Nel pomeriggio di domenica 17 maggio Salvatore Settis ha tenuto una mirabile conferenza al
Salone del libro di Torino. Prendendo spunto dal suo più recente libro Se
Venezia muore ha parlato, avvalendosi anche della
proiezione di diapositive, della "morte" delle città storiche
italiane così come le conosciamo (o le conoscevamo), del fenomeno delle
megalopoli come agglomerati umani infelici e disumani nei quali il divario
tra pochi ricchi e molti poveri si evidenzia nella struttura e nella
suddivisione delle zone urbane in modo assoluto e crudele; delle nostre
colpe per aver assecondato tale modernità male intesa. La proliferazione dei
grattacieli, per fare un esempio, ha sostenuto Settis, si rifà alla
"modernità" di un secolo fa.
Il benvenuto di Ernesto Ferrero a Salvatore Settis |
Il libro, pubblicato nella collana "Vele" di Einaudi, riprende la conferenza tenuta a Venezia dall'autore nel novembre 2012, nell'ambito delle celebrazioni organizzate per i 100 anni di Morte a Venezia di Thomas Mann. Non si tratta tuttavia di uno studio sulla sola Venezia, ma di un "ragionamento universale" sulla storia delle città e sul loro attuale snaturamento, del quale Venezia è un caso emblematico. Le città muoiono, esordisce l'autore, in tre modi: quando un nemico esterno le rade al suolo, quando un popolo "barbaro" vi si insedia con la forza e quando i suoi abitanti perdono la memoria, divenendo stranieri a se stessi e dimenticando la propria dignità.
"Ogni città è viva narrazione della propria storia, ma anche volto e traduzione in pietra del popolo che la abita, la conserva e la trasforma. La città e il suo popolo sono una cosa sola, un solo nodo lega l'esperienza dei viventi e la memoria delle cose. Ma qual è il popolo di Venezia?" si chiede Settis. La città ha subito una fortissima riduzione del numero degli abitanti (statistiche a pagina 10), mentre sono lievitate le seconde case: "Domina ormai la città una monocultura del turismo che esilia i nativi e lega la sopravvivenza di chi resta e della città stessa quasi solo alla volontà di servire: di null'altro sembra più capace Venezia..."
La città ovunque nel mondo ha subito nell'ultimo secolo trasformazioni profonde, evolvendo verso la megalopoli, immenso formicaio umano in cui moltissimi si sono trasferiti sperando in un miglioramento delle proprie condizioni di vita e in cui moltissimi semplicemente sopravvivono nella più oscura povertà. Nella megalopoli "lo spazio sociale è asservito ai processi di produzione" ed essa "risponde ad un progetto di massimo sfruttamento del singolo in funzione della produttività dell'insieme" (pag. 19); un simbolo di questo processo è Chongqing, nella Cina Centrale, che dai 600.000 abitanti del 1930 è passata ai 32 milioni di abitanti odierni; il suo profilo, apparsoci più volte nelle slides, è quello di una grigia "foresta urbana" di decine di grattacieli.
Un capitolo del libro è dedicato proprio alla "Retorica dei grattacieli", esemplificata dai casi di alcune città italiane. Citiamo Milano, dove il punto più alto di altezza della città, quello della madonnina del duomo, è stato violato con "l'orpello di grattacieli" da cui la città è stata infestata con il pretesto dell'EXPO: questa scelta edilizia "come il vestito della domenica del villano inurbato nella commedia di un tempo [...] traveste l'insicurezza, occulta la cattiva coscienza". Porta con sé corruzione e sopraffazione. E' inutile. La popolazione di Milano è infatti significativamente diminuita negli ultimi quarant'anni (pagg. 29, 30), non necessitano dunque in città "densificazioni verticali".
Venezia nel "Civitates Orbis terrarum" del 1572 (autore Bolognino Zaltieri, 1565), al Museo Heritage |
La Venezia duplicata e triplicata qua e là nel mondo (Las Vegas, Macao, Dubai) ci conduce alla constatazione del fatto che viviamo in un mondo in cui il centro della comunità è il centro commerciale, il luna park, la fabbrica del "falso" divertimento. Il luogo comune vale se investito di valore economico, se rende come merce.
La città, nella sua nascita e nella sua storia, è invece il luogo del dialogo e della comunità, della politica, del confronto e della democrazia. E' storia vivente e palpitante. Come invertire la rotta e restituire a Venezia e alle città storiche la propria dignità e la propria unicità? "Se pensiamo Venezia come paradigma della città storica, anche la sua bellezza può diventare un argomento. La bellezza non è una merce, ma un patrimonio spirituale. [...] Pensare la città storica vuol dire pensare la comunità umana, il diritto al lavoro e il diritto alla città. [...] Perché se Venezia muore non sarà solo Venezia a morire: morrà l'idea stessa di città, la forma della città come aperto e vario spazio di vita sociale, come creazione di civiltà, come impegno e promessa di democrazia" (pag. 154).
La cura della città coincide dunque con la cura del popolo che vi abita, con il riconoscimento della sua dignità di essere (e di essere riconosciuto) tale a pieno titolo.
La cura della città coincide dunque con la cura del popolo che vi abita, con il riconoscimento della sua dignità di essere (e di essere riconosciuto) tale a pieno titolo.
Un libro, denso, illuminante, profondo. E anche appassionato. Da leggere e da meditare.
Salvatore Settis, Se Venezia muore, Einaudi 2014.
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