martedì 23 settembre 2025

Paolo sono, di Alex Cortazzoli

Palermo, 23 giugno 1949. Paolo ha nove anni e festeggia con gioia la sua promozione inaugurando il taccuino che ha ricevuto in dono e che si propone di portare sempre con sé per annotare e ricordare le cose importanti che gli succedono. E così farà, anno dopo anno. Il piccolo e coinvolgente taccuino immaginario accompagnerà il racconto della vita di Paolo dalle scuole elementari all’età adulta. Paolo Borsellino è uno scolaro vivace e molto loquace, che interviene in classe su ogni argomento che suscita il suo interesse. Gli piace affermare la sua opinione e talvolta, per l’entusiasmo, non riesce a trattenersi. Il maestro Ansaldo apprezza il suo interesse, ma vorrebbe vederlo meno irruente e chiacchierone. Quando incontra papà Diego, farmacista nel popoloso quartiere della Kalsa a Palermo, l’insegnante osserva sempre: “Paolo potrà fare qualsiasi lavoro, perché è un bambino in gamba. Ha solo un piccolo difetto: parla troppo e interrompe gli altri”. Gli appunti di Paolo proseguono e leggiamo del passaggio alla scuola media, delle sue monellerie e dei furtarelli che hanno come bersaglio proprio la farmacia del babbo, dell’incontro all’oratorio con Giovanni (Falcone), poco più grande di lui e bravo giocatore di calcio e di ping pong, della sua passione per la bicicletta.

La recensione si legge per intero su Mangialibri, al link Paolo sono | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

A. Cortazzoli, Paolo sono, Giunti 2025

domenica 21 settembre 2025

Vecchi, di Giulio Martinoli

"Meglio solitaria, meglio selvatica, piuttosto che addolorata ed emotivamente coinvolta. Meglio sola, ma serena. Il dolore degli altri non fa più per me, dal momento che poi diventa anche mio. Del resto non mi ritengo propriamente una persona asociale. Partecipo, seppure con un certo distacco, senza un vero e proprio coinvolgimento da parte mia, alla vita di questa comunità di anziani, di vecchi tutti quanti con una breve aspettativa di vita dinanzi a sé. Chiacchiero, scherzo, mi sforzo di ridere o di indignarmi, persino".

Parla così Adelaide, protagonista del nuovo romanzo di Giulio Martinoli. Adelaide è un'infermiera in pensione che sceglie, pur essendo perfettamente autosufficiente, di trascorrere ciò che le resta da vivere in una residenza per anziani. Ma anche in un luogo protetto non si sfugge alla vita, ai suoi tranelli, alla rabbia e al sorriso, alle rare gioie e agli ineluttabili dolori. Il primo di questi ultimi è il rapido decadere del corpo e della mente della compagna di stanza di Adelaide, tanto da obbligarla a chiede una camera singola, pur piccola, ma tutta sua, isolata, quasi immune da ogni evento conturbante e difficile. Così Adelaide è libera di riflettere sulla sua vita, di radunare i ricordi e di raccontarli a noi lettori con sincerità, efficacia e perfino serenità. Il romanzo è narrato in prima persona dalla donna, che condivide con i lettori la sua vita e i suoi pensieri, ma non solo: l'espediente ci rivela anche tutta l'abilità di Martinoli nell'immedesimarsi profondamente in un vissuto tutto femminile.

Giulio Martinoli è nato a Jersey nel 1942 e risiede a Omegna, sul lago d’Orta. Per oltre trent’anni ha insegnato inglese nelle scuole medie superiori ed ha tenuto corsi Uni3 di letteratura, storia dell’arte, lingua inglese, scrittura creativa. È stato inoltre direttore della biblioteca civica della sua città.

Critico d’arte, ha organizzato e promosso numerosissime mostre e scritto saggi e libri dedicati ad artisti del suo territorio, il Verbano-Cusio-Ossola. Si è dedicato egli stesso, con successo, alla pittura.

G. Martinoli, Vecchi, Dialoghi 2025


mercoledì 17 settembre 2025

Il giardino del padre. Versi in atto, di Francesco Mangone


Si aprono con una citazione di Franco Fortini ripresa da György Lukács questi "Versi in atto": "Ricondurre agli inizi [e] sviluppare nella loro estensione e pienezza il componimento d'una vita ... ovunque si discorra di veri problemi della forma è in questione una verità della vita". In atto, le poesie di questa raccolta, a indicare azioni e situazioni non ancora concluse, in divenire, da realizzare: azioni e fatti della nostra recente storia entrati nelle cronache, nelle vite e nei corpi di chi le ha vissute sia da protagonista che come spettatore. Si tratta qui di azioni e fatti in versi, di poesia come esercizio di stile, ma non solo. Essenzialità e profondità di immagini e di concetti, ricerca di verità dell'io e del mondo, tensione tra rassegnazione e utopia, tra vuoto ideale e ricerca della dignità, tra mercificazione e pienezza umana sono presenti nel libro. La poesia di Francesco Mangone esprime la ricerca di ideali che siano esemplari, connette ricordi e prospettive sdipanando un filo sottile, ma robusto, capace di tessere legami profondi fra passato e futuro, tra potenza e atto.

La raccolta comprende cinque sezioni: Un sonno rotto ai sogni; Gli anni; Il giardino del padre; Memorie; Nella latenza di Urano. Quest'ultimo, scrive il poeta nella "Nota" finale, "è das kapital, costretti nei suoi cicli ci ripetiamo tragicamente". E il concetto è perfettamente illustrato dalla poesia che conclude la sezione dedicata al "dio arcaico": "Urano il dio dell'accrescimento/ senza limiti/ mastica e incorpora/ i sussunti. Noialtri inadeguati restiamo/ nel sistema di consumo e produzione a far morte/ della vita e della vita morte.// Dai filari dei versi notturni attendo/ che insorga un lampo. Nuove corrispondenze/ voci. Quel metrico respiro il corpo mio/ scavato illumina/ e s'erge dentro lento e prezioso a far di noi/ l'inespresso atteso."

Il cuore della collezione, avverte sempre l'autore, è la sezione Il giardino del padre: "cronotopo da cui guardo e dà il titolo alla raccolta, a guidarmi questa volta è l'etica di Epicuro": felicità raggiunta attraverso la saggezza di un piacere capace di dare la quiete dell'animo e di preservare il benessere del corpo. Esemplare e suggestivo è qui leggere: "Nel crepuscolo,/ prima di rientrare in casa s'attardava il padre/ nell'orto, lo raggiunse il figlio./ Cercava l'aderenza perfetta tra la forma/ e l'ombra; non altro/ che il piacere di stare al mondo."

Notevole la sezione che rievoca la formazione giovanile del poeta, "Gli anni", e che ci consente di ripercorrere i tempi cruciali, dal '68 fino a tutti gli anni '70, la strategia della tensione, quella vile violenza che, come sempre, si scatenò sugli innocenti e sui cercatori di giustizia. E come non rabbrividire di nuovo leggendo: "Il volo dell'anarchico con noi si schiantò/ sul selciato. Il volto/ d'uno di noi su tutti i muri dello Stivale/ il giorno dopo/ a fare dell'inganno dello Stato il segno servile/ del comando. Dipoi fu il tritolo per le strade: le stazioni,/ le banche, i treni/ il tintinnar di sciabole di golpe annunciati/ da far tremare i polsi./ Il governo delle stragi governava tra le ombre."

