domenica 23 aprile 2017

La svedese, di Anna Pavignano

Sono i momenti in cui la passione brucia, l'amore scuote come una bufera e il dolore morde quelli che più si fissano, indelebili, nel ricordo, quelli che daranno, in futuro, la sensazione di aver vissuto. Gli impicci e la ripetitività del quotidiano, il tempo senza scosse, tutti si dissolvono in polvere. Livia, che da qualche tempo evita legami, invita a cena Marco. Entrambi vivono a Roma e hanno un cane, pastori tedeschi, un maschio e una femmina. Li faranno incontrare e dall'incontro, forse, nasceranno dei cuccioli. Ma c'è un imprevisto: scende a Roma da Torino, senza preavviso, Milo, vecchio amico di Marco. Si aggrega alla cena anche lui. Tra Livia e Milo è colpo di fulmine. L'amore, inatteso, scuote la vita della donna, che lo vive dapprima come sogno, tempo sospeso, poi come divorante passione. Perché è un amore a tempo, un amore da lontano: gli spazi per gli incontri sono brevi anche se molto intensi e ricchi di quella forza che solo la passione può regalare. E tuttavia per amare bene bisogna poter essere se stessi. Entrambi i protagonisti hanno difficoltà in questo. Milo è sposato, quello che ha con la moglie è un rapporto aperto, quasi contrattuale più che amoroso. Sembra un rapporto chiaro, invece è turbato da ombre inattese. Livia vorrebbe essere come Sara, la protagonista di una passata avventura di Milo, forse un suo vecchio amore. Adotta camuffamenti e strategie per apparire sempre più uguale a lei, arriva a provocare un incontro con Sara e ad infilarsi con pretesti in casa sua. Ma sarà questa la strada giusta per legare sempre più a sé - e sempre più definitivamente - Milo?  
Anna Pavignano, raccontando in prima persona, indaga. Indaga mente e moti, anche minuti, dell'animo della protagonista e ne svela momenti importanti dell'infanzia: i difficili rapporti tra i genitori della Livia bambina, i rimproveri ricevuti da una madre triste e assente, le osservazioni di "zia" Klarissa, le attenzioni affettuose di un padre dolorante, diviso tra due donne. Nel romanzo, a ogni capitolo che narra le vicende dell'amore presente, se ne alterna un altro che riporta a galla ricordi, momenti e anche sensi di colpa dell'infanzia lontana. I primi anni della vita rimangono infatti, magari sopiti, ma non distrutti, nella mente: una bimba che ha constatato quanto dolore possa causare un amore infelice o non ricambiato, potrà da adulta imporsi distacco, discrezione, riservatezza, disimpegno perfino nell'espressione dei sentimenti più forti. "Come una svedese", per dirla con le parole di Milo nell'ultimo capitolo del romanzo. E invece - Livia lo ha dolorosamente appreso - "abbiamo bisogno delle parole per decifrare tutto, anche l'amore [...] senza le parole si può confondere la dedizione col disinteresse, l'amore con un gioco superficiale".

A. Pavignano, La svedese, Verdechiaro Edizioni 2017

venerdì 14 aprile 2017

Conta le stelle se puoi, di Elena Loewental

"Ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo" (Genesi 22.17). Conosce di certo questa benedizione Moise Levi, Moisìn, quando nel 1872, a ventitré anni, lascia la natìa Fossano con un carretto pieno di stracci da vendere. Minuto, ma robusto, parte alla ricerca di fortuna. La troverà a Torino, dove, grazie a Monsù Malvano e a una certa pratica con la produzione e il commercio dei tessuti fatta a Verzuolo durante il viaggio, diverrà presto un commerciante agiato. A Torino, una sorta di terra promessa dopo che il re Carlo Alberto ("Che sia benedetto") aveva decretato la libertà di culto per ogni professione religiosa e soppresso il ghetto, Moise trascorrerà tutta la vita. Una vita piena, di successo economico, di amori, di figli e nipoti. Seguiamo le loro vicende lungo il cammino di un secolo, e non solo nella città sabauda, ma qua e là, nell'una o nell'altra parte del mondo. Ci appassioniamo e ci commuoviamo alla visione di Moise che, ormai vecchio, visitando una figlia mette piede, se pur temporaneamente, nella terra promessa. Vediamo lui e la sua famiglia passare indenni attraverso il secolo dell'orrenda Shoa, dimenticati dalle leggi razziali del 1938: una inspiegabile fortuna, che ci incuriosisce e ci rallegra. Al termine del romanzo, però, l'autrice avverte: "questa non è una storia vera [...] quella vera è svanita dentro le ciminiere dei forni crematori, nelle camere a gas, nelle fosse comuni". E' l'artificio, quello della letteratura e del sogno, a permettere a Elena Loewental di raccontare una storia "senza". Senza la persecuzione razziale, senza la Shoa. La storia che avrebbe potuto essere e non è stata. La storia dei perduti e dei morti, degli sconfitti e dei perseguitati. Che sono stati e forse sono ancora. Anche loro come le stelle. Non quelle di una numerosa discendenza sparsa per ogni dove sulla terra, ma quelle che, nell'universo già morte, ancora risplendono per noi, dinanzi ai nostri occhi. 

