomas Mann, scrittore che certamente avrebbe visto, nella malattia e nel carattere di Vico, il segno del suo destino di uomo dello spirito" (p. 3). Nella vita del filosofo napoletano, sostiene Paci, "sono in lotta due opposti motivi, un motivo pessimistico ed uno ottimistico [...], due opposte tendenze che si esprimono in forma dualistica tra finitezza umana, "bestialità", e valore dell'opera, "eroicità" dell'uomo. La prima espressione di tale crisi è presente nella "lucreziana" canzone giovanile del Vico, Affetti di un disperato. Le "aspre selve, solinghe, orride e meste" di Vatolla, nel Cilento, paese in cui il filosofo soggiornò come precettore per ben nove anni, vengono contrapposte nella canzone ad una chiesetta, umile e modesta, ma inconfondibile "segno di civiltà". Sono gli anni della crisi religiosa ed esistenziale del Vico, anni che segnano la nascita e l'indirizzo del suo pensiero, profondamente "nuovo" ed originale, non ignaro né dei grandi dell'antichità né del nuovo pensiero scientifico che si andava affermando (Gassendi).
Segue l'analisi delle opere successive del Vico, sempre alla luce di questo dualismo. E' una lettura, quella di Paci, che si differenzia di molto dalle letture idealistiche dell'opera vichiana allora dominanti. L'interesse di Paci per Vico, infatti, è contemporaneo al suo approfondito confronto con Croce sul tema del "vitale".
"... in Vico è possibile ritrovare una vera e propria metodologia della storia" conclude Paci "che coincide con la sua filosofia e nella quale viene risolto il problema del rapporto tra filologia e filosofia" (philologia atque philosophia geminae ortae). La sintesi dialettica "natura-spirito" è resa possibile secondo Vico dal mito, dalla fantasia, dall'immagine che l'uomo "crea" e con la quale comprende il passato e lo proietta nel futuro: l'uomo è il medium tra natura e storia, tra bestialità e spirito.  
Detto in soldoni: Vico considera approfonditamente la "verità" delle visioni filosofiche di Epicuro, di Lucrezio, le ricerche e le affermazioni della scienza nascente all'età sua. Quando i "bestioni" avvertono l'esistenza di sé e del mondo fuori di sé, nasce il mito, l'uomo "rappresenta la trascendenza nella verità del senso", crea i propri dei e nasce il cammino che rende possibile la sintesi della civiltà: a partire dal senso, attraverso l'immagine, l'arcano si traforma in ragione spiegata.

Enzo Paci, Ingens Sylva, Bompiani 1994, con Introduzione di Vincenzo Vitiello

giovedì 8 agosto 2013

L'inspiration, di Raymond Queneau


De son juchoir
la poule laisse choir
un oeuf
c’est une imprudence
un moment d’absence
mais il tombe pouf
dans la paille:
la fermière était prévoyante
combien de poèmes brisés
que ne recueille aucun recueil.

L'ispirazione

Dal suo trespolo
la gallina lascia cadere
un uovo
è un'imprudenza
un attimo di assenza
ma quello cade puf
nella paglia:
la contadina è stata previdente
quante poesie infrante
che nessun raccolto raccoglie.


Trad. Eleonora Bellini

venerdì 2 agosto 2013

Saturno, di Serge Quadruppani

Una strage senza motivo apparente si consuma alle terme di Saturnia, affollate di turisti un pomeriggio d'estate. Siamo alla vigilia del G8 de L'Aquila. Si tratta dunque di un atto di terrorismo di Al-Qaeda? E allora perché viene incaricata delle indagini un'esperta antimafia, la commissaria Simona Tavianello? Il triplice assassinio appare subito e con tutta evidenza opera di un killer esperto. La commissaria Simona, ostacolata dai superiori e forse anche da quei servizi segreti che sempre hanno interesse ad intorbidare le acque, segue una sua pista (che esclude sia il terrorismo sia la mafia), a partire dal filmato di un investigatore privato presente sul luogo del delitto perché intento a seguire una donna sospettata di adulterio. Presto il quadro si complica: il killer e l'investigatore privato si muovono in Italia e all'estero; i parenti delle vittime fondano un'associazione tesa ad ottenere giustizia; il campo di indagine coinvolge l'alta finanza, il capitalismo internazionale, comitati d'affari per nulla puliti. Quadruppani racconta una storia complessa, nella quale si mescolano oscuri complotti e semplici scorci di vita familiare, vendette di uomini e di animali, vittime innocenti e vittime colpevoli, potenti della politica e potenti dell'economia. Una storia tesa, che si fa leggere d'un fiato e che non è priva di ironia e di notazioni "dall'esterno" sul nostro spaesato Paese, come questa: "Uno degli apparecchi era stato noleggiato da una rete televisiva italiana di proprietà del premier, l'altro di una delle tivù di Stato sotto il suo diretto potere".

