martedì 11 novembre 2025

Il formidabile furto del quadro più famoso del mondo, di Nicholas Day

La vera storia del furto del ritratto della Monna Lisa di Leonardo da Vinci è narrata da Nicholas Day, giornalista e divulgatore statunitense, con spigliato umorismo, ma anche con documentata precisione, con linguaggio brioso, ma anche ricco dei necessari approfondimenti. Il racconto procede come quello del giallo classico, nel quale gli investigatori indagano, raccolgono e radunano indizi e prove, formulano ipotesi più o meno realistiche. Qui tuttavia vedono le loro ipotesi sgretolarsi l’una dopo l’altra sotto lo sguardo critico e severo della stampa, mentre tutti i Parigini si disperano per le sorti di un quadro del quale i più avevano fino a quel momento ignorato l’esistenza: “"Il furto del quadro di Leonardo occupò la prima pagina dei giornali parigini ogni giorno per più di un mese. A ogni notizia, il dipinto acquisiva rilevanza e la sua perdita diventava più tragica. Non si trattava più di un quadro qualsiasi, e nemmeno di un’opera d’arte qualsiasi. Era un dipinto sublime”. Grazie al furto e al mistero che per due interi anni l’avvolse, Monna Lisa, la Gioconda, divenne un mito assoluto, quasi una creatura viva, non solo immortalata nell’arte. Ai capitoli che riguardano il furto e la soluzione dell’enigma poliziesco, se ne alternano altri dedicati alla vita e al carattere di Leonardo, dalla sua nascita illegittima alla sua intelligenza acuta e incostante, alla sua curiosità inestinguibile, alla sua mancanza di puntualità nella consegna delle opere che gli venivano commissionate.  

Ora che un altro furto si è, incredibilmente, verificato di nuovo al Museo del Louvre, come non leggere la mirabolante storia dell'analoga, precedente impresa? La recensione integrale del libro è su Mangialibri, al link: Il formidabile furto del quadro più famoso del mondo | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

Nicolas Day, Il formidabile furto del quadro più famoso del mondo, Mondadori 2025

martedì 4 novembre 2025

POESIE PER GAZA, Antologia a cura di Eleonora Bellini e Caterina De Nardi


La poesia è parola misurata ed essenziale, può coinvolgere impressioni ed emozioni ma anche meditate riflessioni, può perfino essere ricordata dentro e oltre il turbine delle incombenze quotidiane. La poesia per Gaza ancora di più, perché Gaza siamo noi, nell’immensa fragilità dei nostri corpi e nell’immensa resistenza dei nostri cuori’’: dall'introduzione di Eleonora Bellini all'antologia nella quale cinquantuno poetesse e poeti di ogni regione d'Italia dedicano i loro versi a Gaza e alla Palestina. 

L’idea di questa raccolta, che vede unite voci diverse attorno a un tema e a un ideale comune, si deve a Caterina De Nardi che alcuni mesi fa scriveva a poetesse e poeti una lettera breve e significativa, perfino urgente, nella quale, tra l’altro, si leggeva:
Cara Poetessa, caro Poeta, in questi mesi stiamo assistendo a una tragedia umanitaria devastante. A Gaza migliaia di civili - tra cui tantissimi bambini - vengono annientati sotto un fuoco che non conosce tregua, nel silenzio complice delle diplomazie e nell’assenza di giustizia. È un accanimento che ci lascia sgomenti, ma che non può lasciarci muti. Nasce da questo dolore e da questa indignazione l’idea di raccogliere i nostri versi in un’ antologia collettiva. Sarà un atto, un atto poetico e politico per testimoniare l’orrore, la pietà, la rabbia e la speranza. Le nostre voci si uniranno per opporsi al genocidio in corso, per custodire l’umano, per stare nella storia come atto di resistenza e di denuncia.

Nel libro, di 140 pagine e dal significativo sottotitolo "La poesia testimonia la storia", oltre al testo introduttivo e alle poesie sono presenti le notizie biobibliografiche di tutte le autrici e di tutti gli autori partecipanti.

Poesie per Gaza, LFA Publisher 2025

lunedì 3 novembre 2025

L'Imam deve morire, di Enzo Amendola

Musa al Sadr, Imam sciita, si impegnò per tutta la vita per favorire la convivenza e la tolleranza all'interno dell'Islam e anche nel dialogo con le altre religioni. Nel 1963 partecipò alla proclamazione di Papa Paolo VI e fu il solo dignitario musulmano ad essere ufficialmente invitato alla cerimonia. Erano, quelli, gli anni del Concilio Ecumenico Vaticano II, che ebbe anche su di lui un’importante influenza. Sostenitore del dialogo interreligioso, concluse un sermone alla Chiesa dei Cappuccini a Beirut il 18 febbraio 1975 con la seguente dichiarazione: O uomini e donne credenti, troviamo un punto d’incontro negli esseri umani, in ogni essere umano. Ognuno deve essere, infatti, oggetto delle nostre parole e della nostra azione: quelli di Beirut, quelli del Sud, quelli del Hermel, quelli dell’Akkar e quelli delle periferie della stessa capitale, da Karantina a Hayy El Sullum. Nessuno è al di fuori di questa occasione né messo da parte né classificato. Difendiamo, perciò, gli esseri umani del Libano affinché possiamo difendere questo Paese, il Paese dell’essere umano, pegno della storia e pegno di Dio”.