Il giardino del padre propone ai lettori un esempio alto di poesia civile, quella poesia che trascende sentimenti ed esperienze personali per divenire coscienza ed espressione collettiva, testimonianza consapevole di storia e di vissuto. Non si può dunque non condividere quanto, a proposito di questo libro, scrive Velio Abati: "la costruzione del senso si conduce su una memorazione alla luce della meditazione morale e intellettuale che la riconnette al presente in vista di un futuro da cui trarre ragione e possibilità. È in questa insistenza fertile sulla comprensione del passato resa possibile dal futuro sperato che l’opera di Mangone ci addita, nell’oscuramento del suo e nostro passato, la falsità del futuro di cui oggi il capitale si fa paladino" (Il Manifesto, 3/7/2025).

F. S. Mangone, Il giardino del padre, Il Pungitopo Editrice 2025


sabato 13 settembre 2025

Il collezionista di poesie d'amore, di Stefano Panzarasa

Marco Castelli vive a Roma. Bravo giocatore di rugby e laureato in lettere con l'hobby della fotografia, fa di quest'ultima la sua professione, pur senza abbandonare i suoi interessi letterari. In particolare lo attraggono le poesie d'amore e, dopo averle lette, ricopia le preferite, quelle che lo emozionano maggiormente, su alcuni quaderni che porta sempre con sé. Dopo che il matrimonio con Carla è finito, Marco vive da solo. La sua vita, pur senza la presenza costante di una donna, non è triste, ma aperta al lavoro, all'amicizia, alla bellezza.

Una sera, alla festa di compleanno di Giorgio, suo amico fin dai tempi del liceo, Marco incontra Irene, bella, affascinante, misteriosa. Con lei ha tempo di conversare, raccontando di sé ma anche scambiando idee su libri, cinema, viaggi. Irene ascolta, dimostra interesse ed empatia, tanto che chiede a Marco una poesia d'amore, tra quelle che lui ama tanto. Così, gli dà la sua mail e si fa promettere che, appena arrivato a casa, gliela invierà. La donna fa appena in tempo a esprimere il suo desiderio che arriva un uomo dall'aria nervosa, le si avvicina e brutalmente la trascina via. Marco resta sconvolto. Nel profondo di sé, sente qualcosa che gli fa capire di avere incontrato la donna della sua vita: un amore a prima vista è nato.
Dopo un intenso scambio di mail, però, Irene, volontariamente, scompare. Marco è sconvolto, non si capacita ma non si arrende: deve ritrovare Irene a ogni costo. Convinto dell'affidabilità della teoria junghiana della sincronicità secondo la quale "nulla accade per caso", Marco si mette sulle tracce di Irene, seguendo alcuni segnali apparentemente casuali. La ricerca lo condurrà dapprima in Abruzzo e poi sul lago di Como. E qui, tra i riflessi delle onde lariane, al soffio della breva che incalza la vela, l'enigma si risolve e tutte le tessere dell'intricato puzzle vanno a posto: Marco, finalmente, conosce la verità sulla donna che ama.

Questo secondo romanzo di Stefano Panzarasa, diversamente dal primo -un fantasy- è una storia di realtà, di persone e di affetti, che non rifugge dai toni del giallo: enigmi e suspence si uniscono alla narrazione dei pensieri, dei timori e delle speranze del protagonista che, nella sua ricerca di Irene, viene presto sorretto e affiancato dalla figlia Bianca, dall’amica Jaineba e soprattutto dal nuovo amico Teodoro. Quest'ultimo, incontrato sulle rive del lago di Como, è sia originale e temerario autista di un vecchio pulmino sulla terraferma, che temerario nocchiero di una vecchia barca sul lago e soprattutto è un valido sostegno in ogni occasione. La lettura scorre veloce mentre la storia ci conduce nei diversi luoghi che Marco, prima con affanno e poi con speranza, percorre: Roma, Roseto degli Abruzzi, Montepagano, il lago di Como e i monti che lo attorniano. Di tutte queste località l'autore descrive le caratteristiche delle strade e delle case, della natura che le circonda, degli abitanti. E noi ne scopriamo i panorami, le stagioni, le luci e le ombre.

E le poesie d'amore? Ci sono, ci sono. Costellano l'uno o l'altro capitolo, sottolineano l'uno o l'altro stato d'animo, indicano la via o solleticano la nostalgia.


S. Panzarasa, Il collezionista di poesie d'amore, LFA Publisher


giovedì 11 settembre 2025

E non scappare mai, di Annalisa Cuzzocrea

Nata a Firenze nel 1926, Miriam Mafai era figlia di Mario, importante pittore della scuola romana e di Antoinette Raphaël, ebrea lituana, fuggita bambina dai pogrom e arrivata a Roma dopo aver prima vissuto a Londra e a Parigi, anche lei apprezzata artista. Dopo le leggi razziali del 1938 Miriam e le sue sorelle avvertirono il peso e la paura dell’essere ebree e, per desiderio di giustizia e di uguaglianza, di cambiamento profondo, aderirono al Partito Comunista Italiano. Per Miriam iniziava una nuova vita di passione politica e di impegno. In questo libro, documentato come un saggio e avvincente come un romanzo, Annalisa Cuzzocrea ricostruisce e narra sogni e battaglie, scelte e condivisioni di ideali, incontri e impegno di Miriam, a pieno titolo protagonista del Novecento italiano. All’impegno, alla riflessione e alla ricerca della verità Miriam Mafai non si sottrae mai; ne è un esempio il suo atteggiamento nei confronti del rapimento Moro. Inizialmente schierata per l’intransigenza e per nessuna concessione ai rapitori, dopo molti anni rivede coraggiosamente la propria posizione e di afferma: “A nessun leader politico in tempo di pace dovrebbe essere richiesto di essere un eroe. Abbiamo sbagliato, e lo abbiamo fatto tutti, mandando a morire un innocente”. 

Una donna lucida e coraggiosa con una vita tutta da leggere.

