venerdì 26 dicembre 2014

Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, di Giacomo Leopardi

[...]
Passegere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passegere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passegere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passegere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passegere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passegere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passegere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passegere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passegere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passegere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
[...] 

Scuola francese, Le colporteur, XVII secolo

Non sappiamo che cosa ci riserverà il futuro immediato, per questo ad ogni Capodanno rinnoviamo gli auguri, per questo sfogliamo con trepidazione e speranza il calendario dell'anno che verrà. Leopardi, pacato disilluso saggio, nel breve dialogo del venditore di almanacchi e di lunari con un passante ci rappresenta l'atteggiamento degli esseri umani di fronte agli eventi noti e a quelli che il caso determinerà in futuro nella vita di ciascuno. La vita felice è attesa ad ogni svolta del tempo, mentre la vita reale trascorre nell'attesa, il presente si appanna, la disillusione si scioglie in speranza.

giovedì 18 dicembre 2014

Il vecchio Natale, di Marino Moretti


Mentre la neve fa, sopra la siepe,
un bel merletto e la campana suona,
Natale bussa a tutti gli usci e dona
ad ogni bimbo un piccolo presepe.

Ed alle buone mamme reca i forti
virgulti che orneran furtivamente
d'ogni piccola cosa rilucente:
ninnoli, nastri, sfere, ceri attorti...

A tutti il vecchio dalla barba bianca
porta qualcosa, qualche bella cosa.
e cammina e cammina senza posa
e cammina e cammina e non si stanca.

E, dopo avere tanto camminato
nel giorno bianco e nella notte azzurra,
conta le dodici ore che sussurra
la mezzanotte e dice al mondo: È nato!


 
Claude Monet, Nevicata ad Argenteuil

mercoledì 10 dicembre 2014

Gli antichi ci riguardano, di Luciano Canfora

"Tradurre è la più vitale delle attività umane. Il cammino della civiltà è una incessante traduzione. Lo capì, ad esempio, un greco d'Asia, che si chiamava Erodoto, il quale vide quanto dal mondo religioso egizio fosse passato nel pantheon greco. I popoli che non traducono, in propria lingua, la civiltà (letteraria, artistica, filosofica, religiosa, scientifica) degli altri o diventano pericolosi o, se non possono essere aggressivi, si condannano al sottosviluppo. Prima o poi se ne renderà conto (al di là dell'attuale suo euforico monolinguismo) il mondo anglosassone, nonostante la forza economico-militare con cui impone agli altri il proprio idioma. Cioè il proprio modello". Inizio con una citazione dall'appendice la recensione di questo breve, ma acuto e indispensabile, saggio di Luciano Canfora. L'autore esordisce ricordando alcuni infelici propositi di riforma della scuola, per fortuna solo in parte attuati, nel nostro Paese: dallo "scorciamento" dello studio della storia antica all'introduzione di un mostricciattolo come la "geostoria" nei primi due anni del liceo classico (ex ginnasio), al vagheggiamento di un liceo breve di quattro anni che, insieme all'accorciamento a sette anni dello studio primario (elementari + medie), sarebbe stato "una boccata di ossigeno per le casse dello Stato". Proprio così, "per le casse dello Stato", scrissero i quotidiani riferendo il proposito - dagli evidenti e primari interessi pedagogici (!) - di quei governi. Alla luce di queste "priorità" generate dalle menti di improvvisati riformatori, dei quali i diversi governi, più o meno tecnici, sono stati ricchi, Canfora si chiede che cosa significi stare al passo con i tempi e quale sia il "nuovo" di cui è giusto tenere conto. E, naturalmente, afferma che se "nuovo" nella scuola significa renderla simile alla realtà esterna "mimandola", questo vanifica il compito stesso della scuola, che è la formazione e l'istruzione dei giovani e giovanissimi, "dando loro respiro" e tempo per approfondire il conoscere, in modo che possano, fatti adulti, uscire consapevoli e corazzati (intellettualmente, ma pure moralmente) nel mondo. Canfora prosegue ricercando quale sia il significato da attribuire al binomio "cultura umanistica" ("assumere la maschera passatista di don Ferrante non porta a nulla") e suggerisce che esso è quello di "sapere storico", che abbraccia i diversi aspetti del sapere e la cognizione del loro sviluppo e della loro storicità. Cultura umanistica è, in quest'ottica globale, anche lo studio delle civiltà antiche e la loro conoscenza mediante lo studio delle lingue classiche. Continua esaminando che cosa significhi "canone" nei programmi scolastici, fin dal lontano 1867 della riforma Coppino. Ci sono autori dell'antichità che si devono leggere e conoscere perché educativi e portatori di valori imprescindibili, affermava il "canone" nel nostro Paese di allora, e questa visione resse fino agli anni Sessanta del Novecento, quando anche la scuola superiore, un tempo limitata alle élites, si aperse a più ampi ceti sociali. Ma questa visione non basta, e Canfora la amplia, affermando che gli antichi "ci riguardano perché i loro problemi insoluti e i loro conflitti sono anche i nostri..." e perché "essi non hanno scelto la via consolatoria. Ci insegnano a scartare le risposte facili e le facili consolazioni e autoassoluzioni. [...] è evidente che alla svolta, coincidente con l'affermarsi dell'era costantiniana, nel momento in cui la cultura antica si cristianizza, si elabora quella che potremmo chiamare la via d'uscita a doppia velocità: non si cambia la società sulla terra perché tanto c'è l'aldilà. [...] gli antichi ci insegnano che non è quella la via d'uscita".
Se avete vacanze a Natale o a fine d'anno, leggete questo breve saggio; acquistatelo (il prezzo è abbordabilissimo anche dai ragazzini) e regalatelo, oppure chiedetelo in lettura in bibliblioteca. Avrete soddisfazioni e lumi.