Musa al Sadr, nato in Iran nel 1928 e misteriosamente scomparso in Libia (ma i libici sostennero per lungo tempo che fosse scomparso a Roma) nel 1978 è il protagonista di questo appassionante romanzo che intreccia fatti storici e finzione letteraria, facendo emergere uno dei casi più misteriosi del Novecento - tanto da essere definito "il caso Moro d'Oriente"- avvenuto nello stesso periodo in cui in Italia vi furono il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro. È il capitano dei servizi segreti italiani Roberto Stancanelli, personaggio di fantasia, a indagare sul caso che, fin dall'inizio, gli appare complicato e costellato da reticenze e depistaggi. Convintosi del fatto che l'Imam in Italia non è mai arrivato, nonostante le autorità libiche vogliano convincerlo del contrario, Stancanelli non ha prove chiare e concrete di cui farsi forte. Anche per questo il caso viene presto archiviato, ma il capitano non è persuaso e continua a ripensare al mistero della scomparsa di Musa al Sadr: chi avrebbe potuto desiderare che un uomo che per tutta la vita aveva predicato la pacifica convivenza tra popoli e religioni differenti fosse cancellato dalla faccia della terra? Troverà la risposta solo vent'anni dopo. Ma non sarà invano.

Enzo Amendola, nato a Napoli nel 1973, è stato Sottosegretario agli esteri e successivamente Ministro per gli Affari Europei. È deputato della Repubblica.

Enzo Amendola, L'Imam deve morire, Mondadori 2025


venerdì 31 ottobre 2025

Piccola volpe, di Pinguini Tattici Nucleari

Una piccola volpe “un po’ borderline” si allontana da casa: sta fuggendo? Sta esplorando? Vorrebbe volare via lontano come una rondine? Certamente non desidera essere chiusa in gabbia come un canarino, anche se c’è "un uomo a metà" che vagheggia di rinchiuderla e di portarla con sé in città. La piccola volpe vuole soprattutto essere libera, nessuna catena potrà legarla. 

Nel più recente album dei Pinguini Tattici Nucleari, Hello World, c’è anche la canzone dedicata a una piccola volpe in cerca di libertà. Ora la canzone è diventata un libro colorato e gentile, edito da Mondadori, in cui il testo è lo stesso della canzone ma qui è illustrato con delicatezza, luminosità ed efficacia da Francesca Vitolo. Il libro, così come la canzone, propone un messaggio chiaro: l’importanza di rispettare la libertà e la volontà di ciascuno, specialmente dei più piccoli, specialmente di coloro a cui si vuol bene. Come la canzone, il libro pone l’accento, pur in modo semplice, fiabesco e giocoso, sul fatto che ogni relazione autentica rispetta la personalità e la libertà altrui. Il messaggio è adatto sia agli adulti che ai bambini, anzi si presta alla lettura condivisa e, nato com’è da una canzone, perfino al canto, divenendo uno strumento piacevolmente educativo. 

Pinguini Tattici Nucleari, Piccola Volpe, Mondadori 2025 

La recensione per intero è su Mangialibri, qui: Piccola volpe | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

martedì 28 ottobre 2025

Segn e Artaj, di Maria Lenti. Recensione di Enrichetta Vilella

Lettere, passione per l'insegnamento, poesia, e quel talento, sempre più raro, di tessere relazioni di colore educativo, i colori della reciprocità, della generosità, della libertà. Il talento da maestra di vita di Maria Lenti.

"Segni e Ritagli" è proprio frutto di una tessitura, leggendo si viene trasportati da parole naviganti, come ebbi già modo di definire i versi di Lenti a proposito di "Elena, Ecuba e le altre.1 Leggendo si viene trasportati in un flusso:

- un flusso di trama e ordito, “Rideranno per l’insistenza a mettere due parole in croce -scrive Maria Lenti in Due parole2mi piace la mia giornata finché non si spezza il filo”. Il filo di chi racconta e crea tessendo, appunto;

- un flusso di silenzio, che non è assenza di parole ma attenzione al visibile (come direbbe Borgna3). A sera, Maria non apre più la porta a nessuno, legge, lavora, e pur tuttavia ci sono le sue finestre che

danno a est e a ovest

a oriente verde vario le colline (…)

a ovest palazzoni a gradoni

li vedo e non li vedo

nello studio difatti leggo e lavoro

e vado a letto quando è scuro” 4

e la mattina dopo,

M’affaccio di mattina

col freddo alla finestra

a braccia aperte

son tutti lì nell’aria

i miei pensieri passabili

nonostante culmini dicembre5

Versi che portano nel vivo dell'atto creativo. Maria scrive che non apre la porta, eppure ci ritroviamo lì, a rimirare il suo sguardo, le sue braccia aperte, i suoi pensieri “ch'en c'è mal”6;

- un flusso osmotico tra mondo interiore e tutto il resto del mondo (che irromperà nella III militante sezione), di cui quello interiore fa parte: “Voglio capire per non stare ferma e nemmeno morire di crepacuore.7

Se, come scrive Gualtiero De Santi nella prefazione di "Segn e Artaj", “il mondo è in prima istanza quello interiore”, da dove muovono le parole di Maria Lenti, dove le cerca incessantemente? Da dove sgorgano le sue parole, che hanno sempre l’aria di essere innamorate?

