venerdì 29 novembre 2013

ILVA. Comizi d'acciaio, di Carlo Gubitosa e Kanjano

C'è una bambina di nove anni che vive in una delle città più inquinate d'Italia e c'è un'altra piccoletta che vive a Carajàs, Brasile. Quale è il legame tra loro? Entrambe sono vittime del siderurgico "ILVA", un gigante dell'acciaio che semina inquinamento e malattie dall'uno all'altro capo del mondo. 
L'ILVA di Taranto è stata ed è al centro di un dibattito e di indagini giudiziarie che hanno permesso di identificare con certezza i colpevoli della morte lenta della città pugliese affacciata sul mar Ionio e non priva di naturale, suggestiva bellezza. Ma la vicenda non è ancora finita: bisogna bonificare, in fretta. Chi lo farà?
Questo libro ricostruisce trent'anni di storia dell'industria siderurugica a Taranto avvalendosi di un'ampia documentazione derivante da ricerche giornalistiche, rilevazioni medico sanitarie, ricerche ambientali, dati raccolti in loco. Svela "il legame di sofferenza che unisce da un continente all'altro chi vive all'ombra dell'industria siderurgica", raccontando la tragedia di una comunità brasiliana (stati del Parà e del Maranhão) sfruttata per la ricchezza del suo sottosuolo e colpita profondamente da quelle malattie e da quella devastazione ambientale che lo sfruttamento selvaggio ed inumano porta con sé. 
In appendice alla graphic novel si può leggere una dettagliata cronologia  dei fatti principali riguardanti il siderurgico di Taranto, curata da Carlo Gubitosa e da Michele De Benedetto. Conclude l'opera una riflessione di Alessandro Marescotti sul futuro dell'acciaio; l'autore si domanda "il mondo ha proprio bisogno di tutto questo acciaio?" La documentata risposta è no. Quale allora il futuro (che i potenti NON ci dicono) di questi mastodontici e nocivi siti industriali? La soluzione possibile esiste e ne sono esempi Stoccolma e il suo quartiere di Hammarby Sjöstad, nonché l'intera area della Ruhr in Germania.

 Hammarby Sjostad (immagine tratta dal sito di PEACELINK)
La storia, le immagini, i testi di questo libro sono rilasciati con licenza Creative Commons; possono dunque essere citati, riprodotti e condivisi senza fine di lucro, citando autori e fonti.

Carlo Gubitosa e Kanjano, ILVA. Comizi d'acciaio, BeccoGiallo 2013

sabato 23 novembre 2013

Il sole dei morenti, di Jean Claude Izzo

Quando gli addetti dell'ambulanza portano via il corpo di Titi, morto di freddo sotto una panchina della stazione del metro parigino di Ménilmontant, Rico capisce che è venuta l'ora di lasciare quella città. Il suo solo amico se n'è andato e l'inverno morde e uccide. Rico decide di partire per il Sud, per Marsiglia. Pensa: morire per morire, meglio morire al sole. Il viaggio attraverso la Francia d'inverno diventa per Rico anche il viaggio attraverso la memoria della sua vita: il fallimento del matrimonio, un figlio che non ha più il diritto di vedere, la perdita del lavoro. E' infinitesimale e spietato il gradino che ti fa precipitare da una vita "normale" al marciapiede, alle giornate passate a chiedere l'elemosina, alle notti trascorse nei ripari improvvisati che celano, nell'ombra delle città, i barboni. Di questo Rico è consapevole, lucidamente convinto e, nella presente svolta finale della sua vita, nemmeno troppo disperato. La disperazione ha preso altre vie, quella del fiato che fatica ad uscirgli dai polmoni, quella dell'alcol che gli rode le viscere e gli appesantisce il passo. Rico scende verso Marsiglia e spera di incontrarvi Léa, il suo primo amore. Ma stare al mondo non è semplice e certi incontri, preziosi e profondi, non si ripetono. E poi, come sarà ora Léa? Quella fanciulla bruna e sognante dovrebbe essere ora una donna di cinquant'anni: la nozione del tempo trascorso si affaccia alla mente di Rico e tuttavia la sua mente la respinge. L'immagine della fanciulla è indelebile, immutabile nel ricordo. Rico capisce: "Sarà più facile per chi morirà per ultimo. Perché avrà già perso tutto". 
Per scrivere questo romanzo, il suo ultimo, ritenuto dalla critica il suo capolavoro, Izzo si documentò a lungo sulla vita quotidiana dei senza fissa dimora, degli emarginati, dei barboni, delle prostitute povere, degli immigrati recenti. Di tutti coloro che vivono nell'ombra e al cospetto dei quali si distoglie lo sguardo o si tace.

Jean Claude Izzo, Il sole dei morenti, E/O

mercoledì 20 novembre 2013

Anna Politkovskaja, di Francesco Matteuzzi ed Elisabetta Benfatto


"Io vedo tutto, questo è il mio problema". Si apre con la citazione di consapevoli e, alla luce di quello che di lei avvenne, anche tragiche parole di Anna Politkovskaja questo fumetto che propone momenti fondamentali dell'attività della giornalista russa, nata nel 1958 a New York da due diplomatici sovietici che lavoravano all'ONU. La sua carriera giornalistica si svolse tutta nella patria d'origine e il suo imperativo categorico fu all'insegna della convinzione che "il giornalista deve dire ciò che vede", la verità dei fatti. Fortemente critica verso il regime di Putin, Anna Politkovskaja fu più volte in Cecenia per documentare le violenze e le violazioni dei diritti umani, la tragedia di un popolo. Fu in prima fila, come mediatrice, al momento dell'irruzione di 42 terroristi al teatro DUBROVKA di Mosca (23 ottobre 2002), che poi si concluse tragicamente a causa di un'azione di forza dei servizi segreti russi. Corse a Beslan il giorno in cui la scuola elementare venne presa in ostaggio da un gruppo terroristico (1 settembre 2004), ma non vi arrivò, perché fu avvelenata in aereo. Si riprese tuttavia e continuò la sua attività con la consueta passione. Fu assassinata il 7 ottobre 2006, giorno del cinquantaquattresimo compleanno di Putin, nell'androne del suo palazzo.
Questa sua coinvolgente storia a fumetti è corredata da una cronologia della vita della giornalista, da testimonianze di Andrea Riscassi e di Ottavia Piccolo, da un'intervista di Francesco Matteuzzi a Paolo Serbandini, giornalista e sceneggiatore esperto di cose russe, che ebbe contatti con la Politkovskaja.
 
 Francesco Matteuzzi ed Elisabetta Benfatto, Anna Politkovskaja, Becco Giallo 2010