domenica 24 dicembre 2017

Un incontro, una canzone, la speranza

La tentazione di parafrasare il titolo di un mitico libro di Mario Lodi, "C'è speranza se questo accade al Vho" è grande. Perchè la bandiera della speranza non conosce barriera, non si arrende al vento, non si affloscia alla tempesta. E perché, come ogni anno, l'incontro di un giorno, il festival Scampia Storytelling, promosso da ICWA, lascia tracce profonde e si prolunga nel ricordo e nell'impegno. Così ha raccontatoun momento dell'edizione di quest'anno, Stefano Panzarasa, musicista e animatore culturale, sulla sua pagine facebook.

LA CANZONE PER GANDHI

Una bella occasione per me, un giorno da cantautore. Tempo fa l’invito dell’amica poetessa Eleonora Bellini di accompagnarla a presentare il suo ultimo libro su Gandhi in una scuola media di Scampia (Napoli), nell’ambito del Festival letterario “Scampia Storytelling”, organizzato dall’Associazione Italiana Scrittori per Ragazzi (ICWA), coordinato da Tiziana Bruno. In questo festival autori e autrici di letteratura per ragazzi e ragazze sono invitati a presentare le loro opere nelle scuole medie ed elementari del famoso e problematico quartiere napoletano.
Ci organizziamo e partiamo, incontrandoci giovedì sera sul treno per Napoli e la mattina seguente, poco dopo l’alba, per raggiungere Scampia con tutta un’intera tratta di metro. Con noi una decina di persone, tutti gli autori e le autrici partecipanti al festival. Un’ora di metro e di gallerie e infine Scampia, strade larghe, luminosità, grandi palazzi, le famose “vele”, segnali di dissesto urbano qua e là. Andiamo a piedi, il tempo è bello, ma io ho uno zaino, la chitarra e una valigia con i miei libri, camminare di solito mi piace, ma così carico non è che sia proprio agevole…
Infine arriviamo alla scuola elementare, bella e colorata. La giovane preside ci accoglie con molta cordialità e poi ci porta in giro per un saluto collettivo alla sua scuola. Le classi sono luminose e moderne, sembrano ambienti di una scuola Montessori, tutte le LIM (lavagne interattive multimediali) funzionanti, bambini e bambine simpatiche e bravi insegnanti. In una classe cantano per noi la canzone della scuola, la Scuola senza Zaino, e io allora regalo alla preside per tutti il mio libro su Gianni Rodari, per me un vero ecopacifista ante litteram, corredata dal cd con le canzoni che ho composto sulle sue filastrocche. Alcuni del gruppo si fermano lì, invece Eleonora e altre autrici sono attese alla scuola media Pertini. Questa volta si va in macchina, altro giro per il quartiere e stavolta l’arrivo alla scuola si presenta molto diverso. Triste edificio, inferriate, grate alle finestre, persino all’interno. Pare prima fosse un centro di raccolta per terremotati, ora è una scuola molto disadorna. Cosa e chi ci aspetterà?
Il personale ci accompagna in una classe affollata di alunni e alunne e subito dopo ne arriva un’altra intera, quindi invece di due incontri ne faremo uno solo con ragazzi e ragazze di terza media (le classi G e N). Di solito unendo due classi la confusione è assicurata, io spero almeno in una confusione creativa…
Ci presentiamo, Eleonora Bellini, poetessa e autrice di “L’elefante e la formica”, io cantautore romano. In questi casi l’imprinting iniziale è molto importante. Io non dico nulla e mi dedico ad accordare la chitarra, Eleonora si presenta e comincia tranquillamente a parlare del suo racconto, leggendo anche alcuni brani, in cui, con un bell’artificio letterario, si viene a conoscere la storia di Gandhi e della non violenza, a partire da varie lettere scritte su di lui per ravvivarne la memoria.
Eleonora parla e legge in modo calmo e l’attenzione è raggiunta (in questi casi con tante persone nella classe è quasi un miracolo), ogni tanto interloquisce con alunni e alunne che pongono domande e fanno belle riflessioni…
Ora tocca a me attaccare una canzone; seguendo un’idea del momento chiedo ad Eleonora di raccontare la storia della “Marcia del sale” che Gandhi attuò come opposizione non-violenta agli inglesi che utilizzavano il prezioso sale indiano esclusivamente per i loro commerci lasciandone prive le popolazioni locali. Dopo la bella storia posso quindi eseguire una mia ballata rock dal testo di Gianni Rodari “Il cielo è di tutti”:
https://www.youtube.com/watch?v=JMZJzp7Nq3k&feature=youtu.be (eseguita alcuni annifa con il gruppo Insalata Sbagliata dedicato a Gianni Rodari che avevo all’epoca).
Poi Eleonora racconta dell’impegno di Gandhi a favore dell’eliminazione delle caste e della parità dei diritti del popolo indiano e io mi aggancio subito dopo cantando un’altra filastrocca di Gianni Rodari, “Lo zampognaro”, un po’ sullo stile musicale di Edoardo Bennato, dove si parla di una società diversa dove tutti hanno diritto di dire la loro, persino gli animali…
https://www.youtube.com/watch?v=Zv7MuqqcAZQ (sempre con Insalata Sbagliata questa volta in un nostro concerto).
Poi l’incontro prosegue con la presentazione di una poesia sui migranti, argomento tristemente molto di attualità, scritta da Eleonora che io ho musicato e canto, “La filastrocca dello zio Tano” (per ora inedita).
A questo punto, mancano circa tre quarti d’ora alla fine dell’intervento, cosa fare? Ormai è un bel po’ di tempo che abbiamo iniziato e le due classi cominciano ad agitarsi. Per riprendere in mano la situazione propongo ad Eleonora di cercare di creare sul momento un testo poetico su Gandhi insieme ad alunni e alunne, poi io potrei musicarlo, potremo cantarlo tutti insieme e fare persino un video. Sembra un’impresa quasi impossibile e rischiosa, ma ad Eleonora l’idea piace molto, così decidiamo per una rima sempre uguale,. Creeremo due strofe e un ritornello.
Eleonora scrive alla lavagna il primo verso e poi proviamo ad andare avanti lasciando la parola ai ragazzi.
In poco tempo arrivano i primi versi in rima, “Nessuna paura tanto coraggio/Lui come uomo era molto saggio/Guidava il suo popolo in ogni passaggio”. Evidentemente “il gioco” poetico-musicale risulta intrigante e piace, forse anche perché nel frattempo cantando i primi versi, io faccio sentire quale potrebbe essere la canzone, molto ritmata, allegra, una specie di filastrocca rock…
E così, verso dopo verso, le strofe sono terminate. Infine, trovato il motivo del ritornello, io eseguo tutta la canzone. Il testo qua e là zoppica un po’, ma sono convinto che la canzone funzioni e quindi si può andare avanti, e poi, anche volendo, non c’è tempo per raffinatezze…

LA CANZONE PER GANDHI

Nessuna paura tanto coraggio
Lui come uomo era molto saggio,
Guidava il suo popolo in ogni passaggio.
Di sale, sul mare, fecero assaggio
Dopo chilometri di lungo viaggio
Donando fiori e rose di maggio.

