giovedì 15 gennaio 2009

Come si prevengano i delitti, di Cesare Beccaria

È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo piú falsi ed opposti al fine proposto. Non è possibile il ridurre la turbolenta attività degli uomini ad un ordine geometrico senza irregolarità e confusione. Come le costanti e semplicissime leggi della natura non impediscono che i pianeti non si turbino nei loro movimenti cosí nelle infinite ed oppostissime attrazioni del piacere e del dolore, non possono impedirsene dalle leggi umane i turbamenti ed il disordine. Eppur questa è la chimera degli uomini limitati, quando abbiano il comando in mano. Il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che ne possono nascere, ma egli è un crearne dei nuovi, egli è un definire a piacere la virtú ed il vizio, che ci vengono predicati eterni ed immutabili. A che saremmo ridotti, se ci dovesse essere vietato tutto ciò che può indurci a delitto? Bisognerebbe privare l'uomo dell'uso de' suoi sensi. Per un motivo che spinge gli uomini a commettere un vero delitto, ve ne son mille che gli spingono a commetter quelle azioni indifferenti, che chiamansi delitti dalle male leggi; e se la probabilità dei delitti è proporzionata al numero dei motivi, l'ampliare la sfera dei delitti è un crescere la probabilità di commettergli. La maggior parte delle leggi non sono che privilegi, cioè un tributo di tutti al comodo di alcuni pochi.
Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. Fate che gli uomini le temano, e temano esse sole.
Il timor delle leggi è salutare, ma fatale e fecondo di delitti è quello di uomo a uomo. Gli uomini schiavi sono piú voluttuosi, piú libertini, piú crudeli degli uomini liberi. Questi meditano sulle scienze, meditano sugl'interessi della nazione, veggono grandi oggetti, e gl'imitano; ma quegli contenti del giorno presente cercano fra lo strepito del libertinaggio una distrazione dall'annientamento in cui si veggono; avvezzi all'incertezza dell'esito di ogni cosa, l'esito de' loro delitti divien problematico per essi, in vantaggio della passione che gli determina. Se l'incertezza delle leggi cade su di una nazione indolente per clima, ella mantiene ed aumenta la di lei indolenza e stupidità. Se cade in una nazione voluttuosa, ma attiva, ella ne disperde l'attività in un infinito numero di piccole cabale ed intrighi, che spargono la diffidenza in ogni cuore e che fanno del tradimento e della dissimulazione la base della prudenza. Se cade su di una nazione coraggiosa e forte, l'incertezza vien tolta alla fine, formando prima molte oscillazioni dalla libertà alla schiavitù, e dalla schiavitù alla libertà.
da Dei delitti e delle pene, cap. XLI. Anno di pubblicazione 1764.

venerdì 9 gennaio 2009

Scorrettezza delle copie, di Cesare Cantù

I lamenti per la scorrettezza delle copie cresceano quanto più cresceva il desiderio di leggere; e il Petrarca esclamava: "Chi recherà efficace rimedio all'ignoranza e viltà dei copisti che tutto guasta e sconvolge? Né fo querela dell'ortografia, già da lungo tempo smarrita... Costoro, confondendo insieme originali e copie, dopo aver promesso una, scrivono un'altra cosa affatto diversa, sì che tu stesso più non riconosci quanto hai dettato. Se Cicerone, Livio, altri egregi antichi, singolarmente Plinio Secondo, resuscitassero, credi tu che intenderebbero i propri libri? o che non piuttosto, ad ogni pié sospinto esitando, or opera altrui, or dettatura dei Barbari li crederebbero? Non v'ha freno nè legge alcuna per tali copisti, senza esame, senza prova alcuna trascelti: pari libertà non si dà pei fabbri, per gli agricoltori, pei tesserandoli, per gli artigiani".
(C. Cantù, Storia della letteratura italiana)