sabato 16 marzo 2024

16 ottobre 1943. Storia di Emanuele che sfuggì al nazismo, di Ernesto Anderle, Emanuele Di Porto, Marco Caviglia

Roma, ottobre 1943. Emanuele Di Porto, pur avendo solo dodici anni, si industria ad aiutare la famiglia con piccoli commerci ed è felice quando riesce a guadagnare qualcosa da portare alla mamma. Pensa che quello sia un giorno fortunato ed è fiero di sé. Anche mamma si congratula e gli dà una carezza. Papà riconosce le sue doti di buon commerciante e lo premierà portandolo a lavorare con lui, l’indomani, alla Stazione Termini. Lì, il ragazzino, intraprendente e simpatico, riesce a fare affari anche con i militari tedeschi. La sera, al ghetto ebraico, tutto è tranquillo e la famiglia Di Porto decide di festeggiare l’ottimo incasso della giornata andando al cinema. È la sera del 15 ottobre 1943. La mattina successiva cambia tutto.

La recensione per intero è su Mangialibri: 16 ottobre 1943 - Storia di Emanuele che sfuggì al nazismo | Mangialibri dal 2005 mai una dieta


domenica 10 marzo 2024

In ascolto del silenzio, di Eugenio Borgna

Nella nostra esistenza, in gran parte invasa da un continuo e spesso inutile chiacchiericcio mescolato a invadenti, assordanti e informi rumori di fondo, il silenzio può divenire per molti una dimensione sconosciuta, estranea, addirittura evitata. Nel suo più recente saggio Eugenio Borgna riflette sul silenzio, forte della sua esperienza di psichiatra, del suo amore per la letteratura e la poesia, della sua percezione dell'animo umano: "Alla scuola del silenzio le parole assumono il loro valore. Se non amiamo il silenzio è perché non sappiamo cosa dire, cosa domandare, cosa rispondere alla voce che chiama dalle misteriose lontananze della nostra anima [...] Nel silenzio si ascoltano voci segrete, voci dell'anima, che sgorgano dalla più profonda interiorità" afferma Borgna che cita, a questo proposito alcuni versi di Emily Dickinson: "Silenzio è tutto quanto temiamo./ C'è riscatto in una voce/ Ma silenzio è infinità".

Il silenzio, in questo saggio, viene esplorato e descritto attraverso le voci di poeti (oltre alla Dickinson, Leopardi, Rilke, Pascoli, Trakl, Pozzi), la riflessione di mistici e filosofi, l'esperienza clinica. Il silenzio, nella riflessione di Borgna, assume la varietà dei connotati, luci ombre colori, di un paesaggio quando si dispiega dinanzi agli occhi di un viaggiatore e diviene, a seconda delle contingenze, spazio di sosta e di meditazione, oppure di dolore e malinconia, o ancora di attesa e di apertura all'ascolto. 

Il silenzio nella musica dell'orchestra è fondamentale per la percezione delle note e del ritmo, il silenzio nella vita è fondamentale per conoscere, chiarire, approfondire sentimenti e pensieri. Il silenzio nella terapia e nel percorso educativo è una - fondamentale - forma di accoglienza, di ospitalità, di condivisione di spazi comuni. Quando le parole nascondono il disagio, il silenzio comunica, interroga, rivela e risponde.

Borgna conclude la sua magistrale riflessione affermando, tra l'altro, che "La cosa più importante è quella di guardare al silenzio come ad un'esperienza che non sia mai estranea alla vita, e alla cura in psichiatria. Al di là dei suoi molteplici aspetti, quello che unifica i diversi modi di essere del silenzio è la loro sorgente: quella della interiorità".


Eugenio Borgna, In ascolto del silenzio, Einaudi 2024

giovedì 7 marzo 2024

Bell'abisso, di Yamen Manai

Un ragazzo di quindici anni racconta in prima persona la sua vita. Confessa la rabbia che prova e ha provato nei confronti del padre, il suo senso di solitudine e di abbandono, la ribellione contro le ingiustizie commesse da quel genitore egoista, capace solo e sempre di punire, mai di dare affetto. Il ragazzo comincia a raccontare la storia della sua breve vita mentre si trova in carcere in attesa di processo per avere sparato a suo padre, al sindaco, al ministro dell’ambiente, reati che non nega di avere commesso. E all’avvocato d’ufficio che gli fa notare che queste azioni comprometteranno gravemente il suo futuro, risponde che il suo futuro era compromesso ben prima che si lasciasse andare ad atti di violenza. Sostiene che il suo futuro di giovane tunisino era già disperato, come quello di tanti altri, “i giovani del quartiere che si sono gettati in mare” e di Tarek, il cervellone che “si è imbarcato con la laurea in matematica incollata sul petto”. 