Il Ghetto di Torino, scorcio

E. Loewental, Conta le stelle, se puoi, Einaudi 2008


sabato 8 aprile 2017

Paura chi sei? Paure in poesia da un laboratorio con bambini di 10 anni

Paure in poesia. Poesie con i bambini. Paure dei bambini.
Ogni laboratorio prevede l'ascolto e la lettura di versi poeti classici. In questo vengono proposte tre liriche di Giovanni Pascoli: Notte di vento, Il lampo, Notte dolorosa. Tre momenti di oscurità e di solitudine di un grande poeta, un letterato dal cuore che indugia a contemplare tremori e timori dell'infanzia, un'infanzia che l'anagrafe ha sepolto, ma che nel cuore è dura a morire: il vento che scuote la notte; il temporale dalle livide luci crudeli; il sospiro roco del mare; la solitudine di un bimbo che piange mentre le stelle, lontane, passano senza curarsi né di lui né di altri umani quaggiù.
Ma prima di leggere Pascoli si parla, tutti insieme, delle nostre paure. Le prime che i bambini citano sono le paure fiabesche: le streghe, i fantasmi, i mostri, gli zombies e le altre mostruose creature che narrazioni, film e cartoni animati insegnano. Poi, quando il ghiaccio un po' s'è rotto, emergono le paure quotidiane: l'abbandono e il rimanere soli, nel doppio senso del "soli in casa" che "soli al mondo"; le malattie dei familiari; la morte; alcuni animali, dai cani ai calabroni; i temporali violenti; l'ascensore; la notte e i suoi rumori, ma anche quel silenzio profondo che talvolta si diffonde nel buio.
Non è difficile per le bambine e i bambini esprimerle anche in poesia.

Le tenebre buie
che ti circondano
e ti spaventano.
Il corridoio scuro
e silenzioso,
il rumore dell'interruttore,
che si accende e si spegne.
Le lunghe scale,
che sono vuote
e continuano una sopra l'altra,
e la paura si fa sentire

scrive Giada dipingendo, come in una sequenza cinematografica, il preludio della paura. E le fa eco Aurora:

Ho una grande agitazione,
come se
mi uscisse il cuore.
Alessandro insiste con una visione notturna:

Quanto sei scura e nera,
paura, come un calabrone.
Durante la notte, pensando
agli spettri nell'aria,
anche l'ombra
hai fatto sparire.
Quanto scura
questa notte.

Maria Jiang traccia in versi essenziali, che mi piace pensare dettati dalla tradizione antica delle liriche cinesi, il ritratto di una notte senza luna, nella quale i bambini tremano, prigionieri del buio:

Notte tempestosa,
con la luna nascosta
e le porte chiuse.
I bambini hanno paura.

E Alex ci conferma nella sua poesia che:

La paura ti colpisce al cuore,
non puoi liberartene.
Per esempio un ladro
ruba e fugge,
la paura ruba ma non fugge.
Quando sei in compagnia
te ne dimentichi,
appena torni a casa
e sei solo
ti ritorna in mente.

Ascoltare, riflettere, esprimersi sono tre passaggi essenziali per conoscere le proprie paure e la poesia è una grande amica e un grande sostegno in questo percorso capace di accomunare adulti e bambini. Nella consapevolezza comune che molte paure si superano, altre si aggirano con strategie diverse, altre fanno parte della vita e conviveranno sempre con noi. Le parole della poesia, nel nostro percorso, ci sono vicine perché appartengono al profondo, al vero, all'essenziale.


(C) Eleonora Bellini