La recensione completa si legge su Mangialibri, qui: E non scappare mai | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

A. Cuzzocrea, E non scappare mai, Rizzoli 2025


martedì 9 settembre 2025

La strada per Be'er Sheva, di Ethel Mannin

La strada per Be’er Sheva è stato il primo romanzo a narrare la nakba, l’esodo forzato del 1948, dal punto di vista dei Palestinesi. Scritto da Ethel Mannin (1900-1984), autrice inglese che si distinse per il proprio impegno politico e sociale e per aver saputo spaziare tra diversi generi letterari, il romanzo fu pubblicato nel Regno Unito nel 1963 e vede ora la luce per la prima volta in traduzione italiana. Nella sua illuminante postfazione Tiffany Vecchietti nota che “La Palestina e il suo destino sono stati per Ethel Mannin uno spartiacque. Letterario, politico, personale”, tanto che, per il fatto di essersi nettamente schierata con il popolo palestinese, la scrittrice ruppe addirittura con il partito laburista in cui militava. L’urgenza di questo romanzo nacque in lei anche in contrapposizione a Exodus (1958) di Leon Uris, dedicato alla nascita dello stato di Israele e bestseller dei tempi suoi, dopo la lettura del quale Ethel si rese conto che nessuno in Occidente aveva mai narrato la diaspora palestinese. La strada per Be’er Sheva attraverso le vicende della famiglia Mansour e, in particolare, attraverso la crescita e l’evoluzione umana e intellettuale del figlio Anton da ragazzino sradicato a giovane uomo sempre più consapevole delle proprie origini, racconta le vicende di tutto un popolo, espulso, torturato, dimenticato, perfino colpevolizzato ma soprattutto costantemente privato della propria patria, oltre che dei propri beni, e depredato perfino della speranza del ritorno. Perché ogni luogo in cui tornare è distrutto o da altri invaso e posseduto. Per questo, pur narrando fatti di settantasette anni fa, il romanzo ci conduce con forza dentro quell’attualità che affolla i nostri schermi e nei confronti della quale ci sentiamo indignati e impotenti. Perché, scrive Manning nell’introduzione: “Altri Paesi sono stati divisi, ma hanno continuato a esistere come Stati, con il loro nome sulla carta geografica e abitati dal proprio popolo; la Palestina ha cessato di esistere, sia come nome che come Paese, e i Palestinesi come nazione”.

In questo momento tragico, che ci pone tutti vicini alla torturata Palestina e ai suoi abitanti, e che, insieme, ci fa sentire, qualsiasi cosa facciamo o diciamo, impotenti a fermare il genocidio, il romanzo di Ethel Mannin è davvero un libro da leggere perché, con la sobrietà e la limpidezza della sua narrazione, non ci racconta solo le radici di un dramma, ma ci permette, attraverso di esse, di far luce anche sull'oggi. 

La recensione integrale è su Mangialibri al link: La strada per Be’er Sheva | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

E. Mannin, La strada per Be'er Sheva, Agenzia Alcatraz 2025, trad. S. Renzetti

mercoledì 23 luglio 2025

Il pendio dei noci, di Gianni Oliva

"La ragazza bambina moriva in segreto com'era vissuta, e forse nessuno si sarebbe ricordato che era esistita. E Giuliano nasceva così, tra le margherite e le stelle in una notte di luna, mentre sua madre lo lasciava da solo". Era il 1880, in un paese tra i monti piemontesi, Coazze. Un bambino nasceva e la sua giovanissima madre, giunta lassù con una carovana di girovaghi, moriva mettendolo al mondo. Don Fornasio, il parroco, il giorno seguente se li trovò davanti di prima mattina e celebrò insieme un battesimo e un funerale. Pensò che per quel bambino ci voleva un nome speciale, illustre, diverso da quelli comuni tra i montanari, perché quel bambino era speciale, era un dono del cielo. Giuliano, nome illustre a Roma antica, lontana reminiscenza scolastica, gli sembrò adatto. Il bambino crebbe per una decina d'anni con una famiglia del luogo a cui il parroco lo aveva affidato, poi venne avviato agli studi in seminario. Li seguì fino a tutto il ginnasio, quindi tornò in paese, a vivere nella canonica, dove c'era l'unica persona che gli voleva bene a questo mondo, e a lavorare duro. Don Fornasio, con rispettoso amore per la volontà del ragazzo, ne fu deluso, ma accettò che egli fosse diverso da lui e che la vita religiosa non fosse la sua strada. L'incontro con Maddalena, la ragazza più bella e più indipendente del paese e l'amore ricambiato aprirono al ragazzo inattesi spiragli di luce. E sarebbe stato un amore felice, se l'invidia e il bullismo di alcuni giovani del paese non fosssero intervenuti, spingendo gli eventi alla tragedia. Giuliano dovette fuggire e lo fece con la benedizione del parroco. Passato il confine, in Francia si arruolò nella legione straniera.

Lo ritroviamo tanti anni dopo, nella primavera del 1918, sul Carso dove imperversa la guerra di trincea, impetosa e tremenda. Si chiama ora Julien Vertu, il nostro Giuliano, che porta con coraggio il suo nome di legionario ed è sergente dell'esercito francese in appoggio agli italiani. Lì, sull’ultima linea di difesa italiana dopo Caporetto, i ragazzi in trincea sanno a malapena imbracciare un fucile. Vengono da piccoli paesi tranquilli, parlano il dialetto, qualcuno ha già la fidanzata. Si chiamano Gildo e Valdo, "che insieme non fanno trentasei anni", o Domenico e parlano con l'accento di Coazze. Ammirano Julien e lui inizia a provare per loro sentimenti di premura, di protezione, quasi di affetto. Quei ragazzi lo riportano al passato che aveva invano cercato di cancellare, la memoria di antichi affetti ritorna, il cinismo, la scorza con cui si era difeso durante l'esperienza crudele della legione, si dissipa a poco a poco. Se la guerra finisse, forse qualche sprazzo di felicità sarebbe ancora possibile, osa perfino immaginare Julien. Ma la guerra non perdona e falcia noncurante anche la migliore gioventù.

Gianni Oliva, storico di lunga esperienza e autore di numerosi e fortunati saggi, pubblica ora questo romanzo avvincente per l'ambientazione storica e anche per la descrizione e lo scavo psicologico dei principali protagonisti, dal parroco a Giuliano il trovatello, da Maddalena al giovanissimo Valdo percosso e traumatizzato dalla trincea, dagli spari, dall'inesperienza nell'uso delle armi. Il romanzo, ha sostenuto Oliva in una recente intervista spiegando questa sua inedita scelta di genere narrativo, ha un pubblico più ampio del saggio e, in più, "un saggio non spiega che cosa si prova veramente a combattere". Il romanzo, invece, può narrare tutta "l'ordinaria follia di guerra". 

Gianni Oliva, Il pendio dei noci, Mondadori 2024

lunedì 21 luglio 2025

Piume in libertà, di John Yeoman e Quentin Blake

Esiste da qualche parte non troppo lontano e non troppo vicino a noi un luogo strano, un grande capannone pieno all'inverosimile di galline, chiamato “Radura felice”, come è stampato su ogni scatola delle uova deposte dalla popolazione dell’immenso pollaio. Ogni mattina alle sette le lampade del capannone si accendono puntuali e le galline si svegliano, pronte a beccare il mangime che il nastro trasportatore porta davanti alle loro gabbie. Uno strano giovedì, però, succede qualcosa di inedito: da una fessura della porta del capannone fa capolino e poi entra nell’allevamento una taccola...

Spiritosa, allegra, ironica, Piume in libertà è una storia che deplora gli allevamenti intensivi? Forse anche, ma non solo. È una storia che racconta della paura delle novità e dell'ignoto? Anche, ma non solo. È forse una storia sulla consapevolezza della vita e la conquista della libertà (vera)? Anche, ma non solo. In verità è una storia che unisce tutti questi elementi in modo estremamente divertente e, insieme, estremamente profondo. John Yeoman e Quentin Blake realizzano anche in questo libro, uno dei tanti nati dalla loro collaborazione, una storia perfetta, sorridente e ironica ma anche amara e profonda. Che cosa aspettate a leggerla?