Recensione per intero su Mangialibri, qui Bell’abisso | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

Yamen Manai, Bell'abisso, E/O 2023. Traduzione di Valentina Abaterusso

Scritti pacifisti, di Jean Giono

Ciò che mi disgusta della guerra è la sua stupidità. Amo la vita. 
Non amo nient'altro che la vita. 
È molto, ma capisco che si possa sacrificarla a una causa giusta e bella. 

Ho curato malattie contagiose e mortali senza mai risparmiare la mia completa dedizione. 

In guerra ho paura, ho sempre paura, tremo, me la faccio addosso. Perché è stupida, perché è inutile. Inutile per me. 

Inutile per il compagno che è con me sulla linea di tiro. Inutile per il compagno di fronte. Inutile per il compagno che sta accanto al compagno di fronte nella fila dei fucilieri che  avanza verso di me. 

Inutile per il fante, per il cavaliere, per l'artigliere, per l'aviatore, per il soldato, il sergente, il tenente, il capitano, il comandante. 

Attenzione, stavo per dire: il colonnello. Sì, forse il colonnello, ma fermiamoci. 

Inutile per tutti coloro che stanno sotto la macina per la farina umana. Utile per chi allora? 

[…]

Chiunque sia contro la guerra è, già solo per questo, contro la legge. 

Lo Stato capitalista considera la vita umana come la vera materia prima per la produzione di capitale. 

Conserva questa materia finché gli è utile conservarla. 

(Trad. E. Bellini)

Giono, figlio di un calzolaio e di una stiratrice di origine piemontese, nacque in Provenza nel 1895. Fu uno degli undici uomini del suo battaglione sopravvissuti alla battaglia di Verdun. Da questa terribile esperienza nacque il suo rifiuto di ogni guerra. Tra i suoi scritti pacifisti ricordiamo Refus d'obéissance (da cui è tratta la breve citazione qui sopra), Précisions, Recherche de la pureté.

La sua opera più conosciuta in Italia, da adulti e ragazzi, è L'uomo che piantava gli alberi. 

venerdì 23 febbraio 2024

Il presepe di san Francesco, di Chiara Frugoni

Nel presepe di Greccio del Natale 1223, la cui storia è ricostruita in questo libro da Chiara Frugoni, Francesco non pone né Maria, né Giuseppe, né il Bambino, ma soltanto l’asino, il bue e la greppia con il fieno, elementi della narrazione della Natività presenti solo nei vangeli apocrifi. Una rievocazione, dunque, che va all’essenziale: povertà, amore, pace, in contrasto con le scelte di belligeranza della Chiesa che, da quasi trent’anni, bandisce crociate contro i musulmani, ma anche contro i Catari e gli Albigesi. Francesco, che non ha mai predicato le crociate, con il suo comportamento intende invece ribadire la propria integrale adesione al messaggio di amore di Gesù. Chiara Frugoni nota come egli non utilizzi mai termini legati alla vita militare, nemmeno nel senso metaforico di lotta contro il male, e come, durante i suoi viaggi in Egitto e Siria, si adoperi, pur senza successo, per convincere i crociati a non combattere. Inoltre, dopo aver chiarito che lui e i suoi frati sono dei cristiani e non dei crociati, si intrattiene in fraterni colloqui col sultano. Il presepe di Greccio si inserisce dunque tra i messaggi di pace, di semplicità, di essenzialità a cui Francesco ispira il suo pensiero, le sue azioni, tutta la sua vita.

La recensione per intero si legge su Mangialibri al link Il presepe di San Francesco | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

Chiara Frugoni, Il presepe di san Francesco, Il Mulino 2023

giovedì 22 febbraio 2024

Frunza semiluna/ Foglia a mezzaluna, di Eleonora Bellini

Frunza semiluna/ Foglia a mezzaluna, raccolta di quindici poesie accomunate dal tema dell'infanzia, è uscita a gennaio in versione bilingue rumeno - italiano. Traduzione in lingua rumena di Alexandru Macadan, immagine di copertina di Daniel Divrician. București Editura Cosmopoli 2024.

