martedì 29 giugno 2010

2022 destinazione Corno d’Africa, di Maurilio Riva (recensione di Francesco Omodeo Zorini)

Maurilio Riva, ci conferma che oggi, quantunque le luci sembrino spente, è ancora più che mai tempo di racconto e di storia. Il passato si può riaprire, sia un passato di famiglia sia il passato dell’umanità, ché, quasi sempre, hanno più di un punto di contatto, o, per meglio dire, tendono a specchiarsi e a chiarirsi l’un l’altro. Sì, si può riaprire il passato, pergamena nella bottiglia; basta stapparla. La vita come acqua di un fiume di presenze riempie ogni vuoto d’insaputo, di non detto, di rimasto in ombra inchiavardato in soffitta o in fondo allo stipo.
La lingua batte dove il dente duole. Noi storici indy-free-lance che ci incaponiamo a far scaturire il racconto dalla storia e la storia dal racconto, da decenni ci misuriamo attorno a questo assunto cruciale. Dice bene Sandro Portelli, quando afferma che “il contrario di un romanzo è solo un romanzo fatto in un altro modo” e che “un romanzo non è necessariamente raccontare una storia inventata”. E, di rimando, si potrebbe aggiungere che chi racconta in cerca di verità sa che la vita non ha né trama né senso e che la storia non è, non è necessariamente racconto.
Rino Riva sembra tenersi sospeso tra i due dettami e in forza di uno stato di neutralità teorica, ma di partecipazione affettiva coinvolta e coinvolgente, riesce a impaginare una narrazione convincente. La colloca in un tempo a venire, sicché aprire il passato fa dischiudere simultaneamente il futuro, e in tal modo par di assaporare, per paradosso, memoria di futuro alimentata da attesa del passato.
Nonno Ri(no?)ri(va?), con accanto la “terza nonna” Graziana sepolto in meditazione e in adorazione del nipote Augusto nella casetta foderata di libri e quadri sul naviglio, consegna post mortem proprio a lui, la missione, a lungo accarezzata, di ripercorrere il viaggio di suo padre Luca, bisnonno di Augusto, compiuto nel 1935, firmaiolo aviere nella guerra coloniale fascista d’Abissinia, insieme ad altri due milioni di connazionali.
Per mezzo e in virtù di una mappa del Corno d’Africa (ramid in lingua Afer radice, culla dell’umanità), da sè medesimo per culto pazientemente cartografata e disegnata, nonno Riri si fa tracciatore di piste, ufficiale di rotta, diviene maestro di transito al pellegrinaggio iniziatico del ventiquattrenne nipote. Missione posticipata in un fantastorico 2022, allorché il novello Telemaco – sulle tracce dei passi perduti del bisavolo quasi a metabolizzarne il lutto e con intenzione di risarcimento scaravoltando lo scopo del viaggio – avrà la stessa età che aveva costui nell’intraprendere l’avventura di Faccetta nera.
Granbel modo di fare Storia e insieme racconto a tre livelli di scrittura, sovrimpressi e intrecciati: quello di due-tre vite prima di Luca, alter ego del sergente Luciano Riva, (per puntiglio filologico reso in corsivo ornato nel testo!) portato alla stampa da lettere, cartoline snidate dall’armadio a muro e annotazioni e fotografie – “i dagherrotipi del bisavolo” – scattate ad Harar, Neghelli, Gorrahei, Borana. Un secondo livello di scrittura è quello messo in bocca al migrante del futuro e poi c’è quello dell’autore presente, effettivo protagonista di Destinazione Corno d’Africa nel 2009, quasi reporter affiancato a missioni umanitarie di aiuto alle popolazioni più oppresse del globo. Ad “Acqua per la vita onlus” volontari di Alba, da notare, vanno i diritti d’autore del libro. Suoi gli incontri d’amicizia sul “Bisagno”, cargo che lo conduce a Gibuti, con l’archeologa franco-marocchina esperta di architetture rupestri copte (la cui “avvenente e cordiale giovinezza” dà il la alla stesura del libro) e con il franco-algerino (entrambi sangue misto, alla faccia di chi si ostina a deprecare l’ineluttabilità di una società multiculturale e interetnica) affiliato a Medici senza frontiere. Schizzato carboncino il ritratto di don Lorenzo, prete operaio figlio di un comunista della Falk di Sesto San Giovanni, in missione tra i Galla, nella terra delle “genti del mattino”.
Percorso a ritroso della memoria mentre il bordereau di viaggio si dipana in avanti. Comprimendo e dilatando il tempo si fa esplodere lo spazio, spazio d’esplorazione del continente africano umiliato e offeso, devastato, cancellato, e dei suoi abitanti, e dei loro desolanti problemi di sopravvivenza. Spazio irredento inconciliato inespiato.
Ammirevole coraggio dell’A. d’immaginare il futuro, di trasporlo nella carta, di presumere di volersene fare gli affari. Backstage di un’epoca ventura con un Papa cinese succeduto al Papa Nero, banditore di un Vaticano III all’insegna della rigorosa inflessibile uguaglianza evangelica. Eppure mondo di suprematismo neoliberista feroce, che spregna mostri, ormai in bilico sull’estremo lembo del piano inclinato dello sprofondo, guerre multiple persistenti, accaparrazione e uso criminale delle risorse, cicli naturali ed economici stravolti, espilazione della ricchezza e esasperazione della disuguaglianza, caldere di crateri sociali in eruzione, ma nello stesso tempo universo creolo, metecio, a partire dalla famiglia del protagonista, giacché Augusto Cervantes navigatore, generato da esiliato sudamericano, appartiene già lui alla generazione meticcia dell’agire hic et nunc, nelle cui mani – messaggio di speranza e fiducia – è il futuro. O tragicamente non sarà. Come dire: purché tutto ritorni al futuro.
Una prova, questa di Riva, che oltrepassa la pur notevole precedente ardua impresa di confronto a distanza e di incontro ravvicinato tra il partigiano vergantino sui generis Tito e Fenoglio-Johnny, e che, adottando, percosidire, l’identico schema tripartito, si presenta con maggior leggibilità e attrattività e, a gusto e giudizio di chi scrive, è decisamente meglio riuscita. Ci sono passaggi lungo tragitti memoriali denfatizzati con corollari di deviazioni possibili e mai realizzate, di incontri ed eventi, di strade e soste in luoghi dell’infanzia, in canzoni della giovinezza, giochi di sguardi, di nostalgie e gioie minute, offerti in palmo di mano con cortesia antica, nel cellofan di uno schermo protettivo pedagogico di tenerezza. Il futuro, dicono, è come un neonato.
E’ un libro di poeti e scrittori a fare da contraltare letterario, ci informa il risvolto di copertina. Rimbaud, innanzi tutto: il poeta calatosi due volte all’enfer e per due volte risalito a favoleggiarlo con la propria cetra. I classici sono enzimi che circolano nel nostro sangue e ancora i loro versi risuonano nelle nostre parole e ne animano le immagini mentali. Autodidatta di qualità, Maurilio Riva, non desiste dal disseminare la sua opera di riferimenti didascalici, storici, sociologici, economici, geografici (ab ovo: da Pangea-Panthalassa tutta terra-tutto mare del giorno della creazione…) che gli vengono dalla smisurata passione per le buone letture, perché crescere è leggere, e dalla solida formazione politica e sindacale. Sgrana dati, chiosa, apre parentesi, pone in calce note biografiche.
Ha dell’altro in serbo, ci fa sapere, l’A., e rimaniamo compiaciuti in attesa.
(F.O.Z) 19 maggio 2010