Serge Quadruppani, Saturno, Einaudi 2013. Trad. di M. Loria
Quadruppani, da WIKIPEDIA.fr

giovedì 25 luglio 2013

Sulla dignità della donna, di Ida Magli

Il sottotitolo di questo breve saggio, uscito nel 1993 per le edizioni Guanda nei Quaderni della fenice e chiaroveggente quanto altri mai, è "La violenza sulle donne, il pensiero di Wojtyla". L'autrice, antropologa, esamina come "dall'esterno" riti e miti della fede cristiana, ma ancora più cattolico romana: "... sento il bisogno di avvertire i lettori e le lettrici della durezza di questo libro, che presenta un'analisi antropologica dei nostri costumi, dei nostri valori, della nostra religione, perché, appunto, sono i nostri, quelli che non conosciamo affatto, pur conoscendoli benissimo. Ma è proprio perché sono i nostri che non li guardiamo con gli stessi occhi con i quali siamo abituati a "guardare" quelli di popoli "lontani", "diversi"; quegli occhi che Lévi Strauss ha descritto, dando proprio questo titolo a uno dei suoi libri: Lo sguardo da lontano (Einaudi, 1984)" scrive l'autrice nella lettera aperta che introduce al saggio. 
Quest'ultimo si compone di quattro densi capitoli: 1. Vittima, rappresentanza e violenza cristiana; 2. Delirio collettivo ed eroe; 3. Una teologia sessuata; 4. Cosa fare delle donne?
La concezione della donna profondamente radicata nel pensiero (nella psicologia più profonda, addirittura) e nel magistero del pontefice allora regnante, quel Giovanni Paolo II che la Chiesa si appresta a santificare, è totalmente biologica. Ma gli esseri umani non sono soltanto biologia: "la donna ha una sua dignità. del tutto diversa da quella dell'Uomo e della quale per Wojtyla è impossibile parlare se non in base alla collocazione femminile rispetto all'uso del sesso e dunque alla sua anatomo-biologia: o madre, o vergine" osserva la Magli. E' questa la concezione che motiva l'esortazione del papa alle donne musulmane, vittime in Bosnia dello stupro di massa pianificato ed operato da truppe "cristiane", a non abortire.  La concezione della donna viene così ricondotta a quella che avevano gli uomini (cioè i maschi) primitivi o delle antiche, pur per altri aspetti evolute, civiltà, nelle quali donne, bambini, schiavi erano proprietà dell'uomo, prive di dignità e di "umanità" proprie. Il Concilio Vaticano II aveva faticosamente tentato di superare questa concezione, storicamente propria anche dell'ebraismo antico, cercando di recuperare e, per quanto possibile, di accordare gli insegnamenti del Concilio stesso con le acquisizioni delle scienze naturali ed umane moderne, tenendo conto del "laboratorio della storia", che ha lavorato molto dagli albori dell'umanità al Novecento soprattutto nell'Occidente del mondo, patria dei Diritti dell'Uomo. Ida Magli nota come Wojtyla annulli le difficili conquiste conciliari, e ovviamente quelle della storia e della più profonda ed avveduta teologia, e riaffermi il radicale allontanamento della Chiesa Romana dalle parole e dalle azioni di Gesù.
Ma una recensione può solo semplificare all'estremo. Consiglio la lettura del saggio per intero (anche se non è più in commercio, lo si può trovare in molte biblioteche italiane). 

sabato 20 luglio 2013

Casino totale, di Jean-Claude Izzo

Izzo, scrittore marsigliese, nato nel 1945 e morto a soli 55 anni, conobbe fama e successo con la trilogia di romanzi noir Casino Totale, Chourmo, Solea. Altre sue opere pubblicate in Italia sono Il sole dei morenti, Marinai perduti, Vivere stanca, Aglio menta e basilico. Se fosse vissuto più a lungo (quanto è inutile il gioco dei "se") avremmo potuto leggere forse altre storie di Fabio Montale, il poliziotto marsigliese di origini italiane, protagonista di Casino totale. Fabio indaga sulla morte di due suoi amici dell'adolescenza e prima giovinezza, Ugo e Manu. Le loro strade si erano divise quando i primi avevano continuato la vita sbandata, irregolare, illegale, delle comuni imprese giovanili, sprofondando sempre più nella criminalità "vera", e invece Fabio aveva deciso di entrare in polizia. Ma l'affetto reciproco dei tre non si era spento negli anni. Per questo l'indagine di Fabio è particolarmente difficile e dolorosa. Vive attorno a lui la città di Marsiglia, splendida nella sua mediterranea, multiculturale bellezza e insieme affranta per la violenza e il degrado che serpeggiano in lei. Una nota in esergo avverte: "... i fatti narrati e i personaggi non sono mai esistiti. Neppure il narratore. Solo la città è veramente reale. Marsiglia. E tutti coloro che ci abitano. Con quella passione che è solo loro". E Marsiglia è storie d'amore, di amicizia, paesaggio, scorci urbani e costieri, gastronomia mediterranea. Ma non mancano nel racconto notazioni realistiche legate al tessuto sociale sofferente e degradato delle periferie, alla tragedia dei ragazzi abbandonati e senza speranza, al potere della criminalità mafiosa transnazionale, al serpeggaire inquietante di ideologie intolleranti e razziste. Impariamo così quanto la finzione romanzesca possa vedere in profondità, quanto prefigurare il futuro, quanto interpretare realtà disperate e complesse.
Scrive di Izzo e delle sue geniali intenzioni romanzesche Massimo Carlotto nella introduzione a Aglio, menta e basilico: "Il romanzo non racconta più solo una storia nera in un determinato luogo e in un determinato momento, ma lo fa a partire da un'analisi ben precisa della criminalità organizzata. Altra intuizione di Izzo è l'individuazione dell'area mediterranea come centro geografico della rivoluzione dell'universo criminale. Un intreccio di alleanze di nuove culture illegali provenienti dall'Est e dall'Africa che assorbono o fagocitano le organizzazioni europee più deboli e intavolano trattative dirette col potere. Questo è il noir mediterraneo. Raccontare storie di ampio respiro. Raccontare le grandi trasformazioni".