Scrive Antonio Spagnuolo: "Elegante agile edizione con testo a fronte in lingua rumena, nella impeccabile traduzione di Alexandru Macadan. Dal dovizioso scrigno dei versi Eleonora Bellini porta alla luce quelle cesellature che fanno della suggestione un elemento tangibile, per l’impeto che si annida misteriosamente nel nostro subconscio. Semplicissimo scorrere della parola per rintracciare pensieri o ricordi, sospensioni o illusioni, “ricercando minuscole bellezze nascoste”, “contando gli alberi lungo i viali”, indugiando tra i rami di corallo della fiaba, aspettando che “dall’eucaliptus scenda una foglia a mezzaluna”. Che cosa lasceremo oltre lo sciabordio del giorno che ci attanaglia nel quotidiano ?" (Poetrydream: SEGNALAZIONE VOLUMI = ELEONORA BELLINI (antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com)

"Plaquette che rivela ancora una volta la leggerezza leopardiana dei versi" (Eugenio Borgna).

giovedì 15 febbraio 2024

Pier Paolo Pasolini und sein Friaul: Von der Quelle seiner Dictung, di Michael Aichmayr

Michael Aichmayr prosegue i suoi itinerari letterari italiani - e in particolare friulani - con questo Pier Paolo Pasolini und sein Friaul: Von der Quelle seiner Dichtung. Eine poetische Begegnung zwischen Pier Paolo Pasolini und Ippolito Nievo (Pier Paolo Pasolini e il suo Friuli: dalla fonte della sua poesia. Un incontro poetico tra Pier Paolo Pasolini e Ippolito Nievo).

C'è un luogo, infatti, al quale entrambi gli scrittori hanno dedicato pagine liriche ed idilliache: la fontana di Venchiaredo, oasi di acque limpide, sosta di frescura e refrigerio capace di curare corpo ed anima. Scrive Nievo: “Tra Cordovado e Venchiaredo, a un miglio dei due paesi, v’è una grande e limpida fontana che ha anche voce di contenere nella sua acqua molte qualità refrigeranti e salutari. […] Sentieruoli nascosti e serpeggianti, sussurrio di rigagnoli, chine dolci e muscose, nulla le manca tutto all’intorno. E’ proprio lo specchio d’una maga, quell’acqua tersa cilestrina che zampillando insensibilmente da un fondo di minuta ghiaiuolina s’è alzata a raddoppiar nel suo grembo l’immagine d’una scena così pittoresca e pastorale. Son luoghi che fanno pensare agli abitatori dell’Eden prima del peccato; ed anche ci fanno pensare senza ribrazzo al peccato ora che non siamo più abitatori dell'Eden”.

Pier Paolo Pasolini, scrittore profondamente sensibile - nota Aichmayr - "alla visione e alla scoperta della cultura dell'antico Friuli rurale e cristiano a cui era legato", quasi un secolo dopo, nell'agosto 1945, scrisse una poesia dedicata alla stessa fonte:

"Limpida fontana di Vinchiaredo,/ acque modeste, tenerissimi legni,/ oggi a vent'anni io vi vedo, vi ascolto,/ nel vecchio fermento indifferente./ Ai miei piedi, dal prato basso, l'acqua/ rampolla, e lenta vola; e, ininterrotta,/ ricompone il suo canto più lontano./ Per me quell'onda canta: ma precluso/ alla sua interna gioia e al fresco riso,/ mi tormento a guardarla, ed ecco, scopro/ celesti giovinette, antichi giuochi,/ e corse, e voci ... Ah certo non è questo/ che si cela, vicino, in spazii ignoti/ e ricanta impassibile in quell'acqua."

La bellezza e la suggestione di questo luogo, con la tipica vegetazione e le risorgive che lo rallegrano, con le tracce di storia e di leggenda che ancora lo animano, rimangono dunque sempre vive grazie ai due illustri scrittori, ora presenti fianco a fianco anche in un tabellone ricordo del “Parco Letterario Ippolito Nievo”.


Michael Aichmayr, Pier Paolo Pasolini und sein Friaul: Von der Quelle seiner Dictung, Aichmayr Verlag 2023, con documentazione fotografica dell'autore

lunedì 12 febbraio 2024

Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio), di Vittorino Andreoli

Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio) è firmato da Vittorino Andreoli, psichiatra e saggista di raro acume e di immediata capacità comunicativa. Nel saggio i vecchi e la vecchiaia sono definiti sempre come tali, con estrema franchezza e senza eufemismi né perifrasi, perché le parole sono importanti nel definire la realtà e perché la vecchiaia non è una condizione triste e penosa, ma un periodo che può essere sereno e ricco di opportunità. 

