sabato 28 novembre 2015

Preghiera per Černobyl', di Svetlana Aleksievič

"Cambiò il mondo. Cambiò il nemico. La morte ebbe facce nuove che non conoscevamo ancora. Non si vedeva la morte, non si toccava, non aveva odore. Mancavano persino le parole per raccontare della gente che aveva paura dell'acqua, della terra, dei fiori degli alberi. Perché niente di simile era accaduto prima. Le cose erano le stesse - i fiori avevano la solita forma, il solito odore - eppure potevano uccidere. Il mondo era il solito e non era più lo stesso" (p. 9)
Non è più lo stesso, il mondo, non è più lo stesso l'uomo. L'euforia della tecnica assassina, la fiducia nell'onnipotenza  e perfezione di marchingegni velenosi, la perdita del senso della misura, l'ignoranza della condizione umana sulla terra - l'uomo, piccolo essere tanto fragile quanto tracotante - hanno prodotto quella Černobyl',  e le tante piccole e grandi Černobyl' che sono seguite: da Fukushima all'aria irrespirabile di Pechino e di Città del Messico alla Samarco brasiliana; da Seveso ai fanghi rossi di Scarlino e all'ILVA di Taranto per stare nel nostro piccolo. Uomini che uccidono il genere umano. Perché? Per il profitto, per la ragion di stato, per cieca e crudele tracotanza?
In questo libro che tutti devono leggere - e non solo perché l'autrice è stata insignita del premio Nobel per la Letteratura 2015 - sono raccolte testimonianze da Černobyl'. Raccontano le persone che hanno vissuto il disastro e nelle loro storie si sentono ancora il dolore e l'orrore, l'incredulità e la rassegnazione. Ecco, proprio la rassegnazione pare essere il vero nemico dei cittadini del mondo di oggi: considerare "naturali" le catastrofi dovute all'uso di tecnologie e sostanze nocive conduce, tra l'altro, all'accettazione passiva di "nuove" malattie, come i tumori, la cui origine è ambientale. A Černobyl' i porcospini ora nascono senza aculei, così come bambini sono nati senza arti o con i tessuti già sfatti e ustionati o privi dei naturali orifizi del corpo. Si può accettarlo? Si può perdonare? Certo che no. Ma la protesta deve salire, le abitudini di vita devono cambiare, all'insano culto del profitto unito al disprezzo per le creature umane bisogna sbattere la porta in faccia. Per questo la rassegnazione è la scelta peggiore. 

Svetlana Aleksievič, Preghiera per Černobyl', Edizioni E/O 2002. Traduzione dal russo di Sergio Rapetti

domenica 8 novembre 2015

Dio e il suo destino, di Vito Mancuso

 
 
Sarà in libreria il 12 novembre Dio e il suo destino di Vito Mancuso, ma ieri a Borgomanero, nel corso di un incontro organizzato dalla Fondazione Marazza se ne è parlato in anteprima alla presenza dell'autore, introdotto dal novarese Giannino Piana.
Apriamo il libro e leggiamo due dediche: "A chi ha perso Dio a causa di Deus" e "alla memoria di don Andrea Gallo che credeva in un Dio antifascista". Sono dediche e già vi è presente l'assunto del volume (463 pagine), che si apre con un breve capitolo intitolato "Personaggi principali". Chi sono costoro? Dio, la forza buona dell'essere; Deus, l'archetipo del divino nella mentalità occidentale, forza e onnipotenza; il Destino, svelamento della verità delle cose; Trinitas, la "più veritiera e la più attuale interpretazione di Dio, la prospettiva su cui camminare per rendere ragione della verità globale dell'essere e dell'esperienza umana" (pp. 13, 14).
La tesi che l'autore sostiene è che, se l'immagine di Dio non sarà liberata dalle prerogative del Deus, il suo declino, già iniziato nella mente e nel cuore degli esseri umani, anche tra molti di quelli "di buona volontà", sarà definitivo. La lontananza di questa concezione di Dio - Deus dal mondo e dall'esperienza di coloro che vivono su questa terra verrà percepita come incolmabile.
Possono la riflessione teologica - e la pratica di fede - subire questo scacco? Certo che no, afferma Mancuso, perché "in gioco non c'è l'esistenza di un essere misterioso là in alto, ma il senso dell'essere qui in basso". Il Dio del quale parlano la Chiesa cattolica e le altre religioni del mondo, tornerà ad essere orizzonte e luce della fede degli umani, solo se verrà definito (e comunicato) come speranza sotto forma di pensiero, idea del bene e libertà autentica e profonda.
"Il risultato a cui sono giunto è che il vero nemico dell'idea di Dio in Occidente non è l'ateismo, non è il relativismo, non è nessuna delle minacce di cui parlano spesso gli uomini di Chiesa: è invece l'idea di Dio prodotta nei secoli dal potere religioso e depositata nella cosiddetta dottrina, a protezione della quale vennero collocati una serie di fossati e fili spinati detti anatemi e scomuniche, senza esitare a togliere violentemente la vita a tutti coloro che la contestavano e che non potevano essere vinti con la limpida verità delle argomentazioni" (p. 29).
Il saggio è variegato e profondo, si muove tra teologia, filosofia, letteratura, scienza e conta dieci capitoli (Dichiarazione d'intenti e descrizione del protagonista; Perché ne abbiamo ancora bisogno; Deus: la sua identità nella Bibbia ebraica; Il Nuovo Testamento e il suo Dio; Sorgere dell'eresia; Il Dio della dottrina; L'aporia manifesta; Elementi per una nuova immagine di Dio; Questioni di stile). Conclude la trattazione una ricca e preziosa "guida bibliografica".
Un libro che sicuramente si farà leggere (e rileggere), che farà scoprire, riflettere, sperare, come si addice a tutte le opere autentiche, appassionate e per nulla effimere.
 