Ciò che è fuori di noi è sempre incerto, sarà per questo che poete e poeti ne scandagliano ogni anfratto senza tregua, indagando linguaggi e parole e Maria Lenti lo fa, con una scrittura libera, che svela. Nei suoi versi si vedono di lei, come su una strada illuminata, la verve, il disincanto, le sferzate, la comprensione delle vicende umane. Un flusso che sfocia in un armusciné, quella sostanza di cui scrive Maria nella raccolta "Arcorass"1, quella sostanza che ci tiene vivi.

Dura cosa dall’incoscienza arrivare alla coscienza …

So che non so questo so2

Musciné e armusciné

E su quella strada illuminata, cammina impudica anche tanta tenerezza, come nelle pagine iniziali, di potente impatto, di "Apologhi in Fotofinish3", che coinvolgono in un labirintico percorso, labirintico e a spirale, dal quale è difficile uscire, non per uno stato di angoscia, ma per uno stato di tenerezza, nel quale vanno a stemperarsi, anzi ad arricchirsi, sentimenti duri. “Invidia” si intitola il primo racconto di Apologhi, dove la protagonista è rosa dall’invidia “finché una dottora della psiche mi ha rimesso in sesto ed ho capito quel che dovevo capire, rimestando dentro ogni possibile anfratto e rivoltando sotto-sopra quella melma da cui non usciva che un’invidia nera … La melma è scomparsa … la tenerezza aveva preso il posto dell’invidia.” Quanti di noi sarebbero capaci di mettere a nudo attraverso se stessi, vizi ritenuti capitali, umili lucciole di tenere debolezze del nostro essere umani? Tutto è già detto. Cosa devo dire per esprimere la bellezza della vita? Così aveva risposto Maria Lenti quando, durante la presentazione di "Segn e Artaj" presso l'Associazione Partenia di Pesaro, a febbraio scorso, il relatore Roberto Rossi l'aveva interrogata sul senso della “Domanda”, ultimi versi dell’ultima e unica poesia dell'ultima sezione della raccolta:

Domanda

che poesia dire se tramontati

astri la luna

se resta la mia vita

calamita

verso la vita?

Tutto è già detto, Maria? No, Maria Lenti, poeta, ti chiedo scusa se abuso ancora dei tuoi versi,4 ma provo a tirare un filo che non si può far penzolare, perché "Segni e Ritagli" si propone proprio in una gioiosa posizione παρα δόξα e insinua una chiave di lettura che spiazza e intriga nel gioco di intreccio tra vita e amore:

la vita è meravigliosa quando siamo innamorati

quando siamo innamorati sempre

è una gran noia perché la vita è noiosa

quando è sempre uguale

l’amore … dura solo un respiro appassisce e muore …

lo so lo so

ma è come se non lo sapessi

qualcuno mi deve spiegare

perché proprio adesso sento che dovrei partire

per un viaggio sconosciuto.

Perché? Perché adesso, finito e svelato questo viaggio chiamato "Segn e Artaj – Segni e Ritagli", lo sappiamo Maria, hai già, subito, ricominciato a cercare parole, parole altre e innamorate per altri libri viaggianti, ancora e ancora. Come facciamo a saperlo?

L'hai scritto tu

L’amore si è nascosto a piangere

Dimmi dove, che vado a consolarlo1

L’hai detto tu, quando ti chiesi di musciné e armusciné. La sostanza che ci tiene vivi, mi raccontasti, e ci fa amare la vita che si presenta nuova e ripetitiva, bella e triste, imprevedibile.

Note

1. Elena, Ecuba e altre poesie - Arcipelago Itaca Ed.2019

 2. Due parole, in Segn e Artaj poesiePuntoacapo edizioni 2024

 3. Eugenio Borgna, In ascolto del silenzio - Einaudi 2024

 4. Le mie finestre, in Segn e Artaj op.cit.

 5. Verso oriente, in Segn e Artaj op.cit.

 6. Verso oriente, in Segn e Artaj op.cit.

 7. Giorni a marzo 2022, in Segn e Artaj op.cit.

 8. Arcorass poesiePuntoacapo edizioni 2020

 9. Armuscinè, in Arcorass op.cit.

 10. Apologhi in fotofinish racconti e altri scritti -Fara Editore 2023

 11. Strana storia – Sorpresa – Adesso, in Segn e Artaj op.cit.

 12. San Valentino, in Segn e Artaj op.cit. 


domenica 26 ottobre 2025

Fascismo e democrazia, di George Orwell

Il libro raccoglie cinque acutissimi articoli scritti dal giovane Orwell, prima che il successo arridesse alle alle sue opere più note: Fascismo e democrazia; Letteratura e totalitarismo; La libertà del parco; L'invasione da Marte; Visioni di un futuro totalitario. Segue la postfazione di Roberta De Monticelli che offre una fondamentale chiave di lettura degli articoli stessi, scritti negli anni 1941 e 1945. 

Orwell analizza le critiche alla democrazia "borghese", provenienti sia dai nazisti e dai fascisti che, su basi diverse, dai comunisti, e dimostra la loro superficialità il loro scarso senso della realtà: "La democrazia borghese non è abbastanza, però è molto, molto meglio del fascismo, e muoverle contro equivale a tirarsi la zappa sui piedi. La gente comune lo sa, anche se gli intellettuali lo ignorano. La gente comune si terrà ben stretta l'illusione della democrazia e il concetto occidentale di onestà e decenza" p. 18). 