Jean-Claude Izzo, Casino totale, E/O 1998

lunedì 15 luglio 2013

L'étranger (d'après l'oeuvre d'Albert Camus), di Jacques Ferrandez

In occasione della ricorrenza centenaria della nascita di Albert Camus, Gallimard pubblica una bellissima grafic novel de L'étranger (Lo straniero), fondamentale opera dello scrittore francese, che narra di emarginazione sociale, solitudine, pena di morte. Lo sguardo profondo, lucido, malinconico, ma non domo, di Camus si traduce qui in acquerelli  evocanti e coivolgenti atmosfere esotiche, in un dialogo serrato ed efficace. Brevità ed immagine non tradiscono il romanzo originale, anzi sono apertamente finalizzati a favorire nei più giovani, ma anche in adulti "timorosi del difficile dei classici", la curiosità nei confronti dell'opera di Camus e la lettura del romanzo integrale.
Jacques Ferrandez, nato in Algeria come Camus (1955), è stato profondamente ed intelligentemente coinvolto dalla storia di Mersault, che ha scelto di raffigurare come giovane, giovanissimo: "J'ai choisi de faire de Meursault un homme jeune. Pour moi, L'étranger est un roman sur la jeunesse, il pointe un refus du mensonge et des règles de la société. J'ai pensé à James Dean ou Gérard Philipe pour créer mon héros" ha sostenuto in un'intervista a Télérama.fr, che potrete leggere integralmente a questo link http://www.telerama.fr/livre/bd-l-etranger-le-roman-d-albert-camus-adapte-par-jacques-ferrandez,96095.php
 Alla Bibliothèque Méjanes di Aix-en-Provence si possono ammirare, esposte in mostra, le tavole originali del libro.

Jacques Ferrandez, L'étranger. D'après l'oeuvre d'Albert Camus, Gallimard Jeunesse 2013

giovedì 11 luglio 2013

Contro riforme, di Ugo Mattei

“L’ideologia riformista pone il denaro, strumento indispensabile dell’attività di consumo e di accumulo, al centro della scala dei nostri valori sociali e promuove il mercato come sola costituzione materiale”. E’ necessario e urgente uscire da questa miseria, sostiene con forza l’autore di questo libro, piccolo ma preziosissimo. Mattei è professore di diritto civile all’Università di Torino e di diritto internazionale e comparato all’università della California. In  Contro riforme (n. 82 della collana “Vele” di Einaudi, ricca di contributi preziosi sulla società contemporanea) sostiene l’urgenza di un dibattito approfondito sulla direzione che l’Italia deve prendere per uscire dalla attuale profondissima crisi economica e sociale. E’ innanzitutto necessario chiarire il significato che tutti coloro che  utilizzano il termine “riforme” attribuiscano ad esso nel concreto – non passa infatti giorno senza che esso esca più o meno saccentemente dalle labbra di un politico o di un “esperto” –.
Questo perché per ora le “riforme” in Italia hanno condotto solo ad una spoliazione sempre più dissennata dello Stato a favore dei patrimoni privati: il liberismo della seconda repubblica ha assunto il volto feroce e menzognero dell’aggressore.
Illuminante è la lettura del terzo capitolo del libro, “ Riformismo neoliberale e concentrazione della proprietà in Italia”, che, a partire dalla storia del termine, giunge fino ad illustrare le dinamiche che hanno condotto l’Italia ad introdurre il pareggio di bilancio nella Costituzione, invalidando il sogno di quella società giusta ed egualitaria che i Costituenti avevano immaginato per il nostro Paese. Libro da leggere e da studiare.

Ugo Mattei, Contro riforme, Einaudi 2013

sabato 29 giugno 2013

Golgota, di Carmelo Abbate

"Nel 2002 la Santa Sede riunisce attorno a un tavolo i cardinali americani alla presenza dell'allora prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede Joseph Ratzinger e di altri capi del dicastero del Vaticano. Obiettivo: dare il via alla cosiddetta tolleranza zero per vescovi e prelati. In questo clima il cardinale Law (coivolto mesi prima come arcivescovo di Boston in uno scandalo per abusi sessuali, n.d.r.) è costretto suo malgrado a dare le dimissioni. Ma passano pochi mesi e Giovanni Paolo II, a sorpresa, gli garantisce copertura giuridica e prestigio ecclesiale: lo chiama a Roma e gli affida la cura della basilica di Santa Maria Maggiore [...] Il cardinalato e l'insediamento a Roma in una zona extraterritoriale come la basilica di Santa Maria Maggiore hanno garantito a Law una totale impunità... "
Questa è solo una delle scandalose vicende narrate nel libro di Abbate, molto documentato. Fin troppo, verrebbe da dire, considerato l'aberrante crimine di cui tratta: la pedofila in ambito ecclesiastico cattolico. Crimine diffuso indiscriminatamente nelle diocesi di Paesi e continenti diversi, quasi sempre impunito, quasi sempre coperto dalla Chiesa ufficiale. I primi passi nella condanna "senza se e senza ma" della pedofilia vengono compiuti da Ratzinger, Benedetto XVI, diversamente da quanto propagandato ad un'opinione pubblica ingenua da parte di fonti di informazione di dubbia attendibilità. Infatti a Giovanni Paolo II, il "santo subito" che tanta parte ebbe nell'occultare lo scandalo dei pedofili nella Chiesa, sostiene Abbate (citando le fonti documentarie) l'opinione pubblica non addebita pressoché nessuna responsabilità. Mentre di fronte al mondo le inerti gerarchie a fianco di Wojtyla additano a capro espiatorio Ratzinger, sebbene quest'ultimo abbia dimostrato, sia come pontefice, sia come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, un impegno e una decisione nel contrastare la pedofilia decisamente superiore a quella di Giovanni Paolo II. Così va il mondo (anche tra i "vicari di Cristo).
Il libro, cinquantatre capitoli con bibliografia finale, è da leggere. Anche se si tratta di tragica lettura che porta alla luce dolorosissime storie di bambini, bambine, ragazzi e ragazzine vittime impaurite ed impotenti di persone, i preti, alle quali erano stati affidati o nelle quali avevano fiducia. C'è qualcosa di peggio?