 
Vito Mancuso, Dio e il suo destino, Garzanti 2015

sabato 7 novembre 2015

La vita felice, di Plutarco

"Io ammiro Diogene per aver detto al suo ospite a Sparta, vedendolo indaffarato a prepararsi una festa:  - Un uomo onesto non considera tutti i giorni una festa? -.  E una festa proprio splendida se siamo saggi". (p. 60)
Quando e perché una vita possa dirsi felice è una domanda che molti in ogni epoca si sono posti. E se, per gli antichi, la felicità e la bontà di una vita potevano definirsi solo al suo termine nella somma dei giorni, degli anni e delle azioni, la velocità insana che spinge e comprime l'oggi in questi nostri giorni può sviare, anzi: sicuramente svia, dal comprendere in che cosa consista la vita felice.
Leggere o rileggere questa riproposta delle riflessioni di Plutarco nella bella e "moderna" traduzione di Carlo Carena, può favorire meditazioni e domande, non tanto sulla definizione di felicità, ma piuttosto sui tanti sviamenti dall'essenziale, dal bello e dal buono in cui cade chi non affronta la vita con riflessione e misura.
Così scorriamo queste pagine con curiosità e leggerezza insieme, capitolo dopo capitolo: La fortuna; Non si può avere una vita piacevole seguendo Epicuro; La tranquillità dell'animo; Norme per mantenersi in buona salute; Norme per il matrimonio; Il banchetto dei Sette Sapienti; Venticinque detti di re, di generali e di Spartani.
"Discrezione e armonia nelle passioni, nella soddisfazione dei sensi, nei rapporti sociali; culto della sapienza e uso dell'esperienza; connessione di attività mentali e materiali, di godimento della buona sorte e di solerzia per procurarsela, dei piaceri intellettuali e cum grano salis, di quelli corporei", così sintetizza Carena in un passo dell'introduzione la visione del mondo di Plutarco.
 
 
Nato a Cheronea in Beozia (Grecia centrale) nel 49 d.C., Plutarco studiò ad Atene scienze e retorica. Intrecciò amicizie e relazioni a Roma e ricoprì alcune cariche pubbliche in Grecia ai tempi dell'impero di Adriano. Fu anche sacerdote a Delfi e legato al culto di Apollo. Ebbe moglie e cinque figli.
 
Plutarco, La vita felice. A cura di Carlo Carena, Einaudi 2014

mercoledì 4 novembre 2015

FERMENTI rivista, n. 243


                                  
La rivista "Fermenti", periodico  a carattere culturale, informativo, d'attualità e costume, nacque a Roma nel 1971, per iniziativa di Velio Carratoni. Negli anni la rivista ha assunto il peso e lo spessore di un vero e proprio volume, inteso non solo nei suoi aspetti materiali (numero di pagine, ben 358; immagini) ma soprattutto nei contenuti che offrono occasioni di vero approfondimento e di multiforme interesse.
Questo ultimo numero, nelle diverse sezioni che vanno dalla critica letteraria alla saggistica generale, dalla poesia, alla narrativa, all'arte, coinvolge numerosi studiosi:
G. Alvino, M.P. Argentieri, G. Baldaccini, E. Bellini, R. Bernini, C. Caligari, D. Cara, M. Carlino, V. Carratoni, G. Colletti, B. Conte, A. Contiliano, A. De Rose, G. De Santi, S. Di Marco, D. Di Poce, D. Di Stasi, G. Di Stefano, M.L. Ercolani, F. Ermini, G. Fontana, G. Forti, M. Furia, B. Giacopello, R. Giannini, V. Guarracino, M. Lenti, C. Mancuso, R. Marconi, F. Medaglia, F. Muzzioli, M. Nocera, M. Palladini, G. Panella, R. Pennisi, R. Piazza, M. Piazzolla, M. Pieri, D. Pietrini, I. Pozzoni, C. Sangiglio, L. Succhiarelli, M.A. Tavernese, V. Verzieri, E. Villani, K. Willman.
Un ricco inserto in appendice si occupa, come sempre, della Fondazione Piazzolla.
La rivista è disponibile anche in formato digitale.

CAPOVERSO. Numero speciale dedicato a Pasolini


CAPOVERSO. Rivista di scritture poetiche che si pubblica a Cosenza per le Edizioni Orizzonti Meridionali dedica il suo più recente numero (29, gennaio - giugno 2015) a Pier Paolo Pasolini. "Omaggio a Pasolini" raccoglie diciotto saggi sull'opera dello scrittore assassinato quarant'anni fa e sei liriche in suo onore: un numero monografico interessante e, forse, indispensabile nella presente ricorrenza.
Otto testi (Bellini, Bianchi, Cipparrone, Civitareale, Corbo, Guarracino, Panella, Papi) si occupano della poesia; tre della narrativa (Bafaro, Gaudio, Sangiuliano). A questi seguono contributi sulla saggistica e il cinema (Gaccione, Leporace, Villa, Zaccuri), dopo i quali leggiamo testimonianze di Bilotti, Ferretti e Macrì. Le poesie dedicate sono di Bettarini, Desideri, Gordano, Maleti, Petrungaro, Piazza.
"Senza Pasolini" è il titolo dell'appassionata introduzione di Franco Dionesalvi, che scrive, tra l'altro: "Con lui se n'è andato un modo diverso di intendere e praticare il ruolo dell'intellettuale: non un professionista dell'editoria o delle lettere, ma un "sacerdote", una persona che si vota all'elaborazione teorica, alla percezione del "senso", e a queste informa tutte le scelte della sua vita. Inseguendo un'idea di coerenza assoluta , e sposando quelle scelte costi quel che costi, fino alle estreme conseguenze".