mercoledì 24 gennaio 2024

La città nella poesia latina, di Carlo Carena

La città nella poesia latina è il quarto quaderno del Premio di Poesia e Traduzione Poetica "Achille Marazza". Pubblicato nell'ottobre 2000, riporta il testo della conferenza tenuta da Carlo Carena in occasione della cerimonia di premiazione dell'anno precedente, che vide vincitore Roberto Mussapi per la traduzione e Davide Rondoni per la poesia. Tra i finalisti nella sezione traduzione c'erano Francesco Bruno, Riccardo Duranti, Vincenzo La Gioia, Patrizia Valduga.

Si inaugurava inoltre in quell'anno, grazie a una collaborazione concreta a fattiva con l'Università del Piemonte Orientale, anche una sezione di traduzione dedicata agli studenti universitari e delle superiori, su cui torneremo in qualche altra occasione.

Nella sua relazione, Carena descrive Roma imperiale, i suoi "quartieri ben delineati, serviti da mercati, fognature, undici acquedotti, undici terme, ventotto biblioteche, otto ponti, undici fori, dieci basiliche, trentasei archi di marmo, due circhi, due anfiteatri, tre teatri, due piscine per spettacoli navali, più di millecento fontane, centonovanta granai, caserme di vigili e pompieri". Come nelle metropoli moderne, la popolazione è variegata: nordici, africani ed egiziani, orientali convivono insieme tra loro e con i monumenti e la storia dell'Urbe.

Come non amare questa città e come non cantarla? L'arguto Orazio, un campagnolo che per necessità vive nella metropoli, un poco si lamenta (satira nona) dell'invadenza di un concittadino, e un poco (satira sesta) descrive una piacevole passeggiata in solitaria tra il "circo ingannatore" e il foro.

Ovidio canta una città galante di belle donne, frivolezze e intrighi, "una dolce vita per i lirici".

Marziale descrive invece una città molto diversa, quella di chi stenta e vive lontano da ogni agio (epigramma 57, libro XII), i rumori che lo disturbano sia di giorno che di notte.

Giovenale stigmatizza vita e pericoli della Roma notturna (terza satira): cocci che cadono dai tetti, ubriachi, poveracci che importunano il passante, rapinatori col coltello in mano.

Altre città, oltre alla capitale, seducono i poeti: Papinio Stazio canta Napoli; Decimo Magno Ausonio dedica un canzoniere alle città più floride dell'impero.

Rutilio Namaziano, al momento di lasciare la città eterna, la saluta anche con parole che esprimono affetto e preghiera: "E tu ascoltaci, o regina bellissima e legittima del mondo, Roma, accolta nel firmamento fra gli astri. Ascoltaci, o genitrice di umani, genitrice di dèi, per i cui templi ci sentiamo meno lontani dal cielo".

Se Carena ci ha lasciato, questo testo, breve ma perfetto, rimane a testimonianza di un'intelligenza e di un impegno generoso per l'affermazione, sempre discreta, per una cultura "alta", possibile anche nella commerciale e provinciale Borgomanero. Basta volerlo e saperlo fare.





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