Il testo si snoda in forma di lettera, con semplicità e chiarezza, e soprattutto, dato che anche l’autore ha ormai raggiunto la vecchiaia, con l’intento di parlare da pari a pari con chi condivide la sua stessa condizione.

La recensione integrale si può leggere su Mangialibri al seguente link: Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio) | Mangialibri dal 2005 mai una dieta


domenica 11 febbraio 2024

Memorie d'infanzia, di Sofja Kovalevskaja

"Di sera, dopo che era stato messo a letto Fedja e Anjuta era corsa nel salotto dei grandi, avevo preso l'abitudine di sedermi sul sofà accanto alla tata, e me ne stavo tutta accoccolata mentre mi raccontava delle favole. Il grado di influenza che queste ebbero sulla mia immaginazione lo giudico dal fatto che quando sono sveglia riesco a ricordare solo parte di esse, ma quando dormo può capitare anche oggi che me le sogni: o la morte nera o il lupo mannaro o il drago dalle dodici teste. E questi sogni mi assalgono con lo stesso inspiegabile terrore mozzafiato ora come allora, quando avevo cinque anni, all'ascolto delle fiabe della mia tata".

Nelle Memorie d'infanzia, datate San Pietroburgo 29 maggio 1890, Sofja Kovalevskaja (1850-1891) racconta gli anni della sua infanzia, della sua adolescenza e prima giovinezza ed esprime più volte la dolorosa sensazione di essere trascurata e ignorata rispetto alla brillante sorella maggiore e al piccolo fratello minore, di non essere amata: "In generale, la convinzione di non essere amata nella mia famiglia è come un filo nero che si avvolge attorno a tutti i miei ricordi".

Durante le lunghe ore trascorse con l'istitutrice, Sofja leggeva molto e scrive poesie. Curiosa di tutto quanto succede nella sua famiglia, appartenente alla piccola nobiltà russa e nella grande casa di campagna di Palibino, nella provincia di Vitebsk in Bielorussia. Lì, dove l'inverno è lungo e la natura è solenne, si odono gli ululati dei lupi nelle gelide notti e si ascoltano mormorare le acque del disgelo; si possono fare, in numerosa e lieta compagnia, escursioni nella foresta dove gli orsi mantengono "rapporti di pacifica convivenza con i contadini del luogo".

Gli anni dell'infanzia sono molti importanti e ogni divagazione, immaginazione, disobbedienza, anche, può essere foriera, nel tempo, di grandi cose.

È quanto accade a Sofja, che ascolta lo zio e rimane incurosita, se non affascinata, da quanto sente, così come lo era stata dalle fiabe della tata: "Fu proprio da lui, per esempio, che sentii per la prima volta parlare della quadratura del cerchio e dell’asintoto a cui una curva si avvicina costantemente senza mai raggiungerlo, e di molti altri problemi di natura simile. Naturalmente non riuscivo ad afferrare il significato di questi concetti, ma essi agirono sulla mia immaginazione, instillando in me un sentimento reverenziale per la matematica, una scienza misteriosa ed eccelsa che spalanca ai suoi adepti un mondo nuovo di meraviglie inaccessibili ai comuni mortali".

E altrettanto fascino ha una carta da parati applicata nella camera dei bambini. Si tratta di una carta di risulta, di fogli di dispense delle conferenze sul calcolo differenziale del professor Ostrogradskj, matematico e fisico, così riutilizzati. Scrive Sofja: "Mi ricordo di me bambina, mentre rimanevo ferma per ore e ore davanti a quel muro misterioso per afferrare almeno qualche passaggio isolato o trovare la sequenza del numero delle pagine". Questa carta da parati di seconda scelta le aprirà un mondo, quello della matematica, che la farà definire dai suoi contemporanei regina della scienza e che la condurrà a studiare e a insegnare a San Pietroburgo, Gottinga, Berlino, Stoccolma dove viene nominata libera docente, prima, e poi docente di ruolo; Parigi dove riceve il Premio Bordin "per aver apportato importanti contributi alla teoria del movimento di un corpo rigido".

Molto altro troviamo in queste memorie, che ci offrono un quadro autobiografico suggestivo e anche uno spaccato della società culturale e sociale dell'epoca, nonché il ritratto di un Dostoevskij molto privato, ombroso e riservato, ma anche disponibile a grande e profonda amicizia e perfino al sogno d'amore.