John Yeoman e Quentin Blake, Piume in libertà, Camelozampa 2022
.                                                             Traduzione di Ilaria Berio

Trovate la recensione completa su Mangialibri, qui: Piume in libertà | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

domenica 20 luglio 2025

La fuga di Chester, di Lucy Maud Montgomery

Chester, orfano di entrambi i genitori, ha dodici anni e vive con la zia Harriet, sorellastra di suo padre. Per lei svolge diverse faccende domestiche, lavorando con impegno. Spera perciò che la zia possa ricompensare la sua diligente collaborazione esaudendo il suo più grande desiderio: andare a scuola. La donna, però, non è affatto d’accordo. Ritiene, infatti, che la scuola sia soltanto un passatempo per i pigri. A nulla vale l’insistenza del ragazzino, che, “rosso in viso per la sincerità”, proprio la sera prima dell'inizio delle lezioni, rivolge alla zia un ultimo, insistente appello: “Zia Harriet, ho quasi tredici anni e riesco a malapena a leggere e scrivere un po’. Gli altri ragazzi sono assai più avanti di me. Non so niente”. Ma né la sincerità, né l’orgoglio familiare e nemmeno il fatto che Chester prometta che ogni giorno, dopo la scuola, lavorerà il doppio, sono in grado di convincere la donna. Da quel momento Chester elabora una strategia per fuggire.

Lucy Maud Montgomery, scrittrice canadese, nata a Clifton nel 1874 e nota nel mondo per il più fortunato dei suoi romanzi, Anna dai capelli rossi, rimase orfana a soli due anni. Il padre, risposatosi, la affidò alla cura dei nonni materni, tradizionalisti e severi. Nonostante la scrittrice affermasse che il suo carattere peculiare era “la scrittura umoristica”, in molte sue opere rivive, pur in forme variegate e diverse, la storia della sua infanzia senza mamma e molti dei personaggi protagonisti sono dei piccoli orfani. Uno di questi è anche il nostro Chester.

L. M. Montgomery, La fuga di Chester, Oligo 2024. Traduzione di E. De Luca

La recensione si legge per intero su Mangialibri, al link: La fuga di Chester | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

mercoledì 16 luglio 2025

Scaffale locale 18: Marcella Balconi

Trascrivo qui di seguito un breve testo dedicato a Marcella Balconi nel decennale della morte. Il testo apparve originariamente sul sito della Consulta delle donne di Wanda Montanelli. Lo si può ancora trovare al link che segue: LA DOTTORESSA BALCONI AMICA DEI BAMBINI - Consulta delle Donne di Wanda Montanelli

In occasione del decennale della morte sono usciti in Piemonte due libri per ricordare la figura di Marcella Balconi (1919 – 1999), pioniera della neuropsichiatra infantile nel nostro Paese, e non solo. Tra le prime laureate in medicina in Italia, ancora studentessa Marcella fece le prime esperienze professionali affiancando il padre, medico condotto a Romagnano Sesia (NO), nel suo ambulatorio. Dopo la laurea in medicina a Pavia entrò nella Resistenza come ispettrice del servizio sanitario, operò in Valtellina e successivamente presso il comitato regionale piemontese delle Brigate Garibaldi a Torino. L’esperienza resistenziale determinò le sue scelte di vita: abbandonò infatti l’ambiente accademico per dedicarsi al servizio sanitario pubblico, nel quale poteva conciliare le proprie scelte politiche e sociali (era comunista) con l’attività medico – scientifica. Dichiarò in uno scritto del 1984: “… al ritorno [dall’esperienza partigiana, n.d.r.] ho giurato che avrei fatto il possibile per rendere più facile e piacevole la vita dei bambini e per creare una generazione che non dovesse sopportare il peso della guerra e avesse la gioia di vivere. Era la mia risposta alla morte e all’angoscia di morte, con gesti che volevano essere riparativi”. Marcella Balconi dedicò dunque tutta la vita ai bambini, normalmente o diversamente dotati, con problemi psichiatrici o psicologici, con difficoltà di adattamento scolastico, con ritardi dovuti semplicemente alla loro condizione sociale – esemplari i suoi interventi sulla condizione scolastica dei bambini immigrati dal Sud d’Italia nel Novarese -. Ma si dedicò anche, senza risparmio di energie, alla formazione degli operatori del servizio di psichiatria, all’aggiornamento degli insegnanti, alle necessità delle famiglie (precorrendo di gran lunga i tempi fu a favore del tempo pieno scolastico e dell’istituzione degli asili nido). Partecipò direttamente alla vita politica come consigliera provinciale, sindaco di Romagnano Sesia, parlamentare dal 1963 al 1968.

Il primo dei due libri che ora le vengono dedicati ne fa rivivere la figura attraverso testimonianze ed interventi diversi, molti dei quali inediti, di colleghi, amici, pazienti, storici, collaboratori. Si tratta del volume Grazie Marcella. Raccolta di testimonianze in onore di Marcella Balconi. Medico, pioniera della psicanalisi infantile in Italia (1919-1999) delle edizioni A&T di Torino nella collana dei Quaderni ArsDiapason.

Il secondo libro, Una vita in forma di dialogo. Marcella Balconi 1919-1999 è pubblicato dall’Istituto Storico della Resistenza di Novara e curato da Giuseppe Veronica al quale si devono i capitoli del volume più strettamente riguardanti la biografia della Balconi. Gli altri capitoli sono firmati da Jeannot Pajetta, Claudia Banchieri, Elvira Pajetta, Giancarlo Grasso ed Enrica Crivelli. Questi ultimi sintetizzano così un aspetto fondamentale della personalità – e del fascino – di Marcella: “Un tratto peculiare in Marcella Balconi è la stretta continutà tra sfera privata personale e sfera degli interessi culturali e scientifici, un quasi immediato e spontaneo trascorrere dell’attenzione dalle fantasie ed emozioni più intime a quelle suscitate in lei dall’altro, bambino o adulto, paziente o collaboratore, passare dalle esperienze attuali a quelle connesse con la storia precedente” (pag. 123).
Per concludere, mi sia consentita una testimonianza personale. Mia madre, maestra elementare per quarantadue anni in diverse piccole località, normalmente non indirizzava volentieri le famiglie di piccoli alunni con difficoltà di apprendimento agli psicologi. Sapeva che nella maggioranza dei casi il motivo della difficoltà era dovuto all’essere figli di famiglie di recente immigrazione dal Sud, all’essere residenti in una frazione quando le comunicazioni con il centro del paese erano difficili e i due o tre chilometri di distanza si percorrevano a piedi, con qualsiasi tempo. Temeva che, in quegli anni in cui i pregiudizi nei paesi erano tanti, le conoscenze scarse, questi bambini fossero etichettati e poi emarginati definitivamente ed irrimediabilmente come “indietro” oppure “troppo originali”, “molto lenti” – si diceva così, allora, con nemmeno troppo velati eufemismi -. La sola per la quale fece eccezione, consigliando diverse volte di rivolgersi a lei con completa fiducia, fu la dottoressa Balconi: sapeva che da lei non c’erano da temere etichette, emarginazioni, diagnosi sbrigative. Sapeva che entrambe, lei cattolica praticante, la Balconi comunista (erano anni in cui queste differenze venivano fatte pesare: ricordiamo la “scomunica” ai comunisti del 1949) operavano all’insegna del motto “maxima debetur puero reverentia”.

