lunedì 1 novembre 2010

Assunta e Alessandro. Storie di formiche, di Alberto Asor Rosa


Il libro inizia con La polvere degli umili, brano tratto da L'ultimo paradosso(Einaudi, 1985). Vi si legge, tra l'altro: "Vorrei sapere invece di loro perché sono stati, visto che, apparentemente, è come non fossero stati. Vorrei sapere se, veramente, ognuno di loro potrebbe considerarsi intercambiabile con altre unità del tutto equivalenti, visto che nessuno di loro ha avuto un carattere tale da salvarlo dall'oblio. Vorrei sapere se la loro indifferenza alla storia - e l'indifferenza della storia nei loro confronti - sono una conseguenza o una causa della loro umiltà, del loro stare al margine delle grandi correnti".
Assunta e Alessandro sono i genitori di Alberto Asor Rosa, che qui ne racconta le vicende, separate prima - con un brevissimo excursus nelle vicende delle rispettive famiglie, un poco più indietro rispetto alle nascite dei protagonisti -; unite, poi, dal matrimonio e dal figlio. L'intento dell'autore è chiaro ed esplicito: raccontare e riascoltare coloro che "ogni giorno rivediamo". Il lettore trova nel libro anche momenti della storia italiana ufficiale, quella a tutti comune, però principalmente riguardo a quella sua dimensione che s'insinua, fa capolino dentro le vicende più intime di individui e famiglie, a scompigliarne le sorti, o ad arricchirle, oppure distrattamente ignorata. Ma soprattutto il lettore di oggi - e spero che ci sia anche qualche giovane lettore fra costoro - potrà ritrovare il senso profondo della dignità dell'esistere, del bene comune, del decoro di vita e di pensiero, della ragionevole speranza nell'avvenire che contraddistinse a lungo il ceto impiegatizio e la piccola borghesia del nostro Paese, e che ora pare essersi perduto. E che poteva dar luogo - anche se per poco - a momenti profondamente felici: "In quel piccolo grappolo d'anni nella Storia ci sono solo loro, Assunta, Alessandro e il piccolo. Assunta, rassettando e rigovernando di stanza in stanza per casa, canta a gola spiegata romanze d'opera [...] Sandro rientra ogni giorno in casa di corsa, come un giovane uomo baldo e ridente, con un fascio sempre nuovo di "giornaletti" sotto il braccio [...] Sono anni solari, accarezzati da un lieve venticello primaverile, sospesi in una specie di limbo dell'anima, in cui si sta benissimo, prima di essere, ahimè, giudicati e mandati. E', insomma, un caso esemplare di diffrazione epocale: il mondo, che lo si sappia o no, corre, proprio allora, verso il peggio, ma loro tre, proprio allora, sono felici".
Asor Rosa aveva già raccontato ne L'alba di un mondo nuovo (2002) la sua storia di fanciullo a Roma, durante gli anni dal 1933 al 1945; un modo per arricchire la memoria con la sostanza delle cose, dei fatti, delle persone: amati e vissuti con lo stupore e l'ingenuità di un bambino che è al centro della narrazione perché è stato appunto al centro della vita di una famiglia e dei suoi luoghi (l'appartamento, il "casermone", il paese della vacanze...). Il libro si concludeva proprio con l'"alba del mondo nuovo" radiosamente presente nel racconto della festa del primo maggio 1945 al Deposito locomotive di Roma Prenestino - il padre dell'autore era ferroviere -, col canto de L'internazionale e poi con il ballo al suono di melodie popolari: un futuro che si apriva con fondali di luce, con capitali di speranza. La storia di Assunta e di Alessandro si chiude, invece, al presente. Il presente di chi, "fermando" nella scrittura un mondo, o meglio un uomo e una donna, afferma una sua piccola, ma fondamentale verità: "ogni giorno li rivediamo".
Un libro da leggere, davvero, questo. E, a chi non l'avesse ancora letto, consigliamo anche il precedente.
Alberto Asor Rosa, L'alba di un mondo nuovo, Einaudi 2002
Alberto Asor Rosa, Assunta e Alessandro, Einaudi 2010.

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