sabato 24 ottobre 2009

1909. Un testimone del massacro degli armeni

E' uscito lo scorso anno un libro che narra, attraverso il ritrovamento del diario di un missionario francese, il massacro degli Armeni nella città turca di Adana nel 1909. Si tratta di: Stainville Raphaël, Grande male Medz Yeghern. Turchia 1909. Un testimone del massacro degli Armeni, San Paolo Edizioni 2008, Traduzione e nota introduttiva di Eleonora Bellini.
Riportiamo qui una parte della nota introduttiva:
- Adana è una città turca della Cilicia, regione dell'Anatolia sud-orientale, ed è situata al centro della fertile piana del fiume Seihan. La sua storia risale all'epoca degli Ittiti e fu posta successivamente sotto la dominazione di greci, assiri, persiani, romani. In epoca cristiana, è documentata la partecipazione del suo vescovo Paolino al Concilio di Nicea; poi di Ciriaco a quello di Costantinopoli. Al successore di quest'ultimo, Anatolio, Giovanni Crisostomo scriveva apprezzamenti per il fatto che Adana si presentava come “città tranquilla e felice”. Nel 395, dopo la morte di Teodosio, la città fece parte dell'Impero Bizantino; poi, verso il 650, venne conquistata dagli arabi per ritornare ai bizantini nel 964 con Basilio II. Da questo momento in poi vi si sarebbero insediati molti armeni (la chiesa armena si era distinta dalle altre cristiane nel VI secolo). Ad Adana, nel 1097, gli armeni accolsero i paladini della Prima Crociata. La città fece quindi parte del regno della Piccola Armenia o Armenia Minor, fino all'annessione all'Impero Ottomano, con Selim I, nel 1517.
Nell'aprile del 1909, quando si svolsero i terribili fatti raccontati in questo libro, la città contava circa trentamila abitanti: musulmani per poco meno della metà, poi circa dodicimila armeni, qualche migliaio di greci e pochi altri. La popolazione lievitava d'estate con gli stagionali che vi giungevano per la lavorazione del cotone. Cominciava ad insediarvisi l'industria tessile ed Adana era apprezzata per la lavorazione artigianale di tessuti, tappeti, ceramiche, oreficeria. Altre sue ricchezze erano gli oliveti, gli aranceti, i vigneti della campagna circostante, nonché la pescosità del Sehian. Tutte qualità che sembravano legittimare la leggenda secondo la quale il suo nome, considerata la fertilità e la bellezza del territorio, poteva derivare da Eden,.
Sul versante politico esistevano forti tensioni, nella città come nel resto del Paese, fin dall'autunno del 1908. La presa del potere da parte dei Giovani Turchi, che proclamavano di muoversi guidati dagli ideali di liberté, egalité, fraternité, aveva creato la convinzione che l'epoca cruenta di Abdul Hamid, il “sultano rosso” responsabile delle stragi di armeni avvenute tra il 1894 ed il 1896, fosse stata una triste parentesi, chiusa per sempre. Tuttavia le tensioni serpeggiavano ancora fra le diverse fazioni - gli stessi Giovani Turchi, i liberali, i nostalgici dello stato islamico – soggette, tra l'altro, alle interferenze delle potenze straniere. E queste tensioni si estendevano dal versante politico a quelli economico, etnico, religioso. In realtà, la Costituzione del nuovo Stato Turco, laico, garantiva a tutte le confessioni pari libertà religiosa e pari diritti. Ma da alcuni mesi, ad Adana, correvano voci su una presunta rivolta organizzata dagli armeni. Ai primi di marzo dell'anno 1909 un grave oltraggio alla Grande Moschea, la cui porta venne cosparsa di escrementi, contribuì ad irritare gli animi dei musulmani, e questo anche se l'innocenza degli armeni, e dei cristiani in generale, fu provata. [...]
Il reportage di Stanville si snoda su due piani temporali diversi e che tuttavia procedono paralleli. All'inizio della narrazione il giovane autore, in viaggio a piedi da Parigi a Gerusalemme, viene ospitato da alcune suore italiane che si occupano della chiesa di San Paolo in Adana. Le suore, stabilitesi nella città nel 1996, appartengono all'ordine delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria di Parma. Una di loro gli affida in lettura un manoscritto trovato tra le carte disordinate della povera biblioteca della chiesa. All'apertura del manoscritto, incredulità e sgomento dapprima, indignazione ed orrore poi, si impadroniscono di Stainville e la primavera del 1909, nella quale si scatenarono i massacri degli armeni nella città di Adana e nella sua provincia, torna a rivivere. La narrazione procede quindi per una parte nel presente e per l'altra nel passato, attraverso la trascrizione delle pagine del diario contemporaneo all'eccidio[...]
Per il lettore italiano può essere interessante citare un passo tratto da un articolo de La Civiltà Cattolica contemporaneo a quei fatti (E. Rosa, “Le recenti stragi di Adana”, 1909, II, p. 740): “...a poche miglia da una rada ove sorgevano corazzate di nazioni civili, da una città dove erano i loro consoli ed i loro rappresentanti, succedeva per mezzo mese un macello di popolazioni innocenti senza che una mano di uomini risoluti o un passo vigoroso di potenze europee valesse ad impedirlo”. La rivista dei gesuiti, che utilizzava informazioni provenienti dai propri religiosi missionari in Turchia (nel collegio maschile di Adana insegnavano in quell'anno una trentina di padri), aveva dato spazio già nel 1896 alla condanna delle violenze contro gli armeni e lo avrebbe fatto anche successivamente, nel 1915, sempre facendo notare le responsabilità dei governi occidentali, che si concretavano, se non nell'assoluto silenzio, in proteste tardive, distaccate, inefficaci.
E sul versante degli oppressori? Il governo turco negò che le stragi e le deportazioni di armeni obbedissero alla logica del genocidio. Affermò piuttosto che queste costituirono la risposta al fatto che, in diversi momenti critici nella politica interna o estera - ad esempio allo scoppio della prima guerra mondiale -, manipoli armeni si fossero organizzati per muovere in rivolta contro lo stato turco. E questo giudizio, ad oltre un secolo dalle prime stragi, non è stato sostanzialmente modificato, come nota Stainville negli ultimi capitoli, che dedica alle difficili condizioni di vita attuali delle comunità cristiane in Turchia. Nonostante alcune aperture e il tentativo di avvicinamento all'Europa, il genocidio degli armeni viene negato dalle fonti ufficiali turche. Oggi come nel 1909 di Adana.
Ma la repressione e la punizione di armeni ribelli ed armati esigevano davvero, per essere efficaci, i lattanti infilzati sulle scimitarre, le fanciulle affogate nel Seihan, le madri con il ventre squarciato?
Al capitolo 10 di questo libro si fa cenno ad un rozzo poliziotto che legge in ufficio il Mein Kampf di Hitler. E torna così alla mente un'altra domanda, anch'essa retorica, che lo stesso Führer, nell'agosto del 1939, poco prima di aggredire la Polonia, pose ai suoi collaboratori, per vincere ogni loro titubanza di fronte ai piani di sterminio: "Chi si ricorda più del massacro degli Armeni ?" -.
(Tutti i diritti riservati Ed. San Paolo)