Immagine tratta da Arsdiapason.it 


sabato 5 luglio 2025

Incontriamoci alla fine del mondo, di Nadia Mikail

Siamo in Malesia ai giorni nostri, anzi alla vigilia della fine del mondo, perché la Terra è minacciata dalla caduta, sicura e ineluttabile, di un grande asteroide. La fine è certa mentre non è certo che i bunker che qua e là qualcuno si sta costruendo possano proteggere i viventi. La gente, ormai rassegnata, impiega il proprio tempo nel modo migliore possibile, con particolare attenzione agli affetti più veri e profondi. Aisha vive con la madre Esah. Entrambe non vedono June, la sorella maggiore, da alcuni anni. June, eccentrica e testarda, se n’è andata di casa alla fine della scuola superiore per cercare se stessa, ma lasciando rabbia e sgomento sia nella madre sia nella sorella minore. Da quel momento Aisha ed Esah non hanno più nessuna notizia di lei. 

Incontriamoci alla fine del mondo è il romanzo d’esordio della giovane scrittrice malese Nadia Mikail, laureata e residente a Londra. Il romanzo, vincitore dell’importante premio Waterstones Children’s Book, ha incontrato i favori non solo della critica, ma anche di un vasto pubblico. Al tema degli affetti familiari, unica ancora di salvezza in un momento in cui la catastrofe minaccia la sopravvivenza del pianeta Terra, si unisce qui anche il tema del viaggio, che diviene per la giovanissima protagonista sia un momento catartico che un fattore di crescita interiore.

La recensione si legge per intero su Mangialibri: Incontriamoci alla fine del mondo | Mangialibri dal 2005 mai una dieta 

Nadia Mikail, Incontriamoci alla fine del mondo, Il Castoro 2025. Traduzione di Maria Bastanzetti 

lunedì 16 giugno 2025

Scaffale locale 18: Arona e il teatro sociale, di Giovanni Di Bella

Nel 1841 l'affermato architetto Giovanni Molli di Borgomanero iniziò a progettare il teatro della città di Arona realizzando ben settantadue elaborati grafici su carta con tecniche diverse: matita, china, acquarello-china. Lo riferiscono nella loro relazione (16 giugno 2014) introduttiva all'inventario del fondo - custodito alla Fondazione "Achille Marazza" di Borgomanero - Marinella Bianco, Rosanna Cosentino e Teresa Torricini. Si tratta, scrivono le archiviste, di "planimetria con il teatro di Arona del 29 aprile 1841, studi della pianta, studi di diverse sezioni, prospetti e sezioni del vestibolo, studi e schizzi di cornici e serramenti interni, sezione dell'armatura del tetto, disegno di armatura del tetto del 1842. Sono presenti anche modelli al vero di profili e sagome di particolari costruttivi e spolveri di capitelli".

Di questo prestigioso ed elegante edificio dalla lunga appassionante storia, durata un secolo e mezzo, si occupa ora un documentato e approfondito saggio di Giovanni Di Bella, che ne narra vita e spettacoli, prose e liriche, splendori e nebbie, sempre intrecciandoli alla vita culturale e sociale della cittadina lacustre.

Il volume, di oltre 500 pagine suddivise in quattordici capitoli, conduce i lettori attraverso un lungo viaggio nel tempo di vita del teatro, dalle vicende della sua costruzione all'inaugurazione (1843); dai primi restauri dopo un ventennio circa alle serate di beneficenza per i terremotati; dall'illuminazione a petrolio all'arrivo in teatro dell'energia elettrica; dagli eventi commemorativi di Felice Cavallotti alla "frizzante Belle Époque"; dagli anni della prima guerra mondiale agli spettacoli e incontri del ventennio fascista; dalla nascita del "Nuovo cinema-teatro sociale" nel secondo dopoguerra alla sua trasformazione in Cinema Lux. La struttura fu infine tristemente demolita nel 2007, non essendosi trovato, né nell'ambito pubblico né in quello privato, nessuno disposto investire sulla rinascita in chiave contemporanea di quella vita culturale della quale lo storico edificio era stato testimone e promotore attivo per oltre centocinquant'anni.

Scrive Di Bella concludendo il saggio che, oltre ai meriti storiografici e documentari, ha anche quello di restituire agli aronesi un importante elemento di memoria collettiva della vita cittadina: "quel luogo che per un secolo e mezzo era stato depositario di cultura, tradizione e spettacolo venne sostituito da un nuovo edificio residenziale che solo in alcuni elementi esterni (timpano e portichetto della facciata principale) evoca vagamente il teatro ottocentesco. Da identitario, il luogo è oggi diventato un anonimo non lieu".


                       Giovanni Di Bella, Arona e il teatro sociale, 
Compagnia della Rocca 2024 

venerdì 13 giugno 2025

Scaffale locale 17: Don't forget/ Non dimenticare, di Patrizia Martini

Europa 1992, tra Italia e Jugoslavia. L'ingegner Alija Salahovic vive a Mostar, martoriata da più di un anno dalla guerra fomentata dai più oscuri nazionalismi interni e dalle potenze esterne. Musulmano, Alija, spera che il conflitto possa terminare presto senza conseguenze per lui, la sua compagna e il bebé che attendono. Tuttavia, quando la sua casa crolla tra le fiamme, decide di cercare un luogo in cui mettersi in salvo, come gli consiglia un amico bosniaco che, in modo molto deciso, gli suggerisce di fuggire, senza indugio. La sua scelta cade sull'Italia, un Paese che conosce poco ma in cui ha la fortuna di incontrare, in un paesetto del medio novarese, Patrizia e Giuseppe, persone sulle quali può contare, "amici veri". La loro casa si apre per Alija, per sua moglie Mila e per la piccola Nila di pochi mesi. Nel libro si narra la convivenza affettuosa delle due famiglie, la scoperta reciproca di tradizioni, usanze, cibi prima ignoti e poi apprezzati a fondo. Ma si parla anche di guerra, della prima implacabile carneficina nel cuore dell'Europa dopo la seconda guerra mondiale, della rinascita dei nazionalismi più ciechi e oscuri. Spiega Alija agli amici italiani che le sei repubbliche di Slovenia, Macedonia, Montenegro, Serbia, Bosnia e Croazia e le due province autonome del Kosovo e della Vojvodina, grazie alla leadership di Tito "un leader forte e carismatico, che voleva restare indipendente dall'URSS" vivevano unite e compatte in un Paese, la Jugoslavia, in cui la situazione economica era buona e il prestigio all'estero lo era altrettanto. Ma, dopo la morte di Tito, pessimi presidenti, come il serbo Milosevic e il croato Tudman, minarono alla base la politica unitaria e soffiarono sul fuoco del nazionalismo. Scoppiò una guerra atroce, che molti tra noi ricordano, e che forse a popoli e governanti distratti non ha insegnato abbastanza. Scrive Carla Carlino nell'introduzione, a proposito della distruzione del ponte di Mostar, storico legame tra persone e civiltà, che esso "è la metafora dolorosa e poetica della difficoltà di costruire coscienze e azioni di pace, rispetto alla tragica facilità di fomentare la guerra. Perché tra ponti e muri troppo spesso restano in piedi i secondi". E Patrizia Martini propone ai suoi lettori un'imprescindibile riflessione: Il Ponte Vecchio di Mostar venne abbattuto esattamente quattro anni dopo la caduta del muro di Berlino, dopo 427 anni di vita e di onesto servizio. La scelta del giorno non fu casuale, ma stava a significare che, per dividere un popolo, è sufficiente distruggere ciò che lo unisce…

È davvero da consigliare questo piccolo, agile libro che, tra autobiografia e biografia, tra cronaca e storia, tra lucida riflessione politica e appassionata narrazione propone al ricordo dei lettori persone ed eventi di un periodo con cui, forse, non abbiamo ancora fatto completamente i conti e che certamente ancora ci riguarda.