Luciano Canfora, Gli antichi ci riguardano, Il Mulino 2014

mercoledì 3 dicembre 2014

Io amo. Piccola filosofia dell'amore, di Vito Mancuso

Marc Chagall, Compleanno, 1915 (Museum of Modern Art di New York)
"Io penso che una vera storia d'amore tra due esseri umani si distingua da tutte le altre avventure o relazioni occasionali per la presenza di questo preciso elemento, la stima. A una grande storia d'amore non basta la passione del corpo e del sentimento, occorre sempre anche la passione dello spirito o dell'intelligenza, che è la stima. La stima è la devozione dell'intelligenza. E non ci può essere integrale devozione del corpo, se prima, e durante, non c'è devozione dell'intelligenza". Questa è la conclusione del nuovo saggio di Vito Mancuso, che si occupa del sentimento più noto, tormentato, glorioso, ma anche banalizzato, svilito, strumentalizzato dell'esperienza umana. Come sempre, Mancuso per costruire il suo discorso esordisce dalla vita concreta e comune dei viventi - egli stesso, noi suoi contemporanei, i maestri e i letterati del passato vicino o remoto -, vita concreta che interpreta alla luce delle scritture sacre e della più ampia sapienza, letteraria, filosofica, psicologica, artistica della storia umana.
Il saggio è suddiviso in tre parti. Nella prima l'autore si propone di descrivere l'amore "come forza primigenia" e "manifestazione privilegiata" della forza dell'universo. Nella seconda si occupa del sentimento d'amore  dal punto di vista della scelta e dell'etica individuale (la "naturalità" dell'amore negli esseri dotati di libertà, volontà e intelligenza). Nella terza, tratta dell'amore come "senso dell'esistere", sentimento che, unico, è capace di strutturare il significato della vita. 
L'opera si conclude con una trentina di pagine di approfondimenti, utili al lettore italiano, malato spesso di provincialismo cronico e dimentico della storia. Questa appendice esordisce da una breve informazione sull'amore, visto come ineluttabile forza cosmica, nel pensiero antico; seguono elementi di storia della morale sessuale cattolica, dagli antichi padri greci a Tommaso d'Aquino, passando per Sant'Agostino (tortura di vite intere per coppie di coniugi credenti praticanti, aggiungo io, vittime della sessuofobia e della misoginia di Paolo di Tarso e della sua traduzione pratica nelle omelie di parroci miopi ed ignoranti); il paragrafo successivo si occupa dell'etica sessuale nelle maggiori religioni mondiali, e, pur nella sua brevità, è tuttavia molto utile ai lettori e sfata alcuni luoghi comuni (a proposito dell'ebraismo, ad esempio). L'appendice di approfondimento si conclude con un capitolo sul "fondamento fisico dell'etica", che ci offre, tra l'altro, le formulazioni della "regola d'oro" Non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te nelle diverse religioni mondiali, dall'induismo, all'islam.
Bel libro, da leggere a piccoli o grandi sorsi nelle vacanze di Natale e Capodanno, oppure in ogni stagione.

Vito Mancuso, Io amo. Piccola filosofia dell'amore, Garzanti 201