lunedì 5 ottobre 2009

Il cammino della speranza, di Sandro Rinauro


Questo libro di oltre 400 pagine tratta un argomento il cui ricordo è ormai scomparso dalla memoria di molti di noi: l'emigrazione clandestina di italiani in altri paesi europei, molto diffusa nel periodo tra le due guerre mondiali e fino agli anni Cinquanta.
In copertina il volume reca un'immagine tratta dal celebre film omonimo di Pietro Germi, la cui scheda sintetica potete trovare qui: http://www.archivio.raiuno.rai.it/schede/9006/900684.htm

L'introduzione parte dall'idea diffusa che considera le migrazioni illegali come conseguenza della attuale globalizzazione economica e sociale; tuttavia, prosegue, oltre il 50% per cento dei lavoratori italiani emigrati in Francia tra il 1945 e il 1960 erano clandestini, poi seguiti illegalmente dalle proprie famiglie. Così fu anche per altri Paesi "esportatori" di manodopera come Spagna e Portogallo. Come spiegare, allora, questo fenomeno verificatosi ben prima della globalizzazione?
Lo studio della emigrazione clandestina italiana, afferma l'autore, "non contribuisce solo alla conoscenza di un aspetto importante e misconosciuto della storia sociale nazionale, ma anche alla comprensione delle cause e dei meccanismi della grande diffusione dell'esodo illegale in Europa prima dell'avvento della globalizzazione. La ricostruzione della vicenda ha permesso di ricostruire anche la conoscenza delle condizioni degli emigranti italiani [...] questo libro dedica tanto spazio alle modalità del viaggio, ricorrendo alle drammatiche descrizioni coeve dell'attraversamento clandestino dei confini (non di rado funesto), all'indagine del disagio occupazionale e abitativo degli illegali e alla loro precarietà sui mercati di lavoro stranieri."
Il volume si chiude con la narrazione della tristissima vicenda dei clandestini italiani indotti a combattere nelle guerre di Indocina e di Algeria.

S. Rinaudo, Il cammino della speranza, Einaudi Storia 2009.