Patrizia Martini, nata a Novara, già docente di scuola primaria, è stata per dieci anni assessore alla Cultura e Istruzione del Comune di Pombia (NO). Regista teatrale, ha pubblicato testi di narrativa storica, romanzi, antologie di racconti, raccolte di poesie e novelle.

Patrizia Martini, Don't forget/ Non dimenticare, Edizioni Liberetà

giovedì 12 giugno 2025

Il mondo che verrà, di Robert Macfarlane, Johnny Flynn ed Emily Sutton

C’è un bosco ricco di vegetazione di ogni tipo e popolato da animali di ogni specie. E ci sono un padre e un figlio che lo attraversano per una lunga passeggiata. Passo dopo passo, pagina dopo pagina, scoprono una realtà stupefacente, variegata, vivace. L’inizio della passeggiata comincia come in un sogno, sul far della sera, e la natura si colora di blu, di azzurro, di ghiaccio sulla superficie del fiume, sovrastata da “alberi acrobati” che si tendono dall’una all’altra riva. Si odono il rumore dell’acqua corrente e il fruscìo ammaliante delle fronde dei salici, mentre un tenero verde invade le pagine. È l’alba. Il bosco si risveglia...

Il mondo che verrà nasce come canzone, composta da Flynn e Macfarlane per un album musicale dedicato al paesaggio, The moon also rises. Perciò il testo che leggiamo è essenziale e poetico, sintetico ed espressivo, originale e accurato, e respira nel limbo privilegiato che si estende tra musica e poesia. Le illustrazioni di Emily Sutton, vibranti di colori e di sentimento, semplici e lussureggianti insieme, accompagnano il testo, lo assecondano, ora con gioia ora con discrezione. Esaltano i particolari vicini e ampliano l’orizzonte lontano, in ogni stagione e in ogni ora del giorno, sotto il sole così come sotto la pioggia.

Un albo illustrato ricco di speranza non solo per bambini. La recensione si legge per intero su Mangialibri al link: Il mondo che verrà | Mangialibri dal 2005 mai una dieta


Robert Macfarlane, Johnny Flynn, Emily Sutton, 
                                                Il mondo che verrà, EDT Giralangolo 2025
                                                         traduzione di Anselmo Roveda

 

sabato 31 maggio 2025

She-Shakespeare. Il mondo è un palcoscenico, di Eliselle

I primi anni di vita di William Shakespeare sono avvolti dal mistero, particolarmente per quanto riguarda il periodo che va dal 1585 al 1592. Proprio in questo il lasso di tempo Elisa Guidelli colloca le vicende del suo nuovo romanzo per ragazzi, il secondo della serie di She-Shakespeare. Un tema fondamentale del libro è quello delle opportunità di genere possibili per le ragazze e per i ragazzi del XVI secolo in Inghilterra, ma non solo: molto limitate per le femmine, più ampie e variegate per i maschi. Tuttavia, ciò che domina il racconto e ne sorregge la trama è l’avventura che, unita a relazioni, sentimenti, viaggi, anima e colora le 375 pagine del libro. Judith/William, attraverso le sue vicende, accompagna i lettori dentro la storia, gli usi e i costumi del Sedicesimo secolo, non solo in Inghilterra, ma perfino in Italia, dove è ambientata la parte centrale della vicenda, che vede Judith ormai donna, sposata in gran segreto con Francesco, e madre. Nella postfazione l’autrice rivela che, nella parte dedicata alla presenza della protagonista in Italia, oltre ad avere citato le varie città presenti nelle opere di Shakespeare - Roma, Parma, Mantova, Padova, Verona e Venezia -, ha dato spazio alla fantasia.

Eliselle, She-Shakespeare. Il mondo è un palcoscenico, Gallucci 2024

Recensione integrale su Mangialibri, qui: 
She-Shakespeare - Il mondo è un palcoscenico | Mangialibri dal 2005 mai una dieta 


giovedì 22 maggio 2025

A Roma non ci sono le montagne, di Ritanna Armeni

Roma, 23 marzo 1944. I GAP, Gruppi di Azione Partigiana, hanno progettato nei minimi dettagli un attacco mirato a dei soldati tedeschi. Dovrà essere un’azione importante, esemplare, atta a smuovere le coscienze dei cittadini di Roma occupata e a dare loro fiducia nella possibilità di scacciare l’invasore. L’azione avverrà in centro, in via Rasella, e il bersaglio sarà la colonna tedesca che ogni giorno, dopo aver lasciato un poligono di tiro, passa di lì. Cantando.

Ritanna Armeni ricostruisce l’attentato di via Rasella - lo stato d'animo dei protagonisti, il contesto cittadino attorno a loro, la preoccupazione dei partigiani affinché civili innocenti non rimangano vittime dell’esplosione - narrando, passo dopo passo, quell’importante azione della Resistenza durante l’occupazione nazista. I protagonisti sono giovani intellettuali, coraggiosi e idealisti, determinati e concreti: Carla Capponi, Sasà Bentivegna, Carlo Salinari, Franco Calamandrei (figlio di Piero di cui tutti ricordiamo gli scritti resistenziali), Maria Teresa Regard, Mario Fiorentini, Lucia Ottobrini. “Colpire sempre. Non dare respiro” è il motto che presiede alle loro azioni, piccole o grandi che siano. Quella progettata in via Rasella sarà un’azione importante, “una battaglia come mai è stata combattuta nella città occupata dopo l’8 settembre”. L’attacco al battaglione Bozen sfrutterà il fattore sorpresa e, insieme, darà un segnale ai fascisti e ai loro alleati nazisti, riuniti per celebrare il venticinquesimo anniversario della nascita dei fasci: Roma non si arrende! 