Quanto alla letteratura nei regimi totalitari, vista soprattutto sul fronte della critica e della massima shakespeariana "Sii sincero con te stesso", nella sua lettura alla BBC (maggio 1941) Orwel afferma: "Viviamo in un'epoca in cui l'individuo autonomo sta cessando di esistere - o forse dovremmo dire un'epoca in cui l'individuo sta cessando di avere l'illusione di essere autonomo". L'affermazione precorre i tempi ed è di estrema attualità, anche nell'ambito della capacità della letteratura, libera e autentica, di resistere al totalitarismo.

Nell'articolo "La libertà del parco" (1945) lo scrittore commenta il caso di alcune persone che vendevano giornali all'ingresso di Hyde Park e che per questo furono arrestate, processate e condannate. Non vi fu una decisa protesta popolare contro questi eventi, ma solo "un piccolo fremito in certi settori della stampa minoritaria". Fatto che Orwell considera un cattivo e inquietante segnale, perché "l'idea che sia rischioso lasciare libertà di espressione a certe idee sta crescendo. Viene accreditata da intellettuali che confondono le acque non facendo distinzione tra opposizione democratica e rivolta aperta, e si rispecchia nell'indifferenza diffusa alla tirannide e all'ingiustizia all'estero". Affermazione, quest'ultima, che non pare affatto scritta oltre ottant'anni fa.

"L'invasione di Marte" (1940) fa riferimento al notissimo sceneggiato radiofonico di Orson Wells, basato su "La guerra dei mondi" di H.G. Wells, sceneggiato che scatenò il panico in oltre un milione di persone, convinte che un'invasione di Marziani si stesse effettivamente realizzando e che la fine del nostro mondo fosse imminente. Un sondaggio realizzato dopo quello strabiliante panico rivelò, scrive Orwell, che "le persone risultate più suggestionabili erano povere, poco istruite e, soprattutto, versavano in condizioni economiche precarie o avevano una vita privata infelice. L'evidente collegamento tra infelicità personale e disponibilità a credere all'incredibile è la sua scoperta più interessante [...]  è precisamente questo stato d'animo ad avere spinto nazioni intere nelle braccia di un Salvatore". Non è difficile, credo, il collegamento di questa osservazione con le attuali numerose fake oggi in circolazione. Un solo esempio viene da quelle sul clima, dai tombini non puliti alle "scie chimiche" agli elefanti di Annibale.

L'ultimo capitolo "Visioni di un futuro totalitario" fu pubblicato originariamente nei "Ricordi della guerra di Spagna", saggio uscito nel 1942. L'autore esordisce constatando che, in guerra, "nessun evento viene mai riportato correttamente sui giornali", ma in Spagna si giunse a diffondere notizie che "non avevano alcuna parentela con i fatti": la versione franchista della guerra "era pura invenzione, e in quelle circostanze non avrebbe potuto essere altrimenti". C'è un esempio emblematico delle "gigantesche piramidi di menzogne erette dalla stampa cattolica e reazionaria ovunque nel mondo: quello della presenza in Spagna di un esercito russo. Questo genere di menzogne, ovunque diffuse, spaventa Orwell perché gli fa temere che "l'idea stessa di verità oggettiva stia scomparendo". E seguita, un paio di pagine dopo: "L'obiettivo implicito di questa linea di pensiero è un mondo da incubo in cui il Capo, o una qualche cricca dominante, controlla non soltanto il futuro, ma anche il passato". Recenti fatti ci fanno temere, così tanti anni dopo, che quell'incubo sia destinato a non scomparire mai. Che fare allora? Orwell constata che contro la manipolazione dei fatti presenti e passati esistono due sole difese: l'una è che, per quanto bistrattata, la verità continua a esistere; l'altra consiste nel fatto che, finché alcune parti del pianeta sono esenti da dittature, sarà possibile "tenere in vita la tradizione liberale". Ma se fascismo e fascismi dovessero ovunque dilagare "entrambe queste condizioni cesseranno di esistere".

La già citata postfazione di Roberta De Monticelli, un vero e proprio saggio breve, approfondisce la visione di Orwell, che "settantacinque anni dopo la sua morte atterra nel nostro presente".

George Orwell, Fascismo e democrazia, RCS 2025


venerdì 24 ottobre 2025

Volevo fare Zorro, di Alex Corlazzoli

Palermo, 13 aprile 1947. Giovanni, molto emozionato e anche un po’ preoccupato, siede al primo banco della chiesa di Santa Teresa alla Kalsa. È il giorno della sua Prima Comunione, un momento importante per cui si è preparato a lungo: un giorno di festa ma anche di impegno, per l’oggi e per il futuro. Tra i doni ricevuti in quell’occasione c’è anche un taccuino sul quale Giovanni potrà annotare fatti degni di essere ricordati, pensieri, riflessioni, piccoli segreti e che da quel giorno porterà sempre con sé, anno dopo anno. Il breve ma coinvolgente taccuino immaginario offre così il racconto della vita di Falcone dall’infanzia fino all’età adulta. Giovanni è uno scolaro bravo nel profitto e coraggioso nel carattere, che si allena a non avere paura e a cavarsela da solo in ogni difficoltà, come faceva Zorro, l’eroe di un romanzo, scoperto tra quelli della biblioteca del suo papà, che gli piace leggere e rileggere. “Vorrei essere anch’io come Zorro per sconfiggere quei ragazzotti che mi prendono in giro; per aiutare mia sorella; per difendere tutti quelli che subiscono un’ingiustizia; per combattere chi fa del male agli altri, chi uccide”, scrive il ragazzino sul taccuino alla fine della quinta elementare.