Nessuna paura tanto coraggio
Lui come uomo era molto saggio.

Aveva la forza della verità
Al suo popolo donò la libertà
In un percorso di tanta felicità
Lavorando con grande volontà
Affermando tra gli uomini la parità.

Nessuna paura tanto coraggio
Lui come uomo era molto saggio.

Abbiamo ancora una ventina di minuti e quindi ora provo a cantare con i ragazzi e ragazze. Leggono il testo alla lavagna, ma la voce non si sente, evidentemente sono un po’ imbarazzati, anche perché nel frattempo ho chiesto ad Eleonora di provare a fare delle riprese con la mia macchina fotografica (che in questi casi di video-di frontiera se la cava abbastanza bene).
Dopo un po’ di prove, un po' forzando la situazione, ma vedo e sento che tutti mi vengono dietro ed Eleonora ha capito bene come fare, la ripresa può cominciare… La CANZONE PER GANDHI è pronta, canteremo un testo che parla di un uomo speciale, della libertà, dell’uguaglianza dei diritti e, ovviamente, della non-violenza.
Ci vuole un bel po’ di energia per trascinare un gruppo di decine di adolescenti a cantare in coro…
Il testo però l’hanno scritto loro, la musica (l’ho creata con cura) è sufficientemente trascinante e poi probabilmente vedere il mio impegno, il fatto che credo in quello che sto facendo e in loro, dà lo stimolo giusto.
E così miracolosamente e proprio allo scadere del tempo a disposizione, il video è terminato con la speranza che Eleonora abbia fatto una ripresa decente. E fortunatamente ci è riuscita, anche se l’audio è molto disturbato dal microfono, andato in saturazione. Siamo comunque tutti contenti del risultato.
Ed Eleonora conclude con queste parole: "Scampia è la più grande piazza di spaccio italiana, si dice. Ma è anche una "piccola città" nella quale molti vivono e agiscono per il bene comune. Nelle associazioni magari, nelle scuole di certo. Qui insegnanti e alunni fanno un passo in più per credere nel futuro. E non è poco". 

domenica 26 novembre 2017

Le dee e gli dei dell'antica Europa, di Marija Gimbutas

Questo studio, originale, innovatore e molto documentato, determinò la notorietà della sua autrice, Marija Gimbutas, archeologa lituana rifugiata negli Stati Uniti alla fine degli anni Quaranta del Novecento.  Marija Gimbutas, infatti, tra il 1967 e il 1980 diresse numerosi scavi relativi allo studio del neolitico nell'Europa sud-orientale, durante i quali fu scoperta una gran quantità di manufatti artistici e di uso quotidiano risalenti a un periodo precedente a quello che si riteneva allora l'inizio del neolitico. La civiltà europea, fiorita tra il 6.500 e il 3.500 a. C., affermò la Gimbutas, non fu un riflesso delle culture orientali coeve, ma, in modo del tutto originale, elaborò un proprio immaginario mitico completo. L'archeologa evidenziò, attraverso lo studio dei ritrovamenti, un'Europa antica dal carattere pacifico, dalla struttura sociale egualitaria nella quale era fondamentale l'importanza del ruolo femminile. Una cultura matriarcale testimoniata dall'abbondanza di statuine antropomorfe femminili e dalla scarsità di sculture a soggetto maschile e guerresco suggerisce infatti l'importanza e la preminenza del ruolo delle donne all'interno di queste comunità preistoriche.
La prima stesura del libro, inizialmente intitolato Gli dei e le dee dell'antica Europa, risaliva al 1974. Successivamente si rese disponibile molto nuovo materiale, raccolto in questa successiva edizione nella quale il titolo è stato modificato anteponendo "le dee" agli "dei", in modo da ottenere la percezione immediata dei caratteri di questa cultura matrilineare, sedentaria, agricola e pacifica, molto diversa dalla successiva proto europea, a noi più nota, che era patriarcale, nomade e pastorale nonché orientata in senso bellico.

Il saggio comprende dieci capitoli, ampiamente illustrati, che trattano i seguenti argomenti: Definizione di "Civiltà dell'antica Europa"; Sculture; Costumi rituali; La Maschera; Luoghi di culto e ruolo delle statuine; Immagini cosmogoniche e cosmologiche; Le signore delle acque: dea serpente e dea uccello; La grande dea di vita, morte e rinascita; La dea gravida della vegetazione; Il dio dell'anno. Nell'ultimo capitolo, "Il bimbo divino", si tratta del ciclo del dio dell'anno, che inizia con la nascita del fanciullo divino, che rappresenta qui il risveglio dello spirito neonato della vegetazione e che ci riporta al mito greco di Erittonio e poi al fanciullo virgiliano destinato a portare nel mondo l'età dell'oro e poi, su su, fino al nostro bambino Gesù di Natale. Un inno risalente al secondo o terzo secolo a. C. e ritrovato su una stele di pietra a Creta ci trasmette suggestioni e similitudini profonde:
" [...] le nutrici protettrici ti hanno preso, bambino immortale, togliendoti a Rea [...] e sono andate a nasconderti. Ti saluto, grande Kouros (fanciullo). Balza per noi affinché gli orci siano pieni e affinché le greggi siano villose e affinché i frutteti e le arnie possano moltiplicarsi..."
I concetti mitici dell'antica Europa sono dunque sopravvissuti fino a noi, in un substrato dello spirito che, silenzioso e nascosto, non cessa di arricchire la psiche contemporanea.

Marija Gimbutas, Le dee e gli dei dell'antica Europa, traduzione e cura di Mariagrazia Pelaia, Stampa Alternativa 2016

lunedì 30 ottobre 2017

Fondare biblioteche

"Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire." Così scriveva Marguerite Yourcenar ne Le memorie di Adriano. Come tutti i grandi vedeva oltre, oltre le mode, oltre le contingenze. Avvertiva il futuro. Sì, perché l'inverno dello spirito  può essere individuale e abitare nel cuore del singolo ma diviene particolarmente gelido e minaccioso quando è l'inverno di una società, di una nazione, di un'epoca. E l'inverno della cultura, tanto più gelido e oscuro quanto più viene negato, pare proprio incombere sul nostro tempo. Però ci sono le eccezioni, a volte mirabili. Una ne ho incontrata, felicemente e inaspettatamente, proprio due giorni fa, a Torre Orsaia, piccolo borgo del Cilento, nel quale ha preso vita l'estate scorsa, nell'antico palazzo Vassalli, una biblioteca esemplare per più di un motivo. Innanzitutto per la sede, rinnovata, ampia, funzionale, bene illuminata ed accessibile a tutti, grazie a spazi per bambini e giovani, stanze riservate alle associazioni culturali - prima fra tutte L'Università Popolare del Cilento -  e ad attività per gruppi di anziani, un'ampia sala per convegni. La ricca dotazione libraria è stata catalogata on line (OPAC SBN), elemento fondamentale affinché un fondo librario possa essere conosciuto e consultato (I dati della biblioteca nell'anagrafe delle biblioteche italiane), l'orario di apertura è ampio, considerato il fatto che si tratta di un comune che conta poco più di 2.000 abitanti e che la struttura vive grazie al volontariato. Non pensate, però, a volontarie passive, che si limitano ad aprire le porte in attesa degli eventuali utenti. Le volontarie di Torre Orsaia sono informate, determinate, molto attive e ben formate avendo frequentato corsi su libri, cataloghi, letture. Grazie a tutto questo, hanno potuto elaborare un ricco programma per far vivere la biblioteca in tutte le sue potenzialità, fortemente sostenute dal sindaco Pietro Vicini che, convito, afferma: "La biblioteca è uno spazio che certamente diventerà il punto di ritrovo e il fulcro della vita sociale fino a costituire un volano per l’arricchimento della comunità.’

