venerdì 25 maggio 2012

Roma cento anni fa, di Miriam Mafai

Questo libro, pubblicato nel 1973 a Roma, fa parte della collana "I grandi servizi di Paese Sera" e reca la prefazione di Amerigo Terenzi, antifascista e resistente, giornalista tra l'altro de "L'Unità". Paese Sera non c'è più, non c'è più Miriam Mafai e anche Terenzi se ne è andato. Rimane, nella sezione ragazzi della mia biblioteca (e anche in molte altre biblioteche italiane) questo libro importante e davvero da leggere. Quando uscì fu collocato da noi alla sezione ragazzi sicuramente perché poteva offrire materiale ricco e interessante per ricerche sull'Unità d'Italia e sulla situazione sociale, politica ed economica della capitale, dominio incontrastato del papa e della nobiltà parassitaria a lui legata, al momento dell'ingresso dei bersaglieri a Porta Pia. Ora che i ragazzi leggono principalmente fantasy, libri con frasi brevi, sintassi scarna, lessico limitato (basta vedere che cosa è uscito per loro in occasione del 150°), la lettura è da consigliare a tutti, ma specialmente agli adulti e ai “giovani adulti”. Negli undici capitoli del libro la Mafai descrive molti aspetti della Roma papale: dalla “città quasi sempre in vacanza”, nella quale quasi la metà dei 220.000 abitanti erano senza professione al “Che volete, signore, siamo sotto i preti” del giovane barbiere di Stendhal; alle scuole che qualsiasi persona di fervente credo religioso poteva aprire, non tanto per istruire i bambini ma principalmente per educarli ad avere “paura del diavolo, obbedienza al papa e reverenza verso i potenti”; dalla “dolce vita” della nobiltà ai 200.000 ettari di Agro proprietà del Capitolo di san Pietro e di poche famiglie principesche, alla durissima condizione degli ebrei del ghetto (che in Toscana, Piemonte, Lombardia erano a quel tempo già cittadini), obbligati alla più penosa ed umiliante schiavitù; dall'ironia sagace del Belli allo stato d'animo di attesa e di speranza dei romani quando, fin dal 6 settembre 1870, ebbero cognizione del fatto che la situazione sarebbe precipitata e che la libertà sarebbe giunta presto.
Libertà e dignità riconosciute anche per i romani di religione ebraica, perché l'antisemitismo fu connaturato al dominio pontificio, finché, finalmente, il 20 settembre 1870 pose fine a secoli di ingiustizia e di persecuzione: “... i cinquemila ebrei romani diventarono cittadini italiani a parte intera. I piccoli ebrei entrarono, nonstante la violenta protesta delle pubblicazioni clericali, nelle prime scuole comunali della città. Due anni dopo, due ragazze ebree, Lastemia e Perla Segre, prendevano il diploma di maestre. Erano le prime ebree autorizzate a insegnare in una scuola municipale. Ne parlarono i giornali, quali per protestare e quali per approvare. L'avvenimento insomma fece notizia; poi le due maestre presero possesso della loro classe in via di Tor de' Specchi e lì insegnarono per molti anni” (pag. 129).
   
E. Roesler Franz, Borgo e il Passetto

venerdì 11 maggio 2012

Il pensiero di Immanuel Kant, di Pietro Chiodi

Questo è un vecchio libro, del 1974. Fa parte dei "Classici della filosofia", pubblicati da Loescher Editore di Torino, libri di prezzo contenuto (questo volumetto costava L. 3.300, iva compresa) e formato tascabile. Li si leggeva come introduzione agli esami dell'università o per ricerche e relazioni al liceo. E' organizzato in sei capitoli: L'epoca della critica; Possibilità, fondamenti e limiti della conoscenza umana;  Morale e religione; Arte e natura; Politica e storia; La pedagogia.
Pietro Chiodi (1915 - 1970) fu filosofo di ispirazione esistenzialista, docente a Torino dopo un'intensa partecipazione alla Resistenza nelle formazioni di "Giustizia e libertà" e dopo aver conosciuto la prigionia e la deportazione.
Chiodi così conclude l'introduzione alla sua antologia di scritti kantiani: Una volta restituito il pensiero di Kant a quel "secolo dei lumi", a quell' "epoca della critica", che egli rivendicò come propri ed alla cui chiarificazione concettuale diede un contributo determinante, la figura stessa di Kant viene in primo piano come quella di un  "filosofo di mondo", lontano da ogni pedanteria, "pronto allo scherzo, all'arguzia e all'umorismo, e la cui indagine "valorizza tutto e tutto riconduce ad una spregiudicata conoscenza della natura e del valore morale degli uomini", secondo il ritratto di Herder, che lo ebbe a maestro. Sotto questo profilo acquistano particolare importanza anche le dottrine kantiane concernenti la vita politica e la storia, e prendono un significato nuovo le sue concezioni pedagogiche. Filosofia e pedagogia non sono per Kant teorizzazioni astratte e contemplative, ma gli strumenti più validi per quella uscita degli uomini dallo stato di "minor età" in cui consiste il significato ultimo dell'impegno filosofico (pp. XXIII-XXIV). Ed anche il significato ultimo dell'essere individui pienamente umani e pensanti, in ogni situazione di vita.
Il libro, ovviamente, non è in commercio, ma si trova in molte biblioteche. Merita una lettura, come viatico in un'epoca così poco onesta e razionale quale è quella che stiamo vivendo.

giovedì 3 maggio 2012

Sostiene Pereira, di Antonio Tabucchi

"Quel bel giorno d'estate, con la brezza atlantica che carezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo”.
Quel bel giorno d'estate Pereira lesse un articolo e fece un incontro per caso, ed il caso operò meglio della provvidenza. L'articolo era tratto dalla tesi del giovane Monteiro Rossi e trattava del significato dell'essere e del rapporto tra vita e morte. Pereira volle conoscere l'autore del pezzo e da questa conoscenza scaturirono fatti inediti per la sua vita sino ad allora molto metodica e tranquilla, fatti, al principio, sconvolgenti, ma poi estremamente positivi, liberatori, generatori di un'esistenza nuova nella consapevolezza e nella libertà. Pereira vive nel Portogallo del 1938, una nazione piegata dalla dittatura di Salazar, che non è l'unica dittatura d'Europa in quegli anni: la Spagna è travagliata dalla guerra civile, l'Italia è in pieno regime fascista, in Germania Hitler è al potere. Pereira vedrebbe, se volesse vedere, ma si chiude nell'esercizio letterario (dirige la pagina culturale di un giornale non tra i maggiori della città, il Lisboa). L'incontro che il caso gli offre lo indurrà ad una presa di coscienza mite e profonda, che ne fanno un grande personaggio letterario, un protagonista da amare.
Nella Nota conclusiva Tabucchi scrive: “... compresi vagamente che un'anima che vagava nello spazio dell'etere aveva bisogno di me per raccontarsi, per descrivere una scelta, un momento, una vita […] In portoghese Pereira  significa albero del pero, e come tutti i nomi degli alberi da frutto è un cognome di origine ebraica, così come in Italia i cognomi di origine ebraica sono nomi di città. Con questo volli rendere omaggio a un popolo che ha lasciato una grande traccia nella civiltà portoghese e che ha subito le grandi ingiustizie della Storia. Ma c'era un altro motivo...”
Quale? Lo troverete leggendo o rileggendo il libro. 

Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli. Prima edizione 1994.