“Taccuini Immaginari” è una collana dedicata a personalità significative ed esemplari le cui biografie sono narrate in prima persona, come fossero appunti e descrizioni di un diario personale, accompagnati da schizzi e disegni. Se il taccuino è immaginario, i fatti narrati sono reali perché l’autore, Alex Corlazzoli, giornalista e maestro, li ha raccolti in seguito all’esame di documenti, di resoconti di cronaca e di testimonianze. Il taccuino racconta in prima persona la vita di Falcone fino al 22 maggio 1992, giorno precedente la sua morte a Capaci, dove fu ucciso in un ferocissimo attentato di mafia, insieme alla moglie Francesca e agli uomini della scorta.

Nell’Appendice, datata 23 maggio 1992, Cortazzoli racconta ai giovanissimi lettori i fatti di quel sabato, un sabato quasi d’estate in cui perdettero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco di Cillo e Vito Schifani.

Alex Corlazzoli, Volevo fare Zorro, illustrazioni di Giacomo Agnello Modica, Giunti 2025

La recensione si legge per intero su Mangialibri al link: Volevo fare Zorro | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

lunedì 20 ottobre 2025

Giulia e l'anno memorabile, di Eleonora Bellini e Giuseppe Guida

"D'ora in poi scriverò ogni giorno una parola che mi piace" annota Giulia nella prima pagina del diario in cui racconta la sua storia di bambina. Una storia ordinaria e singolare insieme: ordinaria, perché le vicende narrate appartengono alla vita quotidiana di ogni bambino; singolare per la profonda amicizia con ragazzini di altra etnia e cultura e per l'impegno vòlto a costruire un cammino comune di amicizia, di solidarietà e di pace. 

Sulle pagine scorrono i momenti e i pensieri di ogni giorno: lodi o rimproveri delle maestre, sentimenti di amicizia e solidarietà tra bambine, importanza e peso delle parole (quelle belle e quelle sgradite), severità della mamma, dispiacere per quanto racconta il papà reporter di guerra, feste civili e religiose. L'arrivo del nonno, brillante ed empatico artista amante del disegno e della pittura come lei, regalerà a Giulia, oltre a belle esperienze con gli amici, sicurezza e fiducia in se stessa. Poi giunge, verso la metà dell'anno scolastico, un ospite sgradito e inatteso, il virus sconosciuto, il covid19, e porta lunghe giornate da trascorrere in casa, chiusura delle scuole e didattica a distanza, un'esperienza pesante e difficile, ma importante, come tutte, per crescere.

Il libro è ad alta leggibilità: caratteri e impaginazione favoriscono la lettura di tutti.

Età di lettura: dai 9 anni in su.

Temi: amicizia, accoglienza, affetti familiari, rapporti nonni-nipoti, errori a scuola e non solo, conoscenza della propria città e amore per l'arte, feste nazionali e universali, il confinamento per covid19, il valore delle parole, il valore dei ricordi.

Giulia e l'anno memorabiletesto di Eleonora Bellini, illustrazioni di Giuseppe Guida, Edizioni Il Ciliegio 2025

domenica 19 ottobre 2025

Nota critica di Francesco Siciliano Mangone alla poesia "Cose" di Eleonora Bellini


Cose

Case di cose, nudi

oggetti invadono ogni spazio,

arido tra le piastrelle la memoria

e il cielo.


(Signori, fate

i vostri acquisti quotidiani

che il capitalismo sa

bene addomesticare le sue bestie).


Eppure basterebbe qualche affetto

- cuori attenti, mani salde -

a salvarci dalle bufere

e dai venti d'uragano.

© Eleonora Bellini


In questo nostro tempo di penuria, di catastrofi etiche pandemiche ecosistemiche, Eleonora Bellini con la sua poesia Cose, racconta di una catastrofe ancor più drammatica: quella relativa alla perdita/svilimento della soggettività emozionale e del sentirsi critico, ad opera del flusso merci-cose-oggetti.

Sin dall’inizio scrive, “Case di cose, nudi/oggetti invadono ogni/ spazio…” versi forti che rinviano al nostro abitare alienato, “arido”, tipico del nostro sistema consumistico; così che la memoria scivola a ricordare una delle espressioni più pregnanti della modernità, quando definisce la “ricchezza” della nostra società: una “immane raccolta di merci”; destino di voraci consumatori.

E sarà Henri Lefebvre, seguendo questa traccia teorica, a parlare nella sua Critica della vita quotidiana, dell’esercizio dell’inganno perpetrato dal capitalismo, così la poetessa sottolinea: sa “bene addomesticare le/sue bestie”. Per dire: coinvolti nella "fantasmagoria" illusoria della merce veniamo preformati da un tale sistema totalizzante (oggetti/invadono ogni/spazio…), cosicché -mentre veniamo svuotati del nostro vissuto emozionale, costretti al frammento e alla propensione dell’esteriore, alla bellezza senza sostanza- diventiamo noi stessi cose tra le cose; noi: i prodotti della riproduzione di questo sistema quantitativo senza limiti.