C. Abbate, Golgota. Viaggio segreto tra Chiesa e pedofilia, Piemme 2012

lunedì 20 maggio 2013

Riferimenti all’antico nell’architettura romana dall’Unità al fascismo, di Catherine Brice

« Sarei fuggito - gli risposi – già tre mesi fa. Ebbene ! Tre civiltà non vi bastano, ne volete una quarta ? Roma è il Walhalla italiano : non resuscitate questo cimitero faticoso e sublime. Non cercate di trasformarlo in una città viva e moderna. Fareste svanire i fantasmi di quei tremendi trapassati ai quali tento di sfuggire, ma dai quali proviene l’incomparabile magnificenza di Roma. Il solo governo che le conviene è il governo dei preti, tradizione rancida, scheletro del passato, anacronismo nella civiltà contemporanea, barbarie per il filosofo progressista, ma prezioso custode dei secoli passati per lo storico e l’artista » così argomentava Camillo Boito, architetto e scrittore, in una lettera a Ippolito Caffi, pubblicata poi in Scultura e pittura d’oggi (Torino, 1877). Cita il Boito Catherine Brice dell’École Française de Rome in un interessante articolo («Riferimenti all’antico nell’architettura romana dall’Unità al fascismo ») pubblicato all’interno del volume collettivo Antiquités imaginaires (Presses de l’ École Normale Superiéure, 1996, pp. 127 – 140). La Brice esamina alcune delle più importanti realizzazioni architettoniche del neonato Regno d’Italia nella «nuova » capitale e ne nota gli elementi eclettici. Il Vittoriano, ad esempio, realizzato sul progetto del marchigiano G. Sacconi « combina il repertorio accademico con elementi decorativi di stile preromano o orientaleggiante : l’altare di Zeus a Pergamo per il podio e il grande scalone monumentale; l’acropoli di Atene nella sopraelevazione ; il tempio della Fortuna a Palestrina per le terrazze ed il portico ad emiciclo ; le porte dei musei, infine, sono l’esatta citazione della porta dell’Erechtheion sull’acropoli di Atene .[…] Il gusto della citazione archeologica erudita nei dettagli decorativi, il ricorso sistematico a tutte le declinazioni dello stile antico, dall’Etruria alla Magna Grecia, costituisce senza dubbio l’originalità del Vittoriano » conclude la Brice (Trad. E. Bellini). E, se il Palazzo di Giustizia offre un chiaro esempio di «romanità manierista», quando si giungerà agli anni del fascismo, l’esaltazione retorica e celebrativa della romanità prenderà a poco a poco il sopravvento sulle proposte di modernità, razionalismo e funzionalismo, che il nuovo secolo recava con sé.

martedì 16 aprile 2013

"Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank" di Nathan Englander e "Il muro invisibile" di Harry Bernstein

Mi sono imbattuta per caso, e quasi contemporaneamente, in questi due libri. Entrambi sono opera di scrittori ebrei ed in entrambi si affronta il tema dell'antisemitismo. Nel primo, Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank, che è una raccolta di racconti, Englander (nato a New York nel 1970, ha vissuto in Israele e si è poi definitivamente stabilito negli Stati Uniti), ci stupisce con una narrazione ironica, capace perfino di muovere al riso. I protagonisti sono sempre ebrei contemporanei, figli e nipoti dei sopravvissuti all'Olocausto; non ne sono ignari, ma spesso considerano quegli eventi lontani con distacco. Nel primo racconto, che dà il titolo al libro, due coppie di ebrei molto diverse tra loro trascorrono un fine settimana in compagnia. La prima coppia è di americani non praticanti, l'altra è formata da ultraortodossi residenti a Gerusalemme, ritornati in vacanza negli States per poche settimane. I primi hanno un figlio, i secondi ne hanno dieci. Le confidenze tra le due coppie, aiutate da alcool e marijuana, si fanno via via più intime e profonde. Finché si giunge alla domanda finale, l'interrogativo cruciale per tutti coloro che provengono da una progenie di perseguitati: in caso di una nuova persecuzione chi sarà il Gentile che ci salverà? E', questo, il terribile "gioco di Anna Frank". 
La guerra dello Yom Kippur è l'evento da cui prende le mosse un altro racconto, "Le colline sorelle", nel quale un'indomita donna, dopo aver perso in diversi eventi, bellici e non, tutta la famiglia, s'impadronirà senza pietà di una fanciulla destinata, contro la sua volontà, ad essere per lei un "nuova figlia", e per tutta la vita, senza scampo.
Il muro invisibile narra la storia di Harry e della sua numerosa famiglia. Siamo a Manchester agli inizi del Novecento (Bernstein è nato nel 1910) e la vita è assai dura. Il padre, ebreo polacco taciturno ed attaccabrighe, lavora in una grande sartoria e la sera si beve quasi tutto il salario della giornata. La madre è votata completamente a crescere i cinque figli per i quali sogna un avvenire migliore, magari in America, terra del miraggio e della speranza, in cui già una parte dei parenti è emigrata. La strada di perifieria nella quale Harry abita ha una particolarità: "ciò che la distingueva da tutte le altre era il fatto che noi vivevamo da una parte e loro dall'altra. Noi eravamo gli ebrei e loro i cristiani". Non si verifica nessun movimento di persone da un lato all'altro della strada: è proprio l'assenza di scambi quotidiani, la mancanza di attraversamenti da un marciapiede a quello opposto,  il "muro invisibile" che dà il titolo alla storia. I pregiudizi sono difficili da eliminare, le proibizioni impediscono contatti ed amori tra ragazzi e ragazze di fedi diverse, attacchi violenti sono mossi dai bambini cristiani ai loro coetanei ebrei. Tuttavia una certa tolleranza esiste, soprattutto nella scuola, la St. Peter's, scuola per poveri. E' la povertà, infatti, ad accomunare i residenti dei due opposti lati della via, a volte nemici giurati, ma altre volte, quelle in cui il dolore bussa più forte, anche capaci di solidarietà e comprensione.

