"Tradurre è la più vitale delle attività umane. Il cammino della civiltà è una incessante traduzione. Lo capì, ad esempio, un greco d'Asia, che si chiamava Erodoto, il quale vide quanto dal mondo religioso egizio fosse passato nel pantheon greco. I popoli che non traducono, in propria lingua, la civiltà (letteraria, artistica, filosofica, religiosa, scientifica) degli altri o diventano pericolosi o, se non possono essere aggressivi, si condannano al sottosviluppo. Prima o poi se ne renderà conto (al di là dell'attuale suo euforico monolinguismo) il mondo anglosassone, nonostante la forza economico-militare con cui impone agli altri il proprio idioma. Cioè il proprio modello". Inizio con una citazione dall'appendice la recensione di questo breve, ma acuto e indispensabile, saggio di Luciano Canfora. L'autore esordisce ricordando alcuni infelici propositi di riforma della scuola, per fortuna solo in parte attuati, nel nostro Paese: dallo "scorciamento" dello studio della storia antica all'introduzione di un mostricciattolo come la "geostoria" nei primi due anni del liceo classico (ex ginnasio), al vagheggiamento di un liceo breve di quattro anni che, insieme all'accorciamento a sette anni dello studio primario (elementari + medie), sarebbe stato "una boccata di ossigeno per le casse dello Stato". Proprio così, "per le casse dello Stato", scrissero i quotidiani riferendo il proposito - dagli evidenti e primari interessi pedagogici (!) - di quei governi. Alla luce di queste "priorità" generate dalle menti di improvvisati riformatori, dei quali i diversi governi, più o meno tecnici, sono stati ricchi, Canfora si chiede che cosa significi stare al passo con i tempi e quale sia il "nuovo" di cui è giusto tenere conto. E, naturalmente, afferma che se "nuovo" nella scuola significa renderla simile alla realtà esterna "mimandola", questo vanifica il compito stesso della scuola, che è la formazione e l'istruzione dei giovani e giovanissimi, "dando loro respiro" e tempo per approfondire il conoscere, in modo che possano, fatti adulti, uscire consapevoli e corazzati (intellettualmente, ma pure moralmente) nel mondo. Canfora prosegue ricercando quale sia il significato da attribuire al binomio "cultura umanistica" ("assumere la maschera passatista di don Ferrante non porta a nulla") e suggerisce che esso è quello di "sapere storico", che abbraccia i diversi aspetti del sapere e la cognizione del loro sviluppo e della loro storicità. Cultura umanistica è, in quest'ottica globale, anche lo studio delle civiltà antiche e la loro conoscenza mediante lo studio delle lingue classiche. Continua esaminando che cosa significhi "canone" nei programmi scolastici, fin dal lontano 1867 della riforma Coppino. Ci sono autori dell'antichità che si devono leggere e conoscere perché educativi e portatori di valori imprescindibili, affermava il "canone" nel nostro Paese di allora, e questa visione resse fino agli anni Sessanta del Novecento, quando anche la scuola superiore, un tempo limitata alle élites, si aperse a più ampi ceti sociali. Ma questa visione non basta, e Canfora la amplia, affermando che gli antichi "ci riguardano perché i loro problemi insoluti e i loro conflitti sono anche i nostri..." e perché "essi non hanno scelto la via consolatoria. Ci insegnano a scartare le risposte facili e le facili consolazioni e autoassoluzioni. [...] è evidente che alla svolta, coincidente con l'affermarsi dell'era costantiniana, nel momento in cui la cultura antica si cristianizza, si elabora quella che potremmo chiamare la via d'uscita a doppia velocità: non si cambia la società sulla terra perché tanto c'è l'aldilà. [...] gli antichi ci insegnano che non è quella la via d'uscita".
Se avete vacanze a Natale o a fine d'anno, leggete questo breve saggio; acquistatelo (il prezzo è abbordabilissimo anche dai ragazzini) e regalatelo, oppure chiedetelo in lettura in bibliblioteca. Avrete soddisfazioni e lumi.
Luciano Canfora, Gli antichi ci riguardano, Il Mulino 2014
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