La
figlia che non piange è una raccolta poetica che uscì postuma, nello stesso anno (2021) della morte del poeta. Come le precedenti di Scarabicchi è un bel libro, limpido ed essenziale,
ricco di sogni e anche di bilanci, di attenzione alla vita - fin
nelle sue più piccole, quotidiane e apparentemente insignificanti
manifestazioni - e a quel transito oltre la vita, che può essere
interpretato come un ignoto nulla, ma anche come compimento della
vita stessa.
Nei
versi di Epilogo,
ad
esempio, l'esistenza si apre ad altre vie, ignote, e genera domande:
"Dalla porta
del tempo passa il mondo,/ dai suoi sentieri ignoti, dalle strette/
vie degli istanti che non torneranno./ Dov'è che vanno, allora? A
chi votati?/ E quanto d'ogni umano si cancella?"
E
ancora in Qui
regna il tempo che scompare: "Qui regna il tempo che
scompare,/
la fuga sua invisibile,/ il nome che non resta,/ giorno
della stagione, breve resa,/
limite d’ogni soglia inesistente".
Il
garbo, la misura, l'attenzione estrema alla parola, la musicale
sobrietà del verso sostengono e contraddistinguono la scrittura di
Scarabicchi anche in questa sua ultima e consapevolmente definitiva
raccolta, che si apre con la citazione di alcuni versi di Vittorio
Sereni da Stella
variabile, da uno dei
quali è tratto il titolo: "È
cresciuta in silenzio come l'erba/ come la luce avanti il mezzodì/
la figlia che non piange".
Titolo che introduce inequivocabilmente il contenuto della raccolta:
forza della natura silente, sentimenti e affetti umani, inesorabile
frattura tra i tempi del mondo e della natura e il precario tempo
della vita umana. Ancora alle labili tracce che lasciano le esistenze
umane nel mondo si riferisce la seconda citazione in esergo, di
Camillo Sbarbaro: "Le
generazioni passan come/ onde di fiume".
E
in Scarabicchi: "[...]
Dei fasti della corte resta il niente,/ di quell'impero vegetale è
il sonno/ che tocca la ringhiera arrugginita,/ gli scalini, la
piccola fontana. /Ogni beltà è sparita come nube/ a cui è negato
il più lontano cielo"
(L'aiuola).
Scriveva,
tra l'altro, Fabio Pusterla su Doppiozero del 26 aprile 2021, pochi
giorni dopo la scomparsa del poeta: " [...] ardeva in Francesco
il fuoco segreto della poesia, che lo spingeva regolarmente a
scendere
in miniera (così
si esprimeva in una lettera; e un’espressione simile avrei poi
incontrato in un passo di Giorgio Caproni), a scavare negli strati di
profondità dell’esperienza, alla ricerca di minerali dolorosi e
preziosi. La difficile miniera dell’interiorità, della meditazione
sull’essere: questo era il territorio in cui il poeta voleva e
doveva immergersi, lungo una tradizione novecentesca che passava dal
maestro in presenza, Scataglini, a quello più distante e presto
scomparso, Caproni, all’archetipo di questa concezione della
poesia, Umberto Saba; più indietro, il grande paesaggio di
Leopardi". Mi pare questa una sintesi perfetta ed esemplare
della poesia di Scarabicchi, del suo alto profilo.
In
margine, mi piace ricordare che Francesco Scarabicchi con Il
prato bianco vinse
il Premio di Poesia e traduzione poetica "Achille Marazza"
nel 2017. Finalista con Gilda Policastro e Paolo Lanaro per la
sezione poesia (il premio per la traduzione poetica andò quell'anno
a Giorgia Sensi Graziani), fu poi votato con entusiasmo dalla giuria
dei lettori. La motivazione della giuria tecnica notò allora, tra le
altre cose: "Francesco Scarabicchi consegna al suo Il
prato bianco
un momento cruciale e altissimo della sua parabola poetica, che ne fa
uno degli autori maggiori degli ultimi decenni e una voce
assolutamente autonoma e particolare. In questo libro l’autore
chiude il cerchio iniziato molti anni prima con La porta murata, e
come doppiando un capo apre la via a ciò che seguirà".
Francesco Scarabicchi, La figlia che non piange, Giulio Einaudi Editore 2021.
Con una nota bio-bibliografica di Massimo Raffaeli
Scarabicchi al Premio Marazza con altri premiati e pubblico.
Fondazione Achille Marazza Borgomanero (NO) 27 maggio 2017