mercoledì 20 marzo 2013

E' andata così, di Meir Shalev

Tonia, colona in Israele negli anni Venti del Novecento, è la nonna ucraina dello scrittore. Il libro narra, infatti, con affetto ed ammirazione, ma anche con sapida ironia la storia della famiglia di Shalev. La vicenda si svolge principalmente nella colonia agricola di Nahalal, nella parte settentrionale di Israele, in Galilea, e ha origine negli anni Trenta del Novecento. 
Nonna Tonia è maniaca per la pulizia, gira con uno straccio sulle spalle e addirittura avvolge con panni le maniglie delle porte affinché non si anneriscano al contatto con le mani. Un giorno, dal cognato emigrato in America, le giunge un dono inatteso: uno sweeper, un robusto e massiccio aspirapolvere della General Electric. Ad una casalinga maniaca per la pulizia l'oggetto dovrebbe essere gradito, invece esso finisce relegato in una stanza e lì rimane inutilizzato per anni.  Perché? Perché "è andata così". Ma quel "così" può avere differenti versioni, come insegnano le storie che si rispettano...
Meir Shalev è uno tra i maggiori esponenti della letteratura israeliana contemporanea. Nato a Nahalal nel 1948, è figlio del poeta Itzhak Shalev. Ha studiato arte e psicologia all'università di Gerusalemme ed è poi divenuto giornalista ed autore radiotelevisivo. Si è dedicato intensamente alla letteratura ed ha scritto molti saggi, romanzi ed opere di narrativa per l'infanzia.
Nahal, i carri dei contadini
"Tonia era mia nonna, la madre di mia madre, e a me non sembrava per niente matta. Era diversa. Era strana. Era quel che da noi si definiva come un "tipo". Era una donna non facile, per dirla con un eufemismo. Matta? Direi proprio di no. Ma come capita sempre, anche a questo proposito non tutti sarebbero d'accordo con me. Tanto in paese quanto in famiglia c'è chi la pensa diversamente" (p. 16)

Mair Shalev, E' andata così, Feltrinelli 2010

giovedì 7 marzo 2013

Storie di lupi e altri animali

Ieri mattina, così come il lunedì precedente, ero alla biblioteca comunale di Borgo Ticino per leggere ai bambini di prima elementare alcune "storie di lupi ed altri animali". Si trattava degli ultimi quattro laboratori della serie "La biblioteca in valigia". Grande attenzione ed entusiasmo sincero si sono manifestate da parte dei piccoli, che già conoscevano alcune "storie di lupi cattivi", ma tutte - ahimè! - nella versione disneyana. Ieri mattina, però, hanno avuto modo di ascoltare altre versioni di quelle favole e di vedere sui libri "figure" diverse da quelle a cui erano abituati. I bimbi hanno poi affrontato molto seriamente il compito di presentare una delle storie, la preferita, attraverso i loro disegni. Ne vedete due esempi qui sopra, esposti in una tasca della valigia-biblioteca ed altri qui di seguito.



I libri letti (o soltanto "raccontati") sono stati quelli dell'elenco che segue:

-      Almodóvar A. R. e Taeger M. – La vera storia di Cappuccetto Rosso – Kalandraka 2009.
Cappuccetto Rosso è una bambina molto bella che vive vicino a un bosco. Come la protagonista de “La bambina e il lupo” (vedi sotto), quando incontrerà un vecchio lupo briccone, saprà cavarsela grazie all’intelligenza e all’intuizione.

-      Bellini E. e Caccia M. – Ninna nanna per una pecorella – Topipittori 2009  
Una pecorella abbandona il gregge per seguire una stella. Tutto attorno lei è la notte e nella notte si possono fare incontri imprevisti, ma non tutti sono tristi. Ci sono anche incontri capaci di sciogliere dentro un abbraccio la paura.

