giovedì 25 dicembre 2008

Il Natale precristiano di Roberto De Simone

Presso i popoli pagani, già molti secoli prima della venuta di Cristo, la celebrazione del Natale era legata al ciclo delle feste propiziatorie di fine anno, quando un profondo senso di angoscia prendeva gli uomini di fronte allo spettacolo terrificante di una natura che, non generando più i frutti, sembrava destinata a spegnersi per sempre. Com'è noto, infatti, la fase terminale dell'anno solare coincide, a livello astronomico, col sostizio d'inverno in cui la terra raggiunge il punto di massima distanza dal sole. Tuttavia, lentamente, all'angoscia presente subentrava la speranza che sulla terra sarebbe tornato a splendere il sole e la natura si sarebbe aperta a nuova vita. Di qui alcuni rituali, propri dei popoli primitivi, tendenti a simulare il ritorno della luce e del calore, come quello connesso ai cosiddetti ceppi o fuochi di Natale, ancora presente in alcune aree della nostra tradizione popolare, che simboleggia il tentativo di incatenare, per così dire, il sole e costringerlo a un ritorno forzato sulla terra. Più tardi, quando l'antica società matriarcale fu sostituita da quella patriarcale, a un'angoscia collegata alla morte della natura subentrò un'angoscia associata al Tempo storicamente inteso, vissuto come esperienza di sciagure, di guerre, di calamità naturali e imprevedibili.
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A ben considerare, è proprio questo che ancor oggi vuole essere il Natale: una specie di sospensione del quotidiano, quasi un arresto momentaneo del normale ritmo di vita. Le stesse vacanze natalizie, in quanto periodo di vacatio, di non lavoro, vorrebbero significare il desiderio di eliminare tutto il male che l'anno morente ha inevitabilmente prodotto, per cui si instaura una dimensione di ritorno all'initium mundi, prima che la Storia regolasse gli accadimenti umani in un continuo inarrestabile divenire: ultima meta la morte. Questo spiega anche perché le antiche religioni abbiano tutte elaborato il concetto dell'avvento salvifico di un eroe celeste che, sopprimendo la storia e quello che di negativo a essa è legato, inaugura sulla terra un'era di pace e prosperità. Di qui la grande diffusione del mito di un Bambino solare in tutto il mondo antico, dall'Egitto (Horus), alla Grecia (Dioniso), alla Persia (Zoroastro). In particolare ad Alessandria, proprio la notte del 24 dicembre, si svolgeva una festa rituale in cui i sacerdoti, mentre si portava in processione un bambino fasciato raffigurante Horus, figlio divino di Iside, annunciavano al popolo che la Vergine aveva partorito e che il Sole era tornato a splendere nel cielo. Tale rituale si ripeteva, in maniera identica, a distanza di dodici giorni. Si celebrava così, annualmente, il Natale di un Bambino metastorico o mitico, che avrebbe segnato l'inizio di un nuovo ciclo epocale per l'umanità." (R. De Simone, Il presepe popolare napoletano, Einaudi, Editore)

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