Concludendo, dunque, possiamo affermare con Isaac Asimov: "Auguri per la nuova biblioteca, perché non si tratta semplicemente di una raccolta di libri. Si tratta di una nave spaziale che porterà fino agli estremi confini dell’universo, di una macchina del tempo che porterà in un remoto passato e in un futuro lontano, di un insegnante che ne sa più di ogni essere umano, di un amico che divertirà e consolerà  e, soprattutto, di un ponte verso una vita migliore, più felice e più utile".

lunedì 23 ottobre 2017

Poesia in musica 2

Sogno

"Mare di sabbia e poi mare nero
un filo di luna guida la barca
conduce a terra, disvela il vero:
che il sogno s'infrange quando si sbarca"

L'uomo nero vestito d'amaro
cercava riposo, cercava riparo.

Quando raggiunse la stazione
non una panca, non un cartone.

L'uomo nero andò alla fontana,
carezzò l'acqua, si lavò il viso
e la donna di pietra gli fece un sorriso.

L'uomo nero alla gran cattedrale
Su questi gradini non dormirò male”
disse e si stese sul marmo bianco:
carezze di luna lungo il suo fianco.

Col miele in bocca si aperse il mattino.
Si alzò l'uomo nero e riprese a fuggire,
camminò strade e stretti sentieri,
leggero il fardello dei suoi pensieri.
Ritornò indietro, alla riva del mare,
entrò nell'onda sereno e leggero.

La bianca spuma brillò perle al suo nero.

Fu così che ai piedi del faro mai spento
salpò l'uomo nero col favore del vento.


Questo è il testo di una filastrocca (di speranza e nostalgia, di solitudine e meraviglia), nata nel 2012, che divenne due volte canzone nel corso degli anni.
La prima, in sordina e con il titolo assai descrittivo "L'uomo nero", ad opera di Royston Vince, musicista inglese cultore della lingua italiana, che ci lavorò nel 2015 in forma privata  e solo quest'anno l'ha ripresa e pubblicata sul web; la trovate qui, decorata da una mia foto di circa quindici anni fa: You tube.
La seconda, che ha portato anche all'edizione di un CD e di un video, è dovuta al coinvolgente entusiasmo di Stefano Panzarasa, che, in una sola estate, l'ha musicata e diffusa. Il video delle versione acustica è su You Tube (SOGNO), ma non è il solo: sempre su you tube potete ascoltare anche una bella versione arrangiata con i contributi preziosi di Dario Stabile e di Roberto D'Ambrosio, che hanno interpretato a fondo, attraverso inserti musicali, il vissuto del protagonista del nostro sogno. Per farlo, cliccate qui Sogno, con arrangiamenti .
Infine, del CD vedete le caratteristiche nell'immagine.


Che altro? Una considerazione sul Caso, che non sempre vive di intrecci crudeli, ma offre anche qualche serena radura, come nel caso di questo lavoro, incontro e invenzione di più creativi intorno a un progetto ri-scoperto quasi per caso e subito condiviso.

© Tutti i diritti riservati a Eleonora Bellini, Stefano Panzarasa, Dario Stabile, Roberto D'Ambrosio e Silvia Caligari

sabato 7 ottobre 2017

Mario Lodi. Pratiche di libertà nel paese sbagliato


La graphic novel, scritta da Alessio Surian e Diego Di Masi, disegnata da Silvio Boselli, racconta la storia di Mario Lodi, valoroso esponente di tutta una generazione di maestri del dopoguerra della quale fecero parte, tra gli altri, Gianni Rodari, Fiorenzo Alfieri, Albino Bernardini, Bruno Ciari e Alberto Manzi, insieme a una nutrita schiera di maestre e maestri "ignoti", che furono i fondatori e i costruttori della scuola, libera ed egualitaria, della nascente Repubblica italiana.
Ispirato dal metodo di Célestin Freinet, Lodi fu tra i fondatori del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) che contò, nei suoi anni migliori, oltre seimila iscritti. La sua attività didattica è stata documentata da libri fondamentali come C'è speranza se questo accade al Vho, Il paese sbagliato (vincitore del premio Viareggio), e dall'impresa, curata e realizzata insieme ad altri educatori, della Biblioteca di lavoro, serie di quaderni didattici (ben 127), editi da Manzuoli di Firenze. Ma come non citare Cipì, che uscì in prima edizione nel 1961, avendo come autori "Mario Lodi e i suoi ragazzi"?
"Oggi è difficile educare - notò Lodi in un suo intervento - perché il nostro impegno di formare a scuola il cittadino che collabora, che antepone il bene comune a quello egoista, che rispetta e aiuta gli altri, è quotidianamente vanificato dai modelli proposti da chi possiede i mezzi per illudere che la felicità è nel denaro, nel potere, nell'emergere con tutti i mezzi, compresa la violenza. A questa forza perversa noi dobbiamo contrapporre l'educazione dei sentimenti: parlare di amore a chi crede nella violenza, parlare di pace preventiva a chi vuole la guerra". Un messaggio sempre di attualità e che, provenendo da chi operò in anni difficili ma pervasi di speranza e di fervore, ben diversi dagli attuali contraddistinti dal crollo di ogni utopia e dall'amarezza della disillusione, ha il sapore perfino della chiaroveggenza. 
Nel 1989 Mario Lodi fondò la Casa delle Arti e del Gioco, eccezionale centro di documentazione sull'arte e il pensiero infantile, e ne divenne presidente. 

Autunno, M. Lodi e i suoi scolari, 4B

I bambini osservano il mondo e lo leggono, lo indagano e lo interpretano, divengono essi stessi protagonisti di pensiero e di cultura, di ricerche e di scoperte, insieme al maestro che li guida e li sostiene: "Ci mettevamo in cerchio per poterci guardare in faccia... Nasceva così la base della democrazia". Il rispetto fondamentale per i più piccoli coincide nella scuola di Piadena con la consapevolezza delle loro potenzialità intellettuali e con la volontà di costruire una società nella quale nessuno sia escluso. 
Questo libro, nell'accativante forma di graphic novel, offre a tutti coloro che hanno vissuti gli anni mitici del primo dopoguerra fino alla metà dei Settanta, il piacevole sapore del ricordo e la nostalgia dell'impegno, agli altri, i giovani, il piacere della scoperta di una figura di educatore imprescindibile nella storia del Novencento italiano.