-      Blegvad E. – La vera storia dei tre porcellini – E Elle  1990.
 Attenzione! Questa è la VERA storia dei tre porcellini e ci rammenta che anche i porcelli sono carnivori, mica solo i lupi...

-      Carrer C. - La bambina e il lupo – Topipittori  2005
Bzou, il lupo mannaro, è in agguato nel bosco. Arriva una bimba che porta la focaccia alla nonna. La storia comincia come Cappuccetto Rosso, ma questa bimba si salverà senza l’aiuto del cacciatore...

-      Galé A. e Tow J. – Ululò il lupetto che non vuole andare a letto – Lo Ed. 2012
Ululò al mattino ha sempre sonno, ma appena scende la sera diventa vivacissimo e non c’è verso di farlo addormentare. Che cosa faranno i suoi genitori?

-      Howker J. e S. Fox-Davies – A spasso con i lupi – Editoriale Scienza 2008
Qui si tratta di lupi veri, ritratti e raccontati nel loro habitat  durante le diverse stagioni dell’anno.

-      Jacques B – Aprite quella porta! – Orecchio acerbo 2009
Una nonnina sorda nella sua casetta sperduta nel bosco sente bussare alla porta. E’ già notte: chi sarà? Ed è davvero molto sorda la nonnina oppure...

-      Lecaye O. – Dottor Lupo – Babalibri 2010
Un coniglietto si sveglia col mal di pancia. Mamma Coniglia consulta molti medici diversi, ma nessuno trova il rimedio adeguato. Solo il Dottor Lupo avrà successo.

-      Ramos M. – Il lupo che voleva essere una pecora – Babalibri 2008
Un lupetto vuole uscrire dal bosco e volare nel cielo, ma non la le ali. Nemmeno le pecore hanno le ali, eppure certe volte le vediamo volare nel cielo...

-    Vaugelade A. – Una zuppa di sasso – Babalibri 2003.
E’ notte, è inverno e scende la neve. Un vecchio lupo con un sacco sulle spalle arriva al villaggio e bussa alla porta della gallina. Che succederà?

Il più alto gradimento è andato a La bambina e il lupo, Una zuppa di sasso, Il lupo che voleva essere una pecora, Aprite quella porta!, Ninna nanna per una pecorella, letta quest'ultima, grazie alla signora Silvina, bibliotecaria argentina, anche in lingua castigliana (Canción de cuna para una ovejita).
"Non tutti i lupi sono cattivi, però" mi ha confidato una bimba all'uscita. e "La nonnina è piccola dentro la casa" ha sussurrato un altro.
Merita un'osservazione la reazione dei bambini alla lettura de "La bambina e il lupo", perché, quando il libro uscì, alcuni adulti osservarono questa edizione con perplessità, classificandola, senza molto approfondire, come poco adatta ai bambini. Il libro riprende una versione popolare della fiaba di Cappuccetto, nella quale la bimba si salva grazie alla prontezza e all'intelligenza, ma non vi è salvezza per la nonna. Nelle illustrazioni di Chiara Carrer prevalgono il rosso ed il nero. Durante la lettura l'attenzione dei bimbi sale costantemente e raggiunge il massimo quando la bambina si corica insieme alla "nonna" e ne osserva le caratteristiche. Qui alle tre domande abituali nelle versioni più note ("Che occhi grandi hai" eccetera) se ne aggiungono altre tre ( riguardano il pelo lungo, le unghie, le spalle): la tensione dei piccoli ascoltatori sale insieme al numero delle domande. Però, subito voltata la pagina, quando la bimba protagonista dice "Esco a fare la pipì", tutto ritorna ad un più rassicurante orizzonte quotidiano e già si preannuncia la via della salvezza. La tensione scende e grande è la soddisfazione dei bimbi quando, nel finale, la protagonista, rientrata a casa, sbatte la porta in faccia a Bzou, il lupo mannaro. Questo libro, dunque si può tranquillamente leggere e mostrare ai bambini, anche proponendo loro di drammatizzarlo. Ne colgono benissimo, infatti, il messaggio che valorizza la forza dell'intelligenza e la conquista dell'autonomia con le proprie forze; ne ignorano (ed è giusto che sia così) i richiami al cannibalismo e alla violenza, che, non estranei alla comune esperienza di vita durante momenti bui della storia dell'umanità, tanto turbano gli adulti (ed è altrettanto giusto che sia così). Una versione simile della storia è nel libro di Almodóvar e Taeger, che si rifà ad una versione francese della favola; qui, però, le illustrazioni, coloratissime e dai tratti quasi infantili sdrammatizzano immediatamente il racconto. Quale versione della fiaba scegliere, dunque? Forse tutte, in momenti diversi, dalla Cappuccetto Rosso più tradizionale a queste ultime e ad altre che certo verranno ancora.
Leggete, leggete che qualcosa resterà!