MAURILIO RIVA, 2022 destinazione Corno d’Africa, Milano, Libribianchi, 2010, pp. 338, € 18.00.

mercoledì 23 giugno 2010

Il ragazzo è impegnato a crescere, di Roberto Denti


Un'infanzia vissuta tra la fine degli anni Venti e quella degli anni Trenta non è molto diversa da un'infanzia vissuta negli anni Cinquanta - fatte salve le differenti condizioni politico sociali dell'Italia e di conseguenza il diverso stato d'animo delle persone nel considerare la propria vita ed il mondo circostante. Me lo ha svelato questo bel libro di Roberto Denti, il quale, oltre che scrittore, è il fondatore della Libreria dei Ragazzi di Milano, un punto di riferimento sicuro per tutti coloro che si occupano di letture per bambini, ragazzi, adolescenti.
La lettura di questo suo racconto autobiografico sarà bella per gli adulti, ai quali ricorderà la propria infanzia, ma lo sarà ancora di più per i ragazzini, ai quali farà scoprire momenti di vita quotidiana così lontani da sembrar loro perfino avventurosi. Penso di non sbagliare ipotizzando addirittura che in un bambino di oggi la lettura de “Il ragazzo è impegnato a crescere” potrà suscitare gli stessi stati d’animo e lo stesso stupore che suscita la lettura delle avventure di Pinocchio o di quelle di Giamburrasca: innocenza e stupore, marachelle e punizioni, cose dolci e buone come la liquirizia e la marmellata e cose nauseabonde come l’olio di fegato di merluzzo.
E appunto su quest’ultimo eccovi quello che si legge a pag. 14:
- Un ricordo sgradevole dei miei anni di scuola elementare è dovuto al ritorno a casa per il pasto del mezzogiorno, prima del quale dovevo bere un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, una medicina oleosa dal sapore nauseante. L’aveva ordinato il medico perché ero un bambino considerato “linfatico” cioè avevo certe ghiandole del collo che funzionavano male. Versavo dalla bottiglia sempre unta la dose di olio di fegato di merluzzo nel cucchiaio e ingoiavo con grande senso di schifo. Quando il cucchiaio era vuoto, lo infilavo nella cenere del camino e mangiavo due spicchi di mandarino per “pulirmi la bocca”. -


Roberto Denti, Il ragazzo è impegnato a crescere, Edizioni Topipittori 2009, Collana “gli anni in tasca” [la collana,che prende il nome dall'omonimo film di Truffaut, racconta storie vere di bambini e ragazzi attraverso voci adulte che non hanno perso l'incanto], pagg. 103, euro 10,00.

PS: e l’olio di ricino era ancora peggio...

(C)Eleonora Bellini