Eppure… nella intimità della casa, Lefebvre parlerà del momento (ricorda “la piccola porta” per W. Benjamin) come presa di coscienza individuale, autocoscienza, che disallinea dal continuum alienato della vita quotidiana, per la realizzazione d’un possibile altro, una via di fuga. Da ciò ne verrebbero possibilità di ricostruire nuove e diverse conduzioni dell’esistenza, ripristinando così l'umano di cui siamo portatori, come indicano i versi della terza stanza finale, “Eppure basterebbe qualche affetto/-cuori attenti, mani salde-/a salvarci…”. Partendo, ancora una volta, da un linguaggio (quello del poeta) legato, finalmente, al vissuto concreto del giorno.

Istituendo al di là del terrore del potere, una nuova antropologia.

© Francesco Siciliano Mangone

Immagine dal web

sabato 18 ottobre 2025

Un chilo di piume un chilo di piombo, di Donatella Ziliotto

Trieste 1940. Fiamma (così l'ha chiamata la mamma, ma lei avrebbe voluto chiamarsi Tonina) ha otto anni e frequenta la quarta elementare. In aula scatta il preallarme: il cielo è limpido, l'aria tersa, tempo ideale per i bombardamenti e le incursioni aeree. Il momento è ideale per pattinare. Mentre piazza grande si svuota perché tutti si precipitano nei rifugi, Fiamma e la sua amica Luisa trovano il tempo per salire sui pattini, che tengono nascosti nell'androne di casa, e per seguire, con il naso all'insù, le traiettorie degli aerei che sorvolano la città. Perché anche in tempo di guerra le bambine restano bambine, con gli occhi spalancati sul mondo e tanta voglia di giocare e insieme di capire. 

Tanto piombo, infinite angosce negli anni di guerra. Eppure in questo romanzo il peso del piombo è contrastato da quello di altrettante piume: i pensieri leggeri, schietti, fiduciosi di una ragazzina vivace, aperta, coraggiosa. La narrazione, in forma di diario, privilegia infatti il punto di vista dell'infanzia sul mondo e sugli affetti. Gli sguardi di Fiamma sulla sua città e la sua gente, sui familiari e gli amici, sono sguardi pieni di curiosità e privi di pregiudizi. Si traducono, nella descrizione di episodi sia di semplice vita quotidiana in famiglia e a scuola (importantissima per Fiamma è la “rivoluzionaria” professoressa Rita) che di eventi drammatici, in un racconto privo di retorica, spesso umoristico, sorretto da uno stile colloquiale e brillante. La Storia, che quando percuote percuote forte soprattutto i bambini, è qui presente attraverso momenti di personale autobiografia e squarci profondi su eventi italiani degli anni della seconda guerra mondiale.

Questa edizione del libro, illustrata da Grazia Nidasio e corredata da alcune fotografie di famiglia dell'autrice, uscì nel 2016 con la prefazione di Bianca Pitzorno.  

Donatella Ziliotto ci ha lasciati pochi giorni fa. Il post è un modo per ricordarla con ammirazione e affetto. 

La recensione si legge per intero su Mangialibri al link: Un chilo di piume un chilo di piombo | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

Donatella Ziliotto, Un chilo di piume un chilo di piombo, Lapis 2016


venerdì 17 ottobre 2025

Le parole a comprendere, di Domenico Defelice. Recensione di Maria Lenti

Domenico Defelice, nato nel 1936, ha percorso il secondo Novecento e sta percorrendo questi primi decenni del Duemila affidando la sua voce alla poesia, alla saggistica letteraria, alla riflessione umanistica e storica, come ad una finestra da cui non solo guardare il mondo (e la sua individualità in esso) ma da cui dire, di questo mondo e di questa vita, le mancanze, le perdite, le storture, soprattutto il risvolto di cambiamenti, accaduti ma quasi mai secondo lui in positivo e, in ogni caso, non sospinti da chi dovrebbe, da chi ha la responsabilità della res publica.

E tutto tramite le parole, appunto le parole per comprendere la realtà e che comprendano il sogno di giorni diversi. (Ne dà conto Sandro Gros-Pietro nella articolata, meditata Prefazione, riprendendo e ricamminando la produzione di Domenico Defelice).

Vi è in questo suo Le parole a comprendere il desiderio, profondo come un sogno ad occhi aperti, di vedere finite ingiustizie e ammanchi dovuti all’agire dell’uomo, dell’uomo pubblico, quegli ammanchi che rendono i propri simili infelici oltre l’infelicità assegnata, quasi per una legge senza autore, dalla natura, dalle coordinate dello spazio e del tempo, dalle casualità esistenziali. O da un disegno divino.

E il poeta Domenico Defelice, si chiede però anche quale parte egli abbia nel suo tempo, se abbia ben condotto o meno questa sua parte:

«Cosa ho fatto? / Vi chiederete dopo il mio trapasso. / Niente, né per ricchezza, né per gloria. / Ho scritto centinaia di versi / - questo è vero – e qualche piccola / storia, per diletto; ho sparso pure / quintali di sarcasmo e d’ironia. / Non sono stato integralmente al mondo / per aver amato troppo la giustizia, / battaglia lunga e senza tregua, / vana, come per l’onestà. // Vi chiederete: cosa ha fatto? Nulla. / Me lo son chiesto tante volte anch’io.» (COSA HO FATTO? NULLA, p. 40).