giovedì 28 febbraio 2013

Ipazia, di Silvia Ronchey

- "Il vescovo cristiano doveva avere il monopolio della parrhesia" si è scritto, proponendo, appunto sul caso Ipazia, un sillogismo storico fin troppo immediato: se nella fase di trapasso dal paganesimo al cristianesimo il ruolo del filosofo e del vescovo vengono a sovrapporsi, che cosa fa il vescovo se non eliminare il filosofo? - (pag. 41)
Invidia per l'eccellenza altrui e brama di potere esclusivo condussero il vescovo Cirillo a scatenare un gruppo di cristiani oltranzisti e di monaci violenti contro la filosofa Ipazia, fino a teorizzare la necessità del suo assassinio e al crudele infierire sul suo corpo, letteralmente fatto a pezzi, lei ancora viva, dagli assalitori.
La vicenda di Ipazia è stata ri-portata all'attenzione del più vasto pubblico nel 2009 dal film Agorà  (http://it.wikipedia.org/wiki/Agora_%28film%29).
Silvia Ronchey in questo saggio molto documentato ripercorre la vicenda della “celebre e troppo sventurata Ipazia” (Diderot) attraverso le cronache di fonte sia pagana che cristiana più vicine a lei, e poi esaminando come la sua personalità sia stata studiata dalla filosofia e dalla letteratura occidentali fino all’Ottocento. Come è intuitivo, Ipazia fu tenuta in grande considerazione in ambito illuminista (Diderot, Voltaire), ma anche il cattolico Chateaubriand le dedicò pagine di alta considerazione. E in Italia Vincenzo Monti (“l’innocente ombra di Ipazia”) e Giacomo Leopardi nella sua produzione giovanile ne rammentarono il martirio. Ugualmente la pensatrice dell’antica Alessandria venne tenuta in considerazione in ambito anglicano e protestante. Bertrand Russel, ricorda la Ronchey, apre la sua Storia della filosofia occidentale con questa frase sul vescovo Cirillo: “La sua principale pretesa di fama è il linciaggio di Ipazia, distinta signora che in un’epoca di bigotteria professava la filosofia neoplatonica e applicava i suoi talenti alla matematica”.
E’ un libro, questo, di quelli che non passano affatto di moda. E’ assolutamente da leggere e la sua lettura offrirà spunti per altre letture e per numerosi approfondimenti. Tra questi, ad esempio, la sovrapposizione del culto di santa Caterina d’Alessandria (della cui esistenza c’è una leggenda, ma nessuna attestazione storica) alla vicenda del martirio di Ipazia (che non si convertì mai al cristianesimo), fino alla dedicazione di una chiesa in Laodicea a “sant’Ipazia Caterina”. Nel 1969 Paolo VI tolse la memoria di Santa Caterina d’Alessandria dal calendario liturigico della Chiesa Cattolica “per mancanza di scientificità delle fonti”. La memoria fu poi ripristinata da Benedetto XVI per il 25 novembre. Un bel dotto giallo, non è vero?  

Silvia Ronchey, Ipazia. La vera storia, Rizzoli 2010

Masolino Da Panicale, Santa Caterina (?) tra i filosofi, Roma- chiesa di S. Clemente

sabato 23 febbraio 2013

Resistere non serve a niente, di Walter Siti


“Le escort gestiscono il loro capitale con la stessa flessibilità con cui la finanza gestisce gli azzardi e le insicurezze, e non si percepiscono come prostitute esattamente come i maghi della finanza non si percepiscono come truffatori pur evitando i controlli e mettendo in circolazione prodotti dal contenuto non limpido”. Diversamente da quanto accade nella concezione della femminista, il corpo per la escort è un prodotto da vendere al più alto prezzo possibile prima che deperisca: con riflessioni di questo tipo (e con una assassinio gratuito di inaudita crudeltà) si apre il libro.
Tuttavia il romanzo di Walter Siti non è (solo) un racconto sulla prostituzione, femminile o maschile che sia. E’ di più: una storia nostra contemporanea che si svolge nelle stanze del potere, soprattutto economico, ma anche politico, e che vorremmo fosse solo una storia d’invenzione. Però dell’improbabilità della pura invenzione ci avverte subito, in esergo, una citazione di Graham Greene: “La narrativa è più sicura: tanti editori avrebbero paura a pubblicare saggi su questi temi”.
Il protagonista, Tommaso, ragazzo romano di borgata vagamente introverso, affetto da obesità patologica e genio matematico, per quello che sembra un colpo di fortuna - ma che si rivelerà un’oculata manovra ricattatoria – è preso a benvolere ed aiutato da un ricco ed autoritario anziano signore: prima l’intervento chirurgico che lo aiuterà a dimagrire, poi il finanziamento degli studi, per trasformare il ragazzo di borgata in un oculatissimo mago della finanza. Ricchezza, grande appartamento al centro di Roma e Gabry, una modella, fidanzata da esibire in pubblico “all’altezza” di tanta fortuna.
Una fiaba finirebbe qui. Invece, trattandosi di romanzo e non di fiaba, la vicenda continua e svela, oltre ai personali tormenti amorosi e sessuali del protagonista, “di che lacrime grondi e di che sangue” l’alta finanza, la politica corrotta, la televisione “libera”, tutte manovrate da un potere arrogante e spregiudicato, in parte visibile, e in parte - la più crudele e inespugnabile - invisibile. L’invisibile ai semplici si chiama mafia. Delibera ed agisce senza confini. Può essere truculenta e volgare, ma può anche mostrarsi con sembianze pacate ed amichevoli. E’ sicuramente più esperta di paradisi fiscali che di colpi di lupara.
La scrittura di Siti è chiara, sagace, talvolta ironica, talvolta preoccupata, sempre disincantata. Libro assolutamente da leggere. 