Sofja Kovalevskaja, Memorie d'infanzia, Pendragon 2022. Traduzione (dall'inglese) di Cristina Buronzi Orsi, Introduzione di Laura Guidotti e postfazione di Umberto Bottazzini 

sabato 10 febbraio 2024

La figlia che non piange, di Francesco Scarabicchi

La figlia che non piange è una raccolta poetica che uscì postuma, nello stesso anno (2021) della morte del poeta. Come le precedenti di Scarabicchi è un bel libro, limpido ed essenziale, ricco di sogni e anche di bilanci, di attenzione alla vita - fin nelle sue più piccole, quotidiane e apparentemente insignificanti manifestazioni - e a quel transito oltre la vita, che può essere interpretato come un ignoto nulla, ma anche come compimento della vita stessa.

Nei versi di Epilogo, ad esempio, l'esistenza si apre ad altre vie, ignote, e genera domande: "Dalla porta del tempo passa il mondo,/ dai suoi sentieri ignoti, dalle strette/ vie degli istanti che non torneranno./ Dov'è che vanno, allora? A chi votati?/ E quanto d'ogni umano si cancella?"

E ancora in Qui regna il tempo che scompare: "Qui regna il tempo che scompare,/
la fuga sua invisibile,/ il nome che non resta,/ giorno della stagione, breve resa,/
limite d’ogni soglia inesistente".

Il garbo, la misura, l'attenzione estrema alla parola, la musicale sobrietà del verso sostengono e contraddistinguono la scrittura di Scarabicchi anche in questa sua ultima e consapevolmente definitiva raccolta, che si apre con la citazione di alcuni versi di Vittorio Sereni da Stella variabile, da uno dei quali è tratto il titolo: "È cresciuta in silenzio come l'erba/ come la luce avanti il mezzodì/ la figlia che non piange". Titolo che introduce inequivocabilmente il contenuto della raccolta: forza della natura silente, sentimenti e affetti umani, inesorabile frattura tra i tempi del mondo e della natura e il precario tempo della vita umana. Ancora alle labili tracce che lasciano le esistenze umane nel mondo si riferisce la seconda citazione in esergo, di Camillo Sbarbaro: "Le generazioni passan come/ onde di fiume".

E in Scarabicchi: "[...] Dei fasti della corte resta il niente,/ di quell'impero vegetale è il sonno/ che tocca la ringhiera arrugginita,/ gli scalini, la piccola fontana. /Ogni beltà è sparita come nube/ a cui è negato il più lontano cielo" (L'aiuola).

Scriveva, tra l'altro, Fabio Pusterla su Doppiozero del 26 aprile 2021, pochi giorni dopo la scomparsa del poeta: " [...] ardeva in Francesco il fuoco segreto della poesia, che lo spingeva regolarmente a scendere in miniera (così si esprimeva in una lettera; e un’espressione simile avrei poi incontrato in un passo di Giorgio Caproni), a scavare negli strati di profondità dell’esperienza, alla ricerca di minerali dolorosi e preziosi. La difficile miniera dell’interiorità, della meditazione sull’essere: questo era il territorio in cui il poeta voleva e doveva immergersi, lungo una tradizione novecentesca che passava dal maestro in presenza, Scataglini, a quello più distante e presto scomparso, Caproni, all’archetipo di questa concezione della poesia, Umberto Saba; più indietro, il grande paesaggio di Leopardi". Mi pare questa una sintesi perfetta ed esemplare della poesia di Scarabicchi, del suo alto profilo.

In margine, mi piace ricordare che Francesco Scarabicchi con Il prato bianco vinse il Premio di Poesia e traduzione poetica "Achille Marazza" nel 2017. Finalista con Gilda Policastro e Paolo Lanaro per la sezione poesia (il premio per la traduzione poetica andò quell'anno a Giorgia Sensi Graziani), fu poi votato con entusiasmo dalla giuria dei lettori. La motivazione della giuria tecnica notò allora, tra le altre cose: "Francesco Scarabicchi consegna al suo Il prato bianco un momento cruciale e altissimo della sua parabola poetica, che ne fa uno degli autori maggiori degli ultimi decenni e una voce assolutamente autonoma e particolare. In questo libro l’autore chiude il cerchio iniziato molti anni prima con La porta murata, e come doppiando un capo apre la via a ciò che seguirà".

Francesco Scarabicchi, La figlia che non piange, Giulio Einaudi Editore 2021. 
Con una nota bio-bibliografica di Massimo Raffaeli


Scarabicchi al Premio Marazza con altri premiati e pubblico. 
Fondazione Achille Marazza Borgomanero (NO) 27 maggio 2017