Uomo tra gli uomini, il poeta riconosce nei suoi versi una insufficienza, una insufficienza propria dell’esistere: nascere, crescere, andare, tornare, sperare, pronunciare parole, lavorare, amare, recriminare, riflettere sull’intorno e proporre soluzioni. È il vivere, è l’avere vissuto, anche e certamente dandosi una chance, la probabilità intrinseca alla poesia, alla letteratura.

Forse, almeno a mio parere e mi riferisco alla seconda sezione del libro – Ridere (per non piangere) - , il sarcasmo dovrebbe distinguere tra i soggetti cui è diretto: perché, nella varia umanità di cui facciamo parte, non tutti meritano sarcasmo. Anche tra i politici o chi gestisce la cosa di tutti, bersaglio facile, non c’è una massa informe, ma un insieme di persone: alcune fanno il bene, altre il male, altre sono indifferenti a qualsiasi vento tiri e guardano solo la propria strada.

L’ironia, invece, degli Epigrammi e di Recensioni (terza e quarta parte), sottile, taglia per così dire le ali a qualche personaggio della scena sociale togliendolo dal piedistallo raggiunto e, grazie a questa figura retorica, mettendolo sul piedistallo del ridicolo. «Tutta la tua sostanza è una targhetta / appiccicata sopra il tuo portone; / una carta intestata; un’etichetta / che un giorno finiranno in un bidone. // A che ti giova tanta sicumera? / di te non rimarrà neppur l’alone!». Dedicata A UN BORIOSO, (p. 118): e i boriosi, nel giro vasto della presenza pubblica, sono davvero tanti. (Maria Lenti)


Domenico Defelice, Le parole a comprenderePrefazione di S. Gros-Pietro,Torino, Genesi 2019

lunedì 13 ottobre 2025

La scrittura come frammento di speranza. Poesia palestinese contemporanea

Le curatrici dell'antologia, Cinzia Chiesa e Anna Rotondo, scrivono nella presentazione che l’intento di questa scelta antologica è quello di testimoniare, ascoltare e riconoscere la forza della parola scritta in un luogo, come la Palestina, in cui tutto sembra crollare, sbriciolarsi e perdere ogni significato. Eppure la Palestina, anche nell’attuale, lacerante e tragica situazione continua ad esprimere voci che creano poesia, arte e bellezza. La poesia, così come la scrittura e le arti in generale, diviene così uno dei tanti aspetti di resistenza di un popolo immerso nella tragedia e anche un segno, forte, di vita e di speranza. Alcuni dei testi proposti sono presenti nel libro sia in italiano che in arabo, un modo per ampliarne le possibilità di lettura. Alla presentazione fa seguito un breve saggio di Yousef el-Qedra, poeta e scrittore che attualmente vive nel campo profughi di al-Mawasi, a ovest di Khan Younis. In queste pagine l’autore pone l’accento su alcuni aspetti fondamentali dello scrivere a Gaza. Qui la scrittura non è un passatempo, afferma, ma un “atto di esistenza nelle tenebre della guerra”, una “lotta contro l’annientamento”, una testimonianza contro il silenzio globale, un frammento di speranza. È anche la “ri-creazione della città” e, insieme, lo “specchio di un conflitto interiore” e, ultimo requisito ma fondamentale, la scrittura a Gaza è soprattutto “celebrazione della vita”.

Recensione e alcuni versi esemplari, quale primo invito alla lettura, su Mangialibri al link La scrittura come frammento di speranza | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

La scrittura come frammento di speranza


lunedì 6 ottobre 2025

Il biennio di sangue 1993-94, di Luca Tescaroli

"Lo scopo di questo libro è di offrire un compendio agevole per conoscere chi sono gli autori delle stragi del biennio 1993-94, commesse nelle città di Roma, Firenze e Milano, e come si è giunti alla loro individuazione e condanna con sentenze passate in giudicato, in modo che i ricordi ingialliti dal decorso dei decenni non svaniscano e possano costituire un monito per il futuro per evitare di rivivere il nostro tragico passato" così scrive Luca Tescaroli nella Premessa a questo saggio che racconta con rigore "le menti e gli esecutori materiali degli attentati di Cosa Nostra nel continente". Nel 1993, infatti, Cosa Nostra portò attentati e terrore fuori dalla Sicilia, nelle più iconiche città italiane provocando morti e distruzioni. Era, quella, una stagione confusa, tra tangentopoli e un contesto politico e sociale precario, in crisi profonda, in cui i giochi di potere sembravano succedersi senza più nessuno scrupolo.

Il 14 maggio 1993 un'autobomba esplose in via Ruggero Fauro a Roma; la vittima designata era Maurizio Costanzo, fortunatamente sopravvissuto perché il segnale col telecomando non fu avviato tempestivamente. Il 27 di quello stesso mese a Firenze, in via dei Georgofili, esplose un ordigno che uccise nel sonno Angela e Fabrizio Nencioni con le loro bambine Nadia e Caterina e lo studente Dario Capolicchio. Trentotto persone furono ferite. La Torre dei Pulci fu distrutta mentre gli Uffizi e la chiesa di dei santi Stefano e Cecilia vennero gravemente danneggiati. Un paio di mesi dopo, nella notte fra il 27 e il 28 luglio, esplosero quasi contemporaneamente tre autobombe: a Milano in via Palestro la prima, a Roma presso san Giovanni in Laterano, la seconda, e alla basilica di san Giorgio al Velabro, la terza. A Milano vi furono cinque morti, a Roma diversi feriti. "Tali attentati" nota l'autore "vennero accompagnati dall'interruzione delle comunicazioni a Palazzo Chigi e indussero il premier Carlo Azeglio Ciampi a dire di aver temuto un colpo di Stato".