Walter Siti, Resistere non serve a niente, Rizzoli 2012

martedì 19 febbraio 2013

La gallinella rossa, di Pilar Martínez e Marco Somà


Il valore psicologico delle fiabe tradizionali è provato: dagli studi di Jung, secondo il quale nella fiaba è racchiusa “l'espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio”,  alle opere della von Franz, fino a Bettelheim, che analizza il significato psicologico delle fiabe e l'aiuto che il loro ascolto può offrire alle personalità in crescita, per citare solo gli studiosi più noti che se ne sono occupati.
Anche alcuni progetti locali di lettura ad alta voce per l’infanzia, come Nati Per Leggere, tornano talvolta alla lettura di fiabe tradizionali, privilegiando, quando possibile, edizioni recenti, dal linguaggio semplice, dalle illustrazioni curate.
Proprio pensando a questi progetti, vi suggerisco oggi, dunque, di sfogliare e di leggere con i più piccini, La gallinella rossa, racconto tradizionale inglese, riadattato da Pilar Martinez e ben illustrato da Marco Somà per le Edizioni Kalandraka.
Una gallinella tenace e volitiva vive, con i suoi pulcini, in una fattoria insieme a un cane fannullone, a un gatto dormiglione e a un’anatra festaiola. Lavora, la gallinella, seguendo il ritmo della natura e delle stagioni. Troverà qualcuno disposto ad aiutarla?
Le illustrazioni di Somà, dai toni caldi e ricche di particolari – antichi utensili da cucina e da giardino, vecchi mobili di legno rustico, tessuti a fiori e a quadrotti per gli animali abbigliati come umani – evocano l’atmosfera della vita in una campagna che ormai non c’è più. O c’è per sempre, nel tempo immortale della fantasia.
  

Pilar Martínez e Marco Somà, La gallinella rossa, Kalandraka 2012

giovedì 7 febbraio 2013

Su un vecchio appunto, di Giorgio Caproni

Ora, sazio della città - delle sue tentazioni e dei suoi crimini - 
mi sono ritirato al limitare del bosco. Ad appagarmi la vista
poco mi basta: lo scintillio del fiume nel sole del mattino, giù
a fondo valle. Un albero...


  Un albero...
                  Com'è leggero
un albero, tutto ali
di foglie - tutto voli
verdi di luci azzurre nel celeste
dell'aria...

                  E com' forte,
un albero, com'è saldo
e fermo, "abbarbicato
al suo macigno (1)"...

                 Viene
l'autunno, e come
la Fenice s'accende 
nel rosso del suo rogo.

                Viene
primavera, e splende
d'altro suo verde...

                Ma noi,
noi, al paragone,
che cosa e chi siamo, noi,
senza radici e senza
speranza - senza
alito di rigenerazione?

Da Il franco cacciatore (1973-1982)

"Il franco cacciatore  non è un libro di massime e riflessioni messe in versi. Possiamo leggerlo come un taccuino di viaggio, come un romanzo, un dramma a più voci, un libretto d'opera che nasconde in sè la propria musica. Tutto vi è chiuso, serrato, geometrico: la linea vi domina superbamente. Ma, d'altra parte, queste poesie affondano nello spazio, non hanno principio né fine, grandi buchi dividono le strofe, dividono le parole, traforano le parole, come se una mano d'aria avesse disegnato ogni lettera sul fondo del vuoto" (Pietro Citati, in Corriere della sera, 25 luglio 1982)

(1) Libera citazione da Le stagioni di Giuseppe Ungaretti: "E’ nuda anche la quercia, /ma abbarbicata sempre al suo macigno."

giovedì 10 gennaio 2013

Michela Ponzani, Guerra alle donne

Poco visibili, coperte d’infamia, vittime di una tragedia che, anche quando sopravvivono, è meglio resti non detta, sono le donne violate dagli stupri di massa e comunque da ogni stupro teorizzato, programmato, spietatamente usato come “arma di guerra”. Nel 1992 si stimò che fossero almeno venticinquemila le donne bosniache musulmane vittime delle violenze perpetrate dalle truppe serbe durante il conflitto interetnico dei Balcani. Non tanto vittime di un malinteso “istinto virile”, queste donne, quanto creature immolate a seguito di precisi ordini militari, di una strategia finalizzata ad umiliare il nemico fin nel più intimo delle sue case, dei suoi affetti, dei suoi corpi più innocenti. L’Europa, almeno quella che ancora è in grado di riflettere, rimase attonita dinanzi al fatto che simili violenze potessero avvenire nel continente che aveva generato i diritti dell’uomo e del cittadino e nella "civile" realtà contemporanea.

Questo libro, però, ritorna più indietro: si occupa delle memorie di donne comuni nell’Italia del secondo conflitto mondiale, fra il 1940 e il 1945. Attinge alla ricca documentazione raccolta dall’Archivio della memoria delle donne del Dipartimento Discipline storiche dell’Università di Bologna. Riannoda fili di memoria umile, la più a rischio di oblio.
Per la donna violata nulla sarà più come prima, e perfino l'avvento di un periodo di pace le apparirà spento e povero di futuro: "La guerra aveva risparmiato le nostre vite ma cancellato l'identità, l'anima; quella di prima era sepolta per sempre" scrive Annamaria, negli anni Novanta, quando è ormai anziana e sola nella sua casa romana. “La guerra alle donne è stata una lotta oscura, che ha assorbito energie, devastato sogni, speranze e sentimenti”, conclude l’autrice, ricercatrice all'Istituto Storico germanico di Roma.

Michela Ponzani, Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupri, amanti del nemico. 1940-45, Einaudi 2012.