giovedì 25 maggio 2017

L'incanto e il disinganno: Leopardi, di Edoardo Boncinelli e Giulio Giorello

Leopardi filosofo e scienziato oltre che poeta è il protagonista di questo saggio nel quale Boncinelli, genetista, e Giorello, filosofo della scienza, raccontano di lui. Un modo nuovo e nient'affatto scolastico per affrontare la visione del mondo del geniale recanatese.
Lucido e di bruciante attualità, Leopardi  "malinconico, sconsolato, disperato" acquisisce certezze essenziali sulla condizione umana: il mondo non esiste in funzione degli uomini, che non sono i figli prediletti della natura; la natura non mantiene quelle promesse che i giovani che s'aprono al mondo credono di intravvedere nel loro futuro; gli esseri umani godono di un privilegio difficile e spesso straziante, sono dotati di pensiero, difficilmente si appagano, spesso il tedio li assale.
Boncinelli conclude il suo saggio - la prima parte del libro - con un'emblematica frase di Leopardi: "Nessun maggiore segno d'essere poco filosofo e poco savio, che volere savia e filosofica tutta la vita" (Pensieri, XXVII).
Giorello si occupa di Leopardi e della scienza, esordendo da La sera del dì di festa, lucidissima elegia delle cose e degli affetti perduti, per giungere all'esame dell'idea di religione nel nostro poeta. Le domande si affollano nella mente e nei versi di Giacomo, e sono le domande essenziali che ogni essere pensante degno di questo nome incessantemente si pone. Il fatto che non ricevano - e non possano ricevere - risposta non le rende né meno urgenti, né meno autentiche. 
Il saggio si conclude con un dialogo "leopardiano" tragli autori, dialogo che riprende i temi dei due saggi precedenti, li approfondisce e li amplia. Dal colloquio trascriviamo un'interessante e molto attuale considerazione di Boncinelli sul senso di colpa:
"Leopardi ci libera dal pensiero dominante di Dio e non dà alcuno spazio al senso di colpa, che è uno dei sentimenti più diffusi al giorno d'oggi: ne siamo macerati tanto a livello individuale quanto collettivo. Sorprendentemente Leopardi, che ci aspetteremmo riversare nei suoi versi il male di vivere e la malinconia di tutti gli eventi negativi che accadono, non parla quasi mai di colpa. Questo è, io credo, una conseguenza del suo naturalismo: solo se si pensa che Dio sia buono e l'essere umano cattivo si crea spazio per il senso di colpa". 


L'incanto e il disinganno: Leopardi poeta, filosofo, scienziato, di Edoardo Boncinelli e Giulio Giorello, Guanda 2016


sabato 13 maggio 2017

Bibliothèques troisième lieu, Association des bibliothécaires de France

Il libro francese, insieme ad alcune relazioni del Convegno "La biblioteca aperta" tenutosi un paio di mesi fa a Milano, offrono l'occasione per alcuni spunti di riflessione a proposito del rapporto tra biblioteche e società. La nozione di "luogo terzo" fu coniata dal sociologo statunitense Ray Oldenburg agli inizi degli anni Ottanta del Novecento. Il "luogo terzo" si distingue dal primo, la casa con i suoi legami, e dal secondo, l'ambiente di lavoro: è il luogo della vita sociale e degli spazi di incontro informali, liberamente scelti e liberamente aperti. Oldenburg, osservando il declino dei luoghi di incontro tradizionali come la chiesa, il mercato, le botteghe di quartiere, declino determinato dai nuovi, anonimi, spazi urbani e dall'uso dei trasporti individuali (l'automobile) constata la chiusura in se stessi e l'isolamento degli individui e insiste sulla necessità del "terzo luogo", spazio capace di ricostruire i legami sociali e di dare valore alle persone. 
Oldenburg non indica fra i luoghi "terzi" le biblioteche, ma lo fa un altro sociologo, Robert Putnam, mentre lo storico britannico Alistair Black ne descrive le qualità: "[le biblioteche] storicamente hanno testimoniato di possedere le qualità essenziali proprie del terzo luogo: sono luoghi neutrali, comunitari, che cancellano le disparità sociali e non avanzano pretese; sono ambienti familari, confortevoli, favoriscono l'interazione e (con qualche limite) la conversazione; sono frequentati da habitués e sono quasi una seconda casa, ristorano le persone dal tran tran quotidiano procurando conforto e distrazione". Le biblioteche, dunque, nella società contemporanea, rimangono forse l'unico luogo pubblico capace di accogliere tutti, offrendo una importante occasione di "meticciato" sociale e di opportunità di incontro e di scambio culturale.
Se il libro rimane al centro dell'offerta della biblioteca, altre opportunità vi si aggiungono: dai gruppi di discussione e lettura alla proposta di materiali (e spazi) dedicati al digitale, dalla creazione  di un punto ristoro al suo interno all'offerta di eventi come presentazioni di libri, mostre, dibattiti, concerti. La capacità di rispondere a bisogni culturali a tutto campo diviene la caratteristica principale di questo tipo di biblioteca; caratteristica che necessita di seri e qualificati investimenti in termini di capitali (spazi, ambienti, strutture) e di personale preparato e creativo. Un modello attraente, dunque, anche se forse non unico, quello della biblioteca "terza".
Rimangono alcuni interrogativi e un tranello in cui non cascare: 
- la biblioteca "terzo luogo" non finirà per impoverire e far dimenticare le competenze specifiche dei bibliotecari nel trattamento dei diversi supporti culturali (libri, documenti, filmati, fotografie, materiali digitali ecc..) trasformandoli in semplici intrattenitori o - peggio - managers?
-  la biblioteca "terzo luogo" non potrebbe incorrere nel pericolo di ampliare ancor più la forbice tra la cultura "popolare" e quella "d'élite"? Tradizionalmente le biblioteche pubbliche agiscono e hanno agito come mediatrici culturali tra le proposte "di qualità" (o "del centro") e quelle effimere, puramente commerciali (talvolta "ruspanti") delle periferie, a favore soprattutto dell'educazione permanente e gratuita. Riusciranno le biblioteche "terze" ad assolvere ancora anche a questo compito, fondamentale nelle (tante) nostre periferie dell'intelletto? 
- il concetto di "terzo luogo" ha forte sviluppo nel marketing e negli spazi commerciali, con intenti meramente utilitaristici e non certo di libera scelta, di offerta gratuita, di crescita intellettuale ed egualitaria. Le biblioteche, luogo libero ed indipendente per definizione, devono guardarsi dal cadere nel tranello del merchandising? A mio avviso, sì.
(Eleonora Bellini)