mercoledì 29 ottobre 2008

Quello era un uomo che la verità...

"Io invece, stamattina, ho creduto fosse sincero: che non sapesse niente di più di quello che ha detto, che non ricordasse..."
"Ti è parso sincero, in confusione, quasi mortificato dal fatto di non poter dire di più, di non poter ricordare meglio... Ma quello era un uomo che la verità non la diceva nemmeno su quello che aveva mangiato a pranzo o sull'orario dei treni. Sistematicamente. E se ha detto quello che ha detto, fingendo come per te, non per me, ha saputo fingere, uno scopo doveva averlo di certo. E sai che ti dico? Molto probabilmente lui non ha visto niente: si è inventata quell'impressione, ha finto di avere quel vago ricordo, in base a un calcolo che avrà immediatamente fatto, di fronte alla ricostruzione che noi stavamo facendo... Poco fa io ti ho detto che stamattina mi era venuto il dubbio che l'avvocato sapesse. Stavo sbagliando: l'avvocato non sapeva niente. Ma appena ha afferrato che, stando alla sinistra di Michelozzi, qualcosa poteva aver notato, ha calcolato che dicendo di avere avuto quell'impressione, di qualcuno che si fosse insinuato tra lui e Michelozzi, quel qualcuno, conoscendolo, avrebbe fatto di tutto per fermare la sua memoria; di tutto, cioè per compensare in favori e denaro il suo silenzio, come tra loro usano..."

Leonardo Sciascia, Todo Modo, 1974, pagg. 83-84.

mercoledì 8 ottobre 2008

Candido di François-Marie Arouet, detto Voltaire

C'era in Vestfalia, nel castello del signor barone di Thunder-ten-tronckh, un giovane al quale la natura aveva conferito i più miti costumi. Il suo aspetto ne rivelava l'anima. Possedeva un giudizio abbastanza retto, unito a una grande semplicità; per ciò, credo, lo chiamavano Candido. I vecchi domestici del castello sospettavano fosse figlio della sorella del signor barone e di un onesto e buon gentiluomo dei pressi che madamigella non volle mai come marito perché non aveva potuto provare che settantun quarti: il resto del suo albero genealogico era stato distrutto dalle ingiurie del tempo.
Il barone era uno dei più potenti signori della Vestfalia, perché il suo castello aveva una porta e delle finestre. Il salone era ornato d'arazzi. Tutti i cani dei suoi cortili, all'occorrenza, potevano formare una muta; i palafrenieri gli facevano da bracchieri, il vicario del villaggio da cappellano. Tutti lo chiamavano monsignore, e ridevano quando raccontava storielle.
La signora baronessa, che pesava circa trecentocinquanta libbre, era grazie a ciò assai considerata, e faceva gli onori di casa con una dignità che la rendeva ancora più rispettabile. La figlia Cunegonda, diciassettenne, aveva un bel colorito, era fresca, grassottella, appetitosa. Il figlio del barone pareva in tutto degno del padre. Il precettore Pangloss era l'oracolo della casa, e il piccolo Candido ne ascoltava le lezioni con tutta la buona fede della sua età e del suo carattere.
Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmoscemologia. Dimostrava in maniera mirabile che non esiste effetto senza causa, e che, in questo che è il migliore dei mondi possibili, il castello del signor barone era il più bello dei castelli, e la signora baronessa la migliore delle baronesse possibili.
"E' dimostrato" diceva, "che le cose non possono essere altrimenti:
giacché tutto è fatto per un fine, tutto è necessariamente per il miglior fine. Notate che i nasi sono stati fatti per portare occhiali; infatti abbiamo gli occhiali. Le gambe sono visibilmente istituite per essere calzate, e noi abbiamo le brache. Le pietre sono state formate per essere tagliate e farne dei castelli; infatti monsignore ha un bellissimo castello: il massimo barone della provincia dev'essere il meglio alloggiato; e poiché i maiali sono fatti per essere mangiati, noi mangiamo maiale tutto l'anno. Perciò, quanti hanno asserito che tutto va bene hanno detto una sciocchezza: bisognava dire che tutto va per il meglio".
(incipit dell'opera)