martedì 10 maggio 2016

Betocchi, il vetturale di Cosenza e i poeti calabresi, di Carlo Cipparrone

Nel 1957, in occasione di una conferenza su "Il frontespizio" e altre riviste letterarie, che tenne all'Accademia Cosentina, Carlo Betocchi incontrò Cosenza, la città, i suoi cittadini e, in particolare un giovane poeta, Carlo Cipparrone, che in questo libro rievoca le ore di quell'incontro "occasionale [...] che segnò l'inizio di un'amicizia tra un aspirante poeta, quale ero io allora, e un poeta affermato, da cui ho molto appreso".
Desideroso di visitare la città, Betocchi, torinese di nascita e poi (dopo la prima guerra mondiale, una parentesi come volontario in Libia e alcuni trasferimenti lungo la penisola) per lunghi anni fiorentino, aveva annotato accuratamente ciò che più gli interessava vedere. Cipparrone e un altro giovane aspirante poeta, Nerio Nunziata, lo condussero dunque ai luoghi di quell'itinerario ideale, nato dalla lettura di Viaggio in Italia di Guido Piovene, uscito proprio in quell'anno a Milano.
Betocchi restò un poco deluso dal Duomo, ma ammirò a lungo il castello Svevo. Dinanzi all'ara dedicata ai fratelli Bandiera, nel vallone di Rovito, non seppe frenare "un moto di stizza, avendo trovato quel luogo veramente desolante per l'incuria in cui era tenuto". I trasferimenti da un luogo all'altro della città avvenivano in carrozzella e, per una di quelle vie misteriose che solo la poesia sa trovare elevando l'episodio quotidiano a frammento indimenticabile, l'esosa tariffa chiesta da un conducente truffaldino fu l'occasione per la poesia Il vetturale di Cosenza, composta di getto da Betocchi e poi confluita nella raccolta L'estate di San Martino (1961) e qui riproposta al lettore. Vale la pena rileggerne le prime due quartine, un incipit severo e denso, eppure non privo di malinconico affetto per quella terra, meta di un breve viaggio occasionale:
 
Cavallino che vai, alba che langue,
piazza meridionale cui sgomenta
un fischio solitario come sangue
che fila da una piaga sonnolenta,
 
piaga impigrita d'antica stazione
di Capovalle, dove scende il Crati
presso i cipressi e l'antica oblivione
dei fratelli Bandiera fucilati
[...]
 
Fa seguito alla lirica di Betocchi un magistrale poemetto di Cipparrone, che rievoca l'incontro col poeta-maestro, in toni che possiamo porre tra nostalgia, arguzia, meditazione. Leggiamone alcuni versi, dedicati ai "geometri poeti":
 
"Tra coloro che scrivono non siamo
un'eccezione, geometri sono anche
Quasimodo, Lisi, Bargellini" - disse,
un po' compiacendosi - aggiungendo
all'elenco gli ingegneri Gadda, Sinisgalli
e l'assistente edile Vittorini,
per dimostrare che due mestieri
tanto diversi possono convivere.
[...]
 
Cipparrone e Betocchi tennero per lunghi anni una corrispondenza, riprodotta in parte nel libro (sole lo missive di Betocchi), con riproduzione degli originali e loro trascrizione.
Il libro, infine, oltre al merito di riportare alla nostra attenzione un poeta che realizzò "il miracolo di identificare la propria vita nella poesia", come ebbe a dire Giorgio Caproni, ha anche quello di ricordare alcuni notevoli poeti calabresi, oggi scomparsi: Lorenzo Calogero solitario e visionario, Nerio Nunziata meditativo e crepuscolare nonché animatore culturale, Ermelinda Oliva eclettica e romantica, Gilda Trisolini instancabile promotrice culturale e scrittrice feconda anche se avara nel pubblicare, Silvio Vetere aspro e vitale. Poeti nei confronti dei quali Betocchi dimostrò interesse e stima, confermando disponibilità al dialogo e "alla comprensione che ha caratterizzato costantemente l'ethos dello scrittore fiorentino", come nota Pietro Civitareale nella prefazione.
 
Il castello normanno - svevo di Cosenza in una foto d'epoca
 
Carlo Cipparrone, Betocchi, il vetturale di Cosenza e i poeti calabresi, prefazione di Pietro Civitareale, Edizioni Orizzonti Meridionali - Biblioteca di Capoverso, 2015