A. Suriani/ D. Di Masi/ S. Roselli, Mario Lodi, Becco Giallo 2015

giovedì 5 ottobre 2017

Kazuo Ishiguro, Premio Nobel per la Letteratura 2017


Il Premio Nobel per la letteratura 2017 è stato assegnato a Kazuo Ishiguro, scrittore inglese di origine giapponese. Giunto in Gran Bretagna bambino di sei anni, vi ha studiato letteratura e filosofia e, dopo aver desiderato per qualche tempo di tornare nel natio Giappone, ha abbandonato del tutto l'idea quando ha conosciuto la moglie, di origine scozzese. Con lei e la figlia vive attualmente a Londra. E' dunque uno scrittore britannico a tutti gli effetti.
La motivazione del Nobel ha rilevato che in Ishiguro "i temi della narrazione più frequenti sono il ricordo, il tempo, la disillusione. Attraverso romanzi di estrema potenza emozionale lo scrittore svela l'abisso nascosto sotto l'illusorio senso di benessere del mondo". 
"E' un incommensurabile onore, principalmente perché questo premio significa che sto seguendo le orme dei più grandi autori del passato", ha dichiarato lo scrittore alla BBC nel momento in cui ha ricevuto la notizia.
Tra i suoi personaggi uno particolarmente ci è scolpito nella memoria: chi non ricorda il maggiordomo Stevens di Quel che resta del giorno, la sua estrema dignità, il suo penetrante senso del dovere? E chi non ha condiviso almeno per un attimo la sua nostalgia per quello che nella sua propria vita sarebbe potuto essere e non è stato?
"Il fatto è che io ho dato a lord Darlington tutto ciò che avevo di meglio. Gli ho dato assolutamente tutto ciò che avevo di meglio e adesso, eh, adesso mi accordo che non mi resta più tanto da donare" riflette il vecchio Stevens e conclude "Gli anni che mi restano da vivere si stendono davanti a me come un immenso deserto". 

martedì 12 settembre 2017

José Ortega, di Nicola Cobucci


José Ortega nasce ad Arroba de los Montes, piccolo paese della Castiglia del Sud nel 1921. A quindici anni, al momento dello scoppio della guerra civile spagnola, a soli 15 anni, ha già le idee chiare e si schiera dalla parte della libertà contro i miliziani di Francisco Franco che terrà sotto il suo giogo la Spagna fino al 1975. Oppositore del regime, José sconta diversi anni di carcere. Grazie a una borsa di studio del governo francese frequenta prestigiose scuole d'arte a Parigi. Trascorre un periodo di esilio in Francia, mentre le sue opere cominciano a essere apprezzate in diversi Paesi d'Europa, tra cui l'Italia. A partire dalla prima metà degli anni Sessanta, vive a Roma, a Matera e scopre infine, nel 1969, Bosco, piccolo paese del Cilento, posto su una collina tra il monte Bulgheria e il mare e vi stabilisce la sua principale dimora.
"Sto bene con voi perché qui ho trovato un'angoscia e una miseria esistenziale che sono quelle della mia gente. Perché i colori sono quelli della mia terra. Sono rimasto perché la pelle dei braccianti è scura e secca come quella dei contadini spagnoli" scrisse ai suoi concittadini cilentani.
Ora Nicola Cobucci, medico pediatra di Bosco e fraterno amico di Ortega, ricorda l'artista con un libro, denso di testi e ricco di immagini, ma soprattutto prezioso per la sua testimonianza di vita e di affetti. "Uno della sua gente" scrive Cobucci nella Prefazione "sente il dovere di ricordare l'uomo che volle farci compagnia qui nel Cilento per un lungo periodo della sua vita di esiliato politico". 
Il paese di Bosco fu protagonista dei Moti Cilentani del 1828 e fu per questo distrutto e incendiato dalla truppe borboniche. Anche per questo Ortega lo amò, perché avvertiva tra quella gente e quelle mura la comune fratellanza che contraddistingue e unisce che difende la libertà sotto ogni cielo e in ogni tempo. 
Il libro di Cobucci, dopo aver inserito la vicenda dell'uomo Ortega nel contesto storico, dedica un significativo, inedito spazio, al ricordo dei momenti vissuti insieme all'artista, spazio non superfluo perché fondamentale per raccontare l'umanità e la profondità di una personalità complessa e affascinante. Seguono un'antologia degli scritti dell'artista stesso e poi, corredata da un ampio catalogo di immagini, un'antologia storico critica dei principali testi critici dedicati all'opera di Ortega, ormai sparsi qua e là e quasi irreperibili. Un prezioso capitolo è dedicato alla poesia, quella dell'artista stesso e quella degli amici poeti, Lorca, Machado, Neruda, Alberti, Celaya con il quale concludiamo: "José Ortega, distintos, mas por igual sufriendo,/ los hombres de tus cuadros, el cuadro de mi España/...

Presentazione del libro a Bosco, 24 agosto 2017





José Ortega. Pittore e incisore, nel ricordo di Nicola Cobucci, M2 Industrie Grafiche 2017

giovedì 17 agosto 2017

Poesia in musica 1

Inauguro in questo penultimo scorcio d'estate una piccola rubrica dedicata a mie poesie musicate. Per cominciare propongo due liriche ("Brezza" e "Aria") tratte da RADICI, raccolta di liriche ispirate agli antichi quattro elementi costitutivi del mondo: fuoco, aria, terra, acqua. La rivisitazione avviene in chiave contemporanea e si muove tra filosofia e vivere quotidiano, spazi non così lontani come potrebbe apparire a prima vista. 

BREZZA

La brezza s'infrange sulla selva
d'antenne dei tetti di Roma, langue
sulle tegole arse, nel cavo dei terrazzi.
Ma stormi di storni la ridestano, 
prendono il largo, volano compatti,
scendono, divagando alti sugli umani
richiami e sugli ingorghi del traffico.

Il vecchio che alza il capo
ricorda stagioni verdi e chiare,
stacca dal geranio qualche foglia,
la pone tra le pagine del libro che abbandona
sul davanzale, inerme,
le carte scompigliate.

"Brezza", musicata e cantata da Royston Vince, si può  ascoltare qui: https://www.youtube.com/watch?v=KTQxEhOgXH0&feature=youtu.be

ARIA

Pesci d'aria nell'elemento
invisibile nuotano, li vedi?
Parola di breve radice
amica di vento, luce, cielo,
celeste nei graffiti bambini
soffio di lettere nelle antiche
lingue indoeuropee.
Aria annientata dai gas
opaca cortina, nuvola bassa e ritornello
di polvere. E' ancora
aria questa che ci avvolge maligna
e che ci stringe?
                          Lavora
come rete a strascico, impietosa.
Aria.

Royston Vince, londinese, è musicista e docente di musica.

J. Brueghel, Aria, 1613 c.a.

Eleonora Bellini, ριζώματα radici, 2014 (edizione a tiratura limitata, numerata e firmata dall'autrice)

venerdì 21 luglio 2017

Arrestati, di Can Dündar

Direttore del quotidiano turco laico e indipendente Cumhuriyet, Dündar fu arrestato il 26 novembre 2015 con l'accusa di spionaggio e divulgazione di informazioni segrete. Il suo giornale aveva svelato il coinvolgimento diretto della Turchia nella questione siriana, pubblicando immagini tratte da un video che mostrava un tir dei servizi segreti turchi intento a trasportare in Siria un carico d'armi pesanti nascosto sotto casse di medicinali, armi verosimilmente destinate alle forze del radicalismo islamico, al-Qaida e Isis. La notizia imbarazzò il governo di Ankara e il presidente Erdoğan in persona minacciò pubblicamente i responsabili della diffusione della notizia. Con Can viene interrogato e arrestato anche Erdem Gül, capo redattore della sede di Cumhuriyet ad Ankara. Le accuse sono infondate, ma l'arresto si inscrive perfettamente nella diffusa politica di respressione degli intellettuali "non omologati" che il governo turco persegue. Imprigionato nel carcere di Silivri, cittadella di reclusione per gli oppositori politici voluta da Erdoğan dopo la sua ascesa al potere, Can trascorre tre mesi, di cui quaranta giorni in isolamento, combattendo due battaglie: la prima per non soccombere all'ingiustizia, per non lasciarsi andare allo sconforto; la seconda di resistenza attiva, di rivendicazione inesausta del diritto alla libertà di stampa. Arrestati racconta i giorni del carcere, con minuzia, con attenzione al quotidiano, perfino con un poco di ironia. Can ed Erdem furono poi liberati il 26 febbraio 2016 in seguito al pronunciamento della Corte costituzionale. Al processo di primo grado Dündar è stato condannato a cinque anni e dieci mesi. Attualmente vive in esilio in Germania, dove ha fondato il portale d'informazione turco-tedesco Özgürüz. 
Arrestati reca nell'edizione italiana un capitolo finale "Dopo", che aggiorna sulla vicenda fino all'aprile 2017. L'autore, fra l'altro, vi scrive, inserendo la sua personale vicenda nel quadro generale della storia e del futuro europeo che tutti ci riguarda e coinvolge: "Presentando Arrestati ai lettori italiani voglio fare un appello non solo in qualità di giornalista che combatte per la libertà di stampa, ma anche di cittadino di una nazione che cerca di tenere in vita la propria democrazia che oscilla pericolosamente tra la caserma e la moschea: siate di supporto alla lotta per l'esistenza delle forze democratiche in Turchia. Questo aiuto è tanto indispensabile alla Turchia quanto all'Europa. [...] Convincere la Turchia che l'Europa non è un club della cristianità, ma un consorzio di principi contemporanei; e l'Europa, aprendo le braccia all'unica democrazia laica del mondo musulmano, sconfigga l'islamofobia dilagante. Solo in questo modo potremo arrestare la sporca guerra macchiata di terrorismo in nome dell'Islam e la scalata di nazionalismo che ne è conseguenza in Occidente". 


Can Dündar, Arrestati,  Nutrimenti Editore 2017; trad. Giulia Ansaldo

lunedì 26 giugno 2017

Il prezzo dei soldi, di Petros Markaris

Anche questa volta - è la decima - l'indagine del commissario Kostas Charitos non ci offre semplicemente un razionale e teso percorso nel farsi della soluzione di un delitto, ma soprattutto lo spaccato di una precisa reltà storica e sociale, in Grecia e non solo. Tre delitti si avvicendano in pochi giorni e sono tutti commessi ai danni di persone influenti: un funzionario dell'ente del turismo, un armatore, un giornalista d'inchiesta. I presunti colpevoli degli omicidi vengono presto individuati, quasi per caso o coincidenza fortunata, e sono offerti a Charitos su un piatto d'argento. A patto che l'indagine sia presto chiusa e che il commissario non vada oltre, smettendo di indagare per rispondere alle numerose domande che rimangono aperte e che gli assillano la mente. Ma il nostro non è tipo né da resa, né da obbedienza cieca e la sua ostinazione rischia addirittura di fargli perdere il posto...
Nella Grecia del romanzo ci sono segnali di ripresa economica e lo si vede dai cambiamenti nella vita quotidiana: le auto hanno ripreso a circolare; Adriana, la moglie di Kostas, ha ripreso a  cucinare i ghemistà; al governo è salita una coalizione trasversale, né di sinistra né di destra come usa oggi, ma dedita al "fare". E pare proprio che il denaro abbia ripreso a circolare. La gente spende di più perché gli stipendi sono aumentati e addirittura gli armatori, tutti fuggiti a Londra o nei paradisi fiscali per evadere le tasse, pian piano fanno ritorno in patria. Ma da dove vengono queste potenti iniezioni di soldi a ravvivare il corpo di un Paese fiaccato ed esangue? Charitos medita, raccoglie informazioni e le collega, ricerca fino a scoprire con certezza che gli investimenti costituiscono una sorta di pulizia del denaro sporco, pulizia che sarebbe illegale se non godesse il muto beneplacito del governo e perfino delle istituzioni europee. Potrà rendere noto questo meccanismo malato ed ingiusto additando i colpevoli e ristabilendo almeno un poco le ragioni dell'onestà e della giustizia il nostro Kostas, un uomo solo?
Lo scoprirete solo leggendo il romanzo, che consiglio con convinzione.

Petros Markaris, Il prezzo dei soldi, La nave di Teseo

venerdì 9 giugno 2017

Lago d'arte e di poesia, di Vincenzo Guarracino

"E' in te primavera perenne/ mentre ti ammanti di verdi gemme/  mentre vinci il gelo è in te primavera perenne" scriveva Paolo Diacono (720-799) contemplando le acque del Lario dei tempi suoi lontani. E poi Ugo Foscolo: "più gaio Euro provoca/ su l'alba il queto Lario..." e poi ancora Gadda, Cardarelli, Marinetti, Montale, Pasolini, Stendhal dedicarono a queste acque parole ed affetti. Sono oltre trecento i poeti, gli scrittori, i pensatori che incontriamo in questo libro, splendidamente curato e commentato da Vincezo Guarracino, e tutti pronti ad accompagnarci sulle rive del lago di Como. Non solo di manzoniana memoria, com'è noto ai più, dunque, è questo specchio d'acqua che si sdoppia sinuoso tra i monti verdazzurri e le prealpi affacendate. Grazie alla fortunata intuizione dell'autore e dell'editore, abbiamo tra le mani un'antologia nuova e originale, perché alla memoria letteraria affianca un itinerario turistico preciso e intenso, sulle rive di un lago tra i più amati, nel tempo, da artisti, musicisti, intellettuali e letterati. L'opera, memore della lezione di Carlo Dionisotti, traccia una minuziosa e appassionata mappa intrecciando versi, prose, memorie, scorci di paesaggio, riferimenti geografici antichi e nuovi: il volto - anzi i molteplici volti - del Lario contemplato, narrato e cantato lungo i secoli.
Vincenzo Guarracino, poeta e critico, ci offre dunque, con questa sua ennesima fatica un libro che è, insieme, antologia letteraria, guida di viaggio, memoria storica, sostegno alla riflessione e al pensiero. Un grande regalo per i nostri frenetici, smemorati giorni.



Vincenzo Guarracino, Lago d'arte e di poesia. In gita sul Lario in compagnia di artisti e scrittori, Carlo Pozzoni fotoeditore 2016

giovedì 25 maggio 2017

L'incanto e il disinganno: Leopardi, di Edoardo Boncinelli e Giulio Giorello

Leopardi filosofo e scienziato oltre che poeta è il protagonista di questo saggio nel quale Boncinelli, genetista, e Giorello, filosofo della scienza, raccontano di lui. Un modo nuovo e nient'affatto scolastico per affrontare la visione del mondo del geniale recanatese.
Lucido e di bruciante attualità, Leopardi  "malinconico, sconsolato, disperato" acquisisce certezze essenziali sulla condizione umana: il mondo non esiste in funzione degli uomini, che non sono i figli prediletti della natura; la natura non mantiene quelle promesse che i giovani che s'aprono al mondo credono di intravvedere nel loro futuro; gli esseri umani godono di un privilegio difficile e spesso straziante, sono dotati di pensiero, difficilmente si appagano, spesso il tedio li assale.
Boncinelli conclude il suo saggio - la prima parte del libro - con un'emblematica frase di Leopardi: "Nessun maggiore segno d'essere poco filosofo e poco savio, che volere savia e filosofica tutta la vita" (Pensieri, XXVII).
Giorello si occupa di Leopardi e della scienza, esordendo da La sera del dì di festa, lucidissima elegia delle cose e degli affetti perduti, per giungere all'esame dell'idea di religione nel nostro poeta. Le domande si affollano nella mente e nei versi di Giacomo, e sono le domande essenziali che ogni essere pensante degno di questo nome incessantemente si pone. Il fatto che non ricevano - e non possano ricevere - risposta non le rende né meno urgenti, né meno autentiche. 
Il saggio si conclude con un dialogo "leopardiano" tragli autori, dialogo che riprende i temi dei due saggi precedenti, li approfondisce e li amplia. Dal colloquio trascriviamo un'interessante e molto attuale considerazione di Boncinelli sul senso di colpa:
"Leopardi ci libera dal pensiero dominante di Dio e non dà alcuno spazio al senso di colpa, che è uno dei sentimenti più diffusi al giorno d'oggi: ne siamo macerati tanto a livello individuale quanto collettivo. Sorprendentemente Leopardi, che ci aspetteremmo riversare nei suoi versi il male di vivere e la malinconia di tutti gli eventi negativi che accadono, non parla quasi mai di colpa. Questo è, io credo, una conseguenza del suo naturalismo: solo se si pensa che Dio sia buono e l'essere umano cattivo si crea spazio per il senso di colpa". 


L'incanto e il disinganno: Leopardi poeta, filosofo, scienziato, di Edoardo Boncinelli e Giulio Giorello, Guanda 2016


sabato 13 maggio 2017

Bibliothèques troisième lieu, Association des bibliothécaires de France

Il libro francese, insieme ad alcune relazioni del Convegno "La biblioteca aperta" tenutosi un paio di mesi fa a Milano, offrono l'occasione per alcuni spunti di riflessione a proposito del rapporto tra biblioteche e società. La nozione di "luogo terzo" fu coniata dal sociologo statunitense Ray Oldenburg agli inizi degli anni Ottanta del Novecento. Il "luogo terzo" si distingue dal primo, la casa con i suoi legami, e dal secondo, l'ambiente di lavoro: è il luogo della vita sociale e degli spazi di incontro informali, liberamente scelti e liberamente aperti. Oldenburg, osservando il declino dei luoghi di incontro tradizionali come la chiesa, il mercato, le botteghe di quartiere, declino determinato dai nuovi, anonimi, spazi urbani e dall'uso dei trasporti individuali (l'automobile) constata la chiusura in se stessi e l'isolamento degli individui e insiste sulla necessità del "terzo luogo", spazio capace di ricostruire i legami sociali e di dare valore alle persone. 
Oldenburg non indica fra i luoghi "terzi" le biblioteche, ma lo fa un altro sociologo, Robert Putnam, mentre lo storico britannico Alistair Black ne descrive le qualità: "[le biblioteche] storicamente hanno testimoniato di possedere le qualità essenziali proprie del terzo luogo: sono luoghi neutrali, comunitari, che cancellano le disparità sociali e non avanzano pretese; sono ambienti familari, confortevoli, favoriscono l'interazione e (con qualche limite) la conversazione; sono frequentati da habitués e sono quasi una seconda casa, ristorano le persone dal tran tran quotidiano procurando conforto e distrazione". Le biblioteche, dunque, nella società contemporanea, rimangono forse l'unico luogo pubblico capace di accogliere tutti, offrendo una importante occasione di "meticciato" sociale e di opportunità di incontro e di scambio culturale.
Se il libro rimane al centro dell'offerta della biblioteca, altre opportunità vi si aggiungono: dai gruppi di discussione e lettura alla proposta di materiali (e spazi) dedicati al digitale, dalla creazione  di un punto ristoro al suo interno all'offerta di eventi come presentazioni di libri, mostre, dibattiti, concerti. La capacità di rispondere a bisogni culturali a tutto campo diviene la caratteristica principale di questo tipo di biblioteca; caratteristica che necessita di seri e qualificati investimenti in termini di capitali (spazi, ambienti, strutture) e di personale preparato e creativo. Un modello attraente, dunque, anche se forse non unico, quello della biblioteca "terza".
Rimangono alcuni interrogativi e un tranello in cui non cascare: 
- la biblioteca "terzo luogo" non finirà per impoverire e far dimenticare le competenze specifiche dei bibliotecari nel trattamento dei diversi supporti culturali (libri, documenti, filmati, fotografie, materiali digitali ecc..) trasformandoli in semplici intrattenitori o - peggio - managers?
-  la biblioteca "terzo luogo" non potrebbe incorrere nel pericolo di ampliare ancor più la forbice tra la cultura "popolare" e quella "d'élite"? Tradizionalmente le biblioteche pubbliche agiscono e hanno agito come mediatrici culturali tra le proposte "di qualità" (o "del centro") e quelle effimere, puramente commerciali (talvolta "ruspanti") delle periferie, a favore soprattutto dell'educazione permanente e gratuita. Riusciranno le biblioteche "terze" ad assolvere ancora anche a questo compito, fondamentale nelle (tante) nostre periferie dell'intelletto? 
- il concetto di "terzo luogo" ha forte sviluppo nel marketing e negli spazi commerciali, con intenti meramente utilitaristici e non certo di libera scelta, di offerta gratuita, di crescita intellettuale ed egualitaria. Le biblioteche, luogo libero ed indipendente per definizione, devono guardarsi dal cadere nel tranello del merchandising? A mio avviso, sì.
(Eleonora Bellini)  

domenica 23 aprile 2017

La svedese, di Anna Pavignano

Sono i momenti in cui la passione brucia, l'amore scuote come una bufera e il dolore morde quelli che più si fissano, indelebili, nel ricordo, quelli che daranno, in futuro, la sensazione di aver vissuto. Gli impicci e la ripetitività del quotidiano, il tempo senza scosse, tutti si dissolvono in polvere. Livia, che da qualche tempo evita legami, invita a cena Marco. Entrambi vivono a Roma e hanno un cane, pastori tedeschi, un maschio e una femmina. Li faranno incontrare e dall'incontro, forse, nasceranno dei cuccioli. Ma c'è un imprevisto: scende a Roma da Torino, senza preavviso, Milo, vecchio amico di Marco. Si aggrega alla cena anche lui. Tra Livia e Milo è colpo di fulmine. L'amore, inatteso, scuote la vita della donna, che lo vive dapprima come sogno, tempo sospeso, poi come divorante passione. Perché è un amore a tempo, un amore da lontano: gli spazi per gli incontri sono brevi anche se molto intensi e ricchi di quella forza che solo la passione può regalare. E tuttavia per amare bene bisogna poter essere se stessi. Entrambi i protagonisti hanno difficoltà in questo. Milo è sposato, quello che ha con la moglie è un rapporto aperto, quasi contrattuale più che amoroso. Sembra un rapporto chiaro, invece è turbato da ombre inattese. Livia vorrebbe essere come Sara, la protagonista di una passata avventura di Milo, forse un suo vecchio amore. Adotta camuffamenti e strategie per apparire sempre più uguale a lei, arriva a provocare un incontro con Sara e ad infilarsi con pretesti in casa sua. Ma sarà questa la strada giusta per legare sempre più a sé - e sempre più definitivamente - Milo?  
Anna Pavignano, raccontando in prima persona, indaga. Indaga mente e moti, anche minuti, dell'animo della protagonista e ne svela momenti importanti dell'infanzia: i difficili rapporti tra i genitori della Livia bambina, i rimproveri ricevuti da una madre triste e assente, le osservazioni di "zia" Klarissa, le attenzioni affettuose di un padre dolorante, diviso tra due donne. Nel romanzo, a ogni capitolo che narra le vicende dell'amore presente, se ne alterna un altro che riporta a galla ricordi, momenti e anche sensi di colpa dell'infanzia lontana. I primi anni della vita rimangono infatti, magari sopiti, ma non distrutti, nella mente: una bimba che ha constatato quanto dolore possa causare un amore infelice o non ricambiato, potrà da adulta imporsi distacco, discrezione, riservatezza, disimpegno perfino nell'espressione dei sentimenti più forti. "Come una svedese", per dirla con le parole di Milo nell'ultimo capitolo del romanzo. E invece - Livia lo ha dolorosamente appreso - "abbiamo bisogno delle parole per decifrare tutto, anche l'amore [...] senza le parole si può confondere la dedizione col disinteresse, l'amore con un gioco superficiale".

A. Pavignano, La svedese, Verdechiaro Edizioni 2017

venerdì 14 aprile 2017

Conta le stelle se puoi, di Elena Loewental

"Ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo" (Genesi 22.17). Conosce di certo questa benedizione Moise Levi, Moisìn, quando nel 1872, a ventitré anni, lascia la natìa Fossano con un carretto pieno di stracci da vendere. Minuto, ma robusto, parte alla ricerca di fortuna. La troverà a Torino, dove, grazie a Monsù Malvano e a una certa pratica con la produzione e il commercio dei tessuti fatta a Verzuolo durante il viaggio, diverrà presto un commerciante agiato. A Torino, una sorta di terra promessa dopo che il re Carlo Alberto ("Che sia benedetto") aveva decretato la libertà di culto per ogni professione religiosa e soppresso il ghetto, Moise trascorrerà tutta la vita. Una vita piena, di successo economico, di amori, di figli e nipoti. Seguiamo le loro vicende lungo il cammino di un secolo, e non solo nella città sabauda, ma qua e là, nell'una o nell'altra parte del mondo. Ci appassioniamo e ci commuoviamo alla visione di Moise che, ormai vecchio, visitando una figlia mette piede, se pur temporaneamente, nella terra promessa. Vediamo lui e la sua famiglia passare indenni attraverso il secolo dell'orrenda Shoa, dimenticati dalle leggi razziali del 1938: una inspiegabile fortuna, che ci incuriosisce e ci rallegra. Al termine del romanzo, però, l'autrice avverte: "questa non è una storia vera [...] quella vera è svanita dentro le ciminiere dei forni crematori, nelle camere a gas, nelle fosse comuni". E' l'artificio, quello della letteratura e del sogno, a permettere a Elena Loewental di raccontare una storia "senza". Senza la persecuzione razziale, senza la Shoa. La storia che avrebbe potuto essere e non è stata. La storia dei perduti e dei morti, degli sconfitti e dei perseguitati. Che sono stati e forse sono ancora. Anche loro come le stelle. Non quelle di una numerosa discendenza sparsa per ogni dove sulla terra, ma quelle che, nell'universo già morte, ancora risplendono per noi, dinanzi ai nostri occhi. 

Il Ghetto di Torino, scorcio

E. Loewental, Conta le stelle, se puoi, Einaudi 2008


sabato 8 aprile 2017

Paura chi sei? Paure in poesia da un laboratorio con bambini di 10 anni

Paure in poesia. Poesie con i bambini. Paure dei bambini.
Ogni laboratorio prevede l'ascolto e la lettura di versi poeti classici. In questo vengono proposte tre liriche di Giovanni Pascoli: Notte di vento, Il lampo, Notte dolorosa. Tre momenti di oscurità e di solitudine di un grande poeta, un letterato dal cuore che indugia a contemplare tremori e timori dell'infanzia, un'infanzia che l'anagrafe ha sepolto, ma che nel cuore è dura a morire: il vento che scuote la notte; il temporale dalle livide luci crudeli; il sospiro roco del mare; la solitudine di un bimbo che piange mentre le stelle, lontane, passano senza curarsi né di lui né di altri umani quaggiù.
Ma prima di leggere Pascoli si parla, tutti insieme, delle nostre paure. Le prime che i bambini citano sono le paure fiabesche: le streghe, i fantasmi, i mostri, gli zombies e le altre mostruose creature che narrazioni, film e cartoni animati insegnano. Poi, quando il ghiaccio un po' s'è rotto, emergono le paure quotidiane: l'abbandono e il rimanere soli, nel doppio senso del "soli in casa" che "soli al mondo"; le malattie dei familiari; la morte; alcuni animali, dai cani ai calabroni; i temporali violenti; l'ascensore; la notte e i suoi rumori, ma anche quel silenzio profondo che talvolta si diffonde nel buio.
Non è difficile per le bambine e i bambini esprimerle anche in poesia.

Le tenebre buie
che ti circondano
e ti spaventano.
Il corridoio scuro
e silenzioso,
il rumore dell'interruttore,
che si accende e si spegne.
Le lunghe scale,
che sono vuote
e continuano una sopra l'altra,
e la paura si fa sentire

scrive Giada dipingendo, come in una sequenza cinematografica, il preludio della paura. E le fa eco Aurora:

Ho una grande agitazione,
come se
mi uscisse il cuore.
Alessandro insiste con una visione notturna:

Quanto sei scura e nera,
paura, come un calabrone.
Durante la notte, pensando
agli spettri nell'aria,
anche l'ombra
hai fatto sparire.
Quanto scura
questa notte.

Maria Jiang traccia in versi essenziali, che mi piace pensare dettati dalla tradizione antica delle liriche cinesi, il ritratto di una notte senza luna, nella quale i bambini tremano, prigionieri del buio:

Notte tempestosa,
con la luna nascosta
e le porte chiuse.
I bambini hanno paura.

E Alex ci conferma nella sua poesia che:

La paura ti colpisce al cuore,
non puoi liberartene.
Per esempio un ladro
ruba e fugge,
la paura ruba ma non fugge.
Quando sei in compagnia
te ne dimentichi,
appena torni a casa
e sei solo
ti ritorna in mente.

Ascoltare, riflettere, esprimersi sono tre passaggi essenziali per conoscere le proprie paure e la poesia è una grande amica e un grande sostegno in questo percorso capace di accomunare adulti e bambini. Nella consapevolezza comune che molte paure si superano, altre si aggirano con strategie diverse, altre fanno parte della vita e conviveranno sempre con noi. Le parole della poesia, nel nostro percorso, ci sono vicine perché appartengono al profondo, al vero, all'essenziale.


(C) Eleonora Bellini

sabato 11 febbraio 2017

Le strade di polvere, di Rosetta Loy

Il Piemonte contadino, dalla fine del Settecento ai primi anni dell'Unità d'Italia, vive, palpita, soffre e gioisce in questo romanzo che narra un'epopea lenta e umile, tutta vissuta attorno alla grande casa fatta costruire dal Grand Masten, un particulare "che aveva terra di suo, buoi, mucche, galline e conigli e tante moggia da avere bisogno di altre braccia". Due figli ha il Gran Masten, Pietro e Giuseppe. Muore giovane quest'ultimo e sua moglie Maria, bruna e bella, sposa in seconde nozze il fratello, Pietro detto Sacarlott. Questi, solido e massiccio, è uomo concreto, legato alla terra e ai suoi possedimenti. Attorno a lui, di poche parole e tuttavia dominante, ruota tutta la famiglia, i cinque figli, la moglie, la cognata. Di tutti conosciamo desideri, patimenti, amori, speranze, partenze, lungo le strade di polvere dei soldati in guerra e quelle degli amori clandestini. Assistiamo a nascite e morti che si snodano in un tempo del quotidiano che, pur attraverso le stagioni e il lavoro consueto, sembrerebbe sempre uguale se non fosse per i moti del cuore e l'ardire del pensiero dei protagonisti. Seguiamo quindi Gavriel che parte la notte a cavallo per raggiungere l'amata, ormai sposa di un altro, e Luìs che torna cambiato, ma non fiaccato, dalla guerra; parteggiamo poi per Pietro Giuseppe, figlio di primo letto di Luìs (eh sì, quante giovani spose morivano allora!) che vuole lasciare la campagna per avviarsi al mondo degli studi. Ci commuovono le fanciulle che frugano alla ricerca di nastri in fondo ai cassetti e si animano di speranze, di sogni e di languore alle musiche dei balli estivi sull'aia. Mentre, giunti all'ultima pagina, triste e pensoso ci è l'incontro con i due fratelli, Gavriel e Luìs. Ormai vecchi e soli, trascorrono le serate accanto al fuoco, nella casa orfana delle presenze e delle voci che un tempo l'avevano animata, e che ora scricchiola "come un vascello in rada".


sabato 4 febbraio 2017

L'elefante e la formica. Gandhi nelle lettere del nonno, di Eleonora Bellini

Copertina di Claudia Benassi
L'elefante e la formica. Gandhi nelle lettere del nonno propone ai ragazzi di oggi la storia di una grande personalità del passato e lo fa suscitando emozioni più che offrendo nozioni, con riguardo anche a frammenti di mitologia e di leggenda della più antica tradizione indiana.
Una cartelletta sottile, un mazzetto di lettere del nonno scritte in anni lontani con calligrafia regolare e accurata. Ghaffar vi riscopre frammenti di una grande storia, quella del Mahatma Gandhi, il padre della forza dell'amore, della resistenza non violenta e dell'indipendenza dell'India. Le lettere sono un regalo di affetto e di memoria che il nonno gli fece quand'era ragazzino. E lui che ne farà ora? Le farà conoscere ad altri, qui, in questo libro.

LA STORIA COMINCIA COSI':

Primavera dell'anno 1952

La luce dell'alba tinge di rosa e oro la città di Ahmedabad. Nell'ashram sulla sponda del fiume gli abitanti delle umili casette bianche circondate da pochi alberi di mango, si risvegliano e si affrettano alle occupazioni quotidiane. I fabbri, i falegnami, i barbieri, i vasai corrono al lavoro, aprono le botteghe, espongono la merce. Alcune donne e bambini si dirigono al pozzo ad attingere l'acqua per la giornata. Sulle scalinate digradanti verso il fiume stanno prendendo posto i lavandai. Le botteghe di ristoro, che vendono té, tisane e altre bevande, sono già aperte. Nelle case c'è chi sta già cucinando e il profumo di fuoco di legna e spezie si diffonde nell'aria.
Il vecchio Raykhumar esce sulla veranda di casa. Ha appena terminato di filare il cotone con il suo charkha, l'arcolaio a ruota che gli è caro...

Recensione su PAGINE GIOVANI, 4/2016

Un'altra interessante recensione si può trovare al link dell'editore, qui: Luigi Alviggi, su "L'elefante e la formica"

L'elefante e la formica ha ricevuto il premio internazionale BOOKS FOR PEACE 2017 per il romanzo a tema interreligioso (http://booksforpeace.altervista.org/)

Recensione di Giannino Piana su "Capoverso" 2/2017

E infine una preziosa recensione di Claudia Camicia su Bookbird




Eleonora Bellini, L'elefante e la formica. Gandhi nelle lettere del nonno, NonSoloParole Edizioni 2016 (euro 12,00)