A un certo punto, dopo il fallito attentato allo Stadio Olimpico del 1994, la campagna stragista cessò. Non si conoscono i motivi di questo fatto, ma si può osservare un dato di contemporaneità che pone un interrogativo: quell'anno nacque Forza Italia. Vi sono forse coincidenze tra la nascita di questo movimento politico e la cessazione degli attentati? La domanda nasce anche in relazione all'importante ruolo svolto da Marcello Dell'Utr (poi condannato per concorso in associazione di tipo mafioso) nella nascista del partito. Molti campi di indagine sulla "guerra" mossa allo Stato - e in particolare al governo Ciampi - restano dunque aperti.

Luca Tescaroli è un magistrato che ha lavorato nelle procure di Caltanissetta, Roma e Firenze. Attualmente è procuratore della Repubblica di Prato. Si è occupato di numerosi casi che hanno colpito l'Italia: l'attentato all'Addaura, la strage di Capaci, l'omicidio di Roberto Calvi e altre, fino alle stragi terroristico–eversive descritte in questo saggio. Tra i diversi suoi libri ve ne sono tre che si occupano dell'attentato a Giovanni Falcone.

L. Tescaroli, Il biennio di sangue, SEIF 2025


mercoledì 1 ottobre 2025

Una settimana di luglio, di Gianluca Battistel


Elmin insegna da dodici anni alla scuola primaria di Osmaĉe, un piccolo paese che raggiunge ogni giorno attraversando a piedi il bosco. La camminata gli infonde un senso di pace, una serenità dell’animo che aveva raramente provato prima, durante i suoi primi anni di insegnamento a Sarajevo. Elmin ama il suo lavoro, i suoi scolari e quella scuola circondata dalla foresta. Purtroppo però, da qualche tempo, gli giungono anche in questo mondo bucolico, dove tutti si conoscono “come in un’unica grande famiglia”, notizie tristi e inquietanti: Slovenia e Croazia si sono dichiarate indipendenti e la guerra sconvolge i territori croati a maggioranza serba; Vukovar, elegante città sul Danubio, è stata assediata e semidistrutta. Ora, anche in Bosnia Erzegovina tensioni e conflitti serpeggiano ovunque, mentre il dialogo e la ragionevolezza si allontanano sempre più. Elmin rifiuta l’idea che la situazione possa precipitare anche qui, nel suo caro, piccolo paese. E la rifiuta con forza soprattutto per Azra, la sua figlia quindicenne che non vede l’ora di andarsene da quello sperduto villaggio e di raggiungere Sarajevo o “meglio ancora Trieste, dove vivevano dei lontani parenti che mandavano avanti un ristorante”.

Gianluca Battistel, laureato in Filosofia all’Università Statale di Milano e dottore di ricerca presso la Leopold-Franzens-Universität di Innsbruck, con questo libro riporta alla memoria con sobrietà e rigore, con empatia e partecipazione umana, l’assedio di Srebrenica, durato tre anni per poi sfociare, in quella settimana di luglio del 1995 che dà il titolo al romanzo, in un massacro di massa, contro cui i Caschi Blu dell’ONU presenti sul territorio non intervennero minimamente. Nel 2007 la Corte Internazionale di Giustizia riconobbe che quello di Srebrenica era stato un genocidio. E molti speravano che sarebbe stato l’ultimo.

La recensione integrale è su Mangialibri, al link: Una settimana di luglio | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

G. Battistel, Una settimana di luglio, Alphabeta Verlag 2025

martedì 23 settembre 2025

Paolo sono, di Alex Cortazzoli

Palermo, 23 giugno 1949. Paolo ha nove anni e festeggia con gioia la sua promozione inaugurando il taccuino che ha ricevuto in dono e che si propone di portare sempre con sé per annotare e ricordare le cose importanti che gli succedono. E così farà, anno dopo anno. Il piccolo e coinvolgente taccuino immaginario accompagnerà il racconto della vita di Paolo dalle scuole elementari all’età adulta. Paolo Borsellino è uno scolaro vivace e molto loquace, che interviene in classe su ogni argomento che suscita il suo interesse. Gli piace affermare la sua opinione e talvolta, per l’entusiasmo, non riesce a trattenersi. Il maestro Ansaldo apprezza il suo interesse, ma vorrebbe vederlo meno irruente e chiacchierone. Quando incontra papà Diego, farmacista nel popoloso quartiere della Kalsa a Palermo, l’insegnante osserva sempre: “Paolo potrà fare qualsiasi lavoro, perché è un bambino in gamba. Ha solo un piccolo difetto: parla troppo e interrompe gli altri”. Gli appunti di Paolo proseguono e leggiamo del passaggio alla scuola media, delle sue monellerie e dei furtarelli che hanno come bersaglio proprio la farmacia del babbo, dell’incontro all’oratorio con Giovanni (Falcone), poco più grande di