Ritanna Armeni, A Roma non ci sono le montagne, Ponte alle Grazie 2025

La recensione si leggere per intero su Mangialibri al link 
A Roma non ci sono le montagne | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

lunedì 19 maggio 2025

Non importa dove, di Yari Bernasconi e Andrea Fazioli

Cinquantotto cartoline da luoghi vicini e da luoghi remoti per raccontare il mondo e se stessi. Si parte da Ponte Tresa, tra Italia e Svizzera, dove una lunga fila di macchine è bloccata sul ponte della dogana. E piove. Subito l’itinerario volge altrove, lontano, in Birmania, in una “valle pianeggiante appesa al cielo azzurro”. L’azzurro del cielo è fratello dell’azzurro del mare di Castiglione della Pescaia dove i due autori trascorrono le giornate “sotto lo sguardo di bambini, nonni, venditori ambulanti. Fra l’acqua e la terra”. E ancora, tra le località più prossime, la Svizzera e Venezia; tra quelle più remote Nižnij Novgorod, sul Volga, città in cui “il respiro dell’acqua governa i passi e i pensieri”. E poi Parigi, Berlino, Shangai, New Delhi, Chicago, Bogotà, Sidi Bou Said, Gerusalemme. Ma non sfilano nel libro solo le grandi città. Vi figurano anche paesi modesti, qualche volta ignoti, insieme a luoghi indefiniti e virtuali, come nel caso della cartolina proveniente “dall’interno di un social network”.

Y. Bernasconi e A. Fazioli, Non importa dove, G. Capello Editore 2025

La recensione completa si legge su Mangialibri, qui: 

mercoledì 14 maggio 2025

Domodossola entra nella storia, di Gianfranco Contini

"Il nome di Domodossola, lanciato ora dalle radio di tutti i continenti ha acquistato improvvisamente un senso. Dopo due millenni di esistenza a fuoco lento, fuori della storia, entra di colpo nella storia. Era un timbro sui passaporti dei viaggiatori dell'Orient Express, e ora vi accadono avvenimenti che si studiano a scuola, le cose delle vite di Plutarco e dei romanzi di Stendhal. Ma Domodossola non è solo una parola-simbolo, è anche un fatto politico. L'Ossola è la prima regione d'Italia liberata in modo autonomo, senza sussidi esterni (perlomeno militari), e in misura tale da consentire l'instaurazione indipendente di autorità legali". Così scriveva Trabucco-Contini su "Liberazione. Giornale della Giunta provvisoria di Governo e delle Formazioni Militari dei Patrioti dell'Ossola" (23 settembre 1944, p. 3).

Questa raccolta di scritti di Gianfranco Contini, uscita nel 1995 per le edizioni Grossi di Domodossola e presentata da Romano Broggini, contiene testi dedicati dall'autore alla terra in cui nacque, si formò, ritornò sempre con affetto, fino a scegliervi la dimora dei suoi ultimi anni di vita, nell'accogliente e vigile casa sul colle di Mattarella poco sopra la chiesa di San Quirico. Contini partecipò con convinzione e con entusiasmo al governo della Repubblica dell'Ossola (10 settembre - 23 ottobre 1944), un momento in cui emerse chiaramente e nettamente - come scrive nello stesso articolo a proposito delle azioni dei nazisti contrapposte quelle dei partigiani - Il loro metodo e il nostro: "Al metodo di strage, di distruzione, di violenza indiscriminata, al 'loro' metodo, insomma, con cui tutta l'Europa è stata lavorata, è stato opposto un metodo di generosità, di rispetto dell'uomo, di odio del sangue, nel quale possiamo riconoscere il nostro onore".

Segue un altro testo, sempre sull'esperienza fondamentale e gloriosa della Repubblica, uscito sul "Dovere" del 21 marzo 1945, alla vigilia della Liberazione (pp. 4 e 5). Contini vi mette in risalto due elementi fondamentali, vivi e presenti nell'Ossola liberata: il contegno della popolazione e l'esperimento di governo democratico. Nota, infatti, come una popolazione "riservatissima, scarsamente dedita all'entusiasmo" mantenne per tutto il periodo di libertà un atteggiamento festoso, in una città serena e imbandierata, dimostrando inoltre di avere rispetto e fiducia nei confronti di quel governo locale in cui "sedeva finalmente gente onesta e disinteressata". Quando la situazione precipitò e le truppe nazitedesche occuparono di nuovo Domo e l'Ossola, anche l'esilio fu affrontato e sopportato dai cittadini con atteggiamento dignitoso e con fiduciosa convinzione nella verità e nel valore dei "quaranta giorni di libertà", come vennero poi definiti i giorni della Repubblica.

I capitoli successivi riportano due articoli apparsi entrambi sul "Risveglio Ossolano" (10 aprile e il 1 maggio 1946). Contini vi affronta il tema del "socialismo liberale autonomistico 'dal basso' [...], corrente ormai dominante nel Partito D'Azione sulla questione ossolana". A questi fa seguito una sezione fotografica e il testo di un volantino del Partito D'Azione del 1948.

La seconda parte del libro contiene testi di letteratura, filologia e linguistica, tutti legati all'Ossola e al Novarese: dalle note sul dialetto di Varzo, paese della Val Divedro, a due scritti rosminiani di Giovanni Faldella; dalla recensione a un corposo volume dedicato a Novara e al suo territorio agli "Statuti volgari quattrocenteschi dei disciplinati di Domodossola"; da alcuni esempi di "schede ossolane", cioè di menzioni dell'Ossola in autori stranieri, fino alla presentazione di "Alegar e grazia", poesie dialettali di Armando Tami. Un testo, quest'ultimo, in cui, come nota Broggini nella presentazione, Contini ancora una volta "ritorna alla fedeltà alla sua valle".

Gianfranco Contini, Domodossola entra nella storia, Grossi 1995



lunedì 12 maggio 2025

Gesso, di Anna Woltz


Felicia è una ragazzina di dodici anni alla quale il suo nome non piace e infatti vuole essere chiamata Fitz, soprattutto adesso che è infinitamente arrabbiata con i suoi genitori, da pochi giorni separati. Fitz attribuisce la responsabilità della separazione alla mamma perché ha origliato una conversazione in cui la donna diceva che, nei giorni in cui lei e la sorellina Bente sono con il papà, “Può ritrovare se stessa”. Un’affermazione che sconvolge la ragazzina al punto da farle mettere in discussione tutto il suo passato. La rabbia è tale che Fitz si scrive sul viso una crudele, lapidaria frase: “Mamma deve morire”. Questo la costringe, quando, a causa di un incidente di bicicletta successo al papà e a Bente deve uscire di casa per accompagnarli all’ospedale, a coprirsi il volto con una maschera da tigre. L’ospedale è un mondo; un mondo di preoccupazione e di sofferenza, perché la falange di un dito di Bente si è staccata e si dovrà ricucirla e il papà accusa un mal di pancia molto sospetto, ma è anche un punto di incontro, prezioso per Fitz che conosce Adam, più grande di lei, bello e tenebroso come un attore del cinema, e Primula, una ragazzina innamorata del dottore che l’ha operata al cuore e che, con orgoglio, mostra a tutti la sua ferita.
A. Woltz, Gesso, Beisler 2025
                                                           Traduzione A. Patrucco Becchi

   Recensione completa su Mangialibri: Gesso | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

domenica 11 maggio 2025

Poesie e realtà '45 - '75

Quest'opera in due volumi a cura di Giancarlo Majorino offre un panorama della poesia italiana nel primo trentennio del secondo dopoguerra (1945-1975) ponendosi, come "un'antologia diversa, che rifiuta le regole della corporazione letteraria e riporta poesie, riviste, correnti e contro correnti, gruppi e singoli scrittori nel movimento della realtà. La circolazione dei testi poetici e la ricezione del lettore proletario sono spregiudicatamente collocate all'interno della lotta di classe, nel tentativo di rapportare bellezza, espressione della verità, rivoluzione". Fu una poesia, questa, nata in anni densi di progetti, tra fermenti e utopia, all'insegna di quella speranza - talvolta quasi incredula che il mondo potesse intraprendere una strada nuova, di uguaglianza, di partecipazione attenta, senza prevaricazioni, senza arroganza - eppure e tuttavia, sempre speranza viva.

Nel primo volumetto, che reca come sottotitolo "Il dopoguerra; gli anni della guerra fredda", leggiamo poesie di poeti "già operanti" come Saba e Ungaretti, Quasimodo e Gatto, Sereni e Solmi, Bertolucci e Luzi. Seguono "testi neorealisti" di Giorgio Piovano, Luigi Di Ruscio, poeti oggi quasi dimenticati, e di Rocco Scotellaro. Eppure "Canzone del 14 luglio" di Piovano esprime "adeguatamente ciò che fino ad allora non figurava nel possibile poetico" come vita e rapporti tra compagni. In Di Ruscio troviamo "un coraggioso e coatto impegno a ragionare, a lottare, a non cedere".

Nella seconda parte del volume, dedicato agli anni della guerra fredda incontriamo le pagine di "Officina", rivista che uscì tra il 1955 e il 1958. I redattori erano Leonetti, Pasolini e Roversi, ai quali si sarebbero aggiunti, in una fase successiva, Fortini, Romanò e Scalia.

Il secondo volume, che si riferisce agli anni dal 1968 al 1975, ha come sottotitolo "Il miracolo economico e il centro sinistra", collocandosì così nel cuore della vita politica e culturale della quotidianità italiana del tempo. Vi sono inseriti e commentati i poeti della neoavanguardia, Sanguineti, Porta e Zanzotto; sono citati e analizzati gruppi, riviste e testi di opposizione marxista con riferimento alla poesia, tra questi spiccano le opere di Fortini, Pagliarani, Trasanna, Di Ruscio, Majorino, e l'attenzione a riviste mitiche come "Quaderni piacentini", "Rendiconti", "Angelus novus". Nella seconda parte del libro sono antologizzati testi e poeti più recenti, sempre con riguardo al periodo dal 1968 in poi, ricco di idee, progetti, ribellioni: Morante, Rossi, Giudici, Risi, Bellezza, Neri, Cucchi, Trasanna, Brugnaro, Raboni.

L'indagine su un trentennio di poesia che non può essere né dimenticato né ignorato, e trentennio forse sotto la cenere mai spento, si offre a lettori vecchi e nuovi in quest'opera venuta da lontano e disponibile per la lettura in numerose biblioteche italiane.

Poesie e realtà '45 - '75, a cura di Giancarlo Majorino, Savelli 1977


giovedì 1 maggio 2025

Scaffale locale 16: Mora e Gibin. Due ragazzi d'oro, di Angelo Vecchi

Il 23 febbraio 1945 Enzo Gibin, prelevato a forza dall'ospedale in cui era ricoverato, ed Ernesto Mora furono trucidati e uccisi a Cressa per mano fascista e con inaudita ferocia, a soli due mesi dalla Liberazione. La loro vicenda, mai dimenticata a Cressa e nel borgo anche grazie alla convinta e attiva militanza resistenziale e antifascista delle rispettive famiglie, è ora ricostruita con storica chiarezza e appassionata partecipazione umana e ideale da Angelo Vecchi in un saggio nel quale rivivono le storie dei due giovani, ma anche - come scrive il presidente nazionale dell'ANPI Gianfranco Pagliarulo nella presentazione - "si muovono gli altri attori della tragedia: le famiglie e in particolare le donne, il paese di Borgomanero, la fabbrica, le battaglie, i martiri, i traditori, i boia, il nemico più feroce, tale Roncarolo, un gerarca che nel circondario si portava la fama di torturatore di partigiani".

L'interessante affresco di vita e l'ampio contesto storico in cui viene inserita la vicenda breve ed eroica dei due "ragazzi d'oro" facilitano la lettura del libro anche a chi, giovane ora come Enzo ed Ernesto erano allora, non ha vissuto gli eventi del ventennio fascista e della guerra in cui il regime trascinò l'Italia e nemmeno ha potuto ascoltare la viva voce dei protagonisti di quegli anni. Quattro densi e documentati capitoli e un'appendice conducono i lettori, insieme ad Enzo appassionato di meccanica, dal suo Polesine al Piemonte; e poi all'incontro in fabbrica con Ernesto, fino alla comune scelta di militanza tra i partigiani con il compito di provvedere al "recupero di armi e alla cattura di militi fascisti o tedeschi anche in località lontane dalla propria zona operativa". Un ricco e utilissimo apparato di note indica ai lettori le fonti bibliografiche, archivistiche, documentarie e orali relative ai fatti narrati.

Nell'appendice, oltre alle motivazioni delle medaglie d'oro assegnate ai due giovani partigiani con decreto del 9 dicembre 1948 (Quinto Governo De Gasperi) sono raccolte: tre poesie di Dante Strona; una coinvolgente galleria fotografica; i nomi di battaglia dei partigiani citati nel libro; una pagina dedicata a Gabriele Caione, già presidente dell'ANPI borgomanerese, la cui famiglia è intervenuta a sostegno della pubblicazione di questo libro, che esce sotto l'egida della Sezione ANPI "Medaglie d'oro Ernesto Mora ed Enzo Gibin", "al fine di onorare la memoria, ricordare l'impegno civile e l'opera di valorizzazione della memoria resistenziale di Gabriele" prematuramente scomparso nel 2019.


Angelo Vecchi, Mora e Gibin. Due ragazzi d'oro, Selvatiche Edizioni 2025

mercoledì 30 aprile 2025

L'uomo d'acqua e la sua fontana, di Ivo Rosati e Gabriel Pacheco

Quella narrata ne L’uomo d’acqua e la sua fontana è una storia molto singolare, capace di stimolare fantasia e curiosità, capace perfino di suscitare domande. Infatti, contro questo uomo d’acqua nato per caso, o, meglio, nato da una distrazione, molti si accaniscono brandendo scope, ombrelli, bastoni. Ma lui non si scompone mai davanti all’aggressività e all’incomprensione di chi lo avvicina solo per rimproverarlo, va sicuro e tranquillo, libero e leggero, gentile e generoso. Innaffia i fiori, disseta cani e bambini. Rimane sempre azzurro con sfumature di blu, limpido, come si addice all’acqua pura che lucida e pulisce un mondo spesso grigio e un po’ spento. Eppure, scrive l’autore, “non è facile la vita di un uomo così diverso da essere scambiato per un mascalzone”. Le illustrazioni rendono perfettamente l’assunto del testo: essere diversi, essere originali non è né una colpa, né indice di cattiveria. 

La recensione completa è su Mangialibri: L’uomo d’acqua e la sua fontana | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

Ivo Rosati e Gabriel Pacheco, L'uomo d'acqua e la sua fontana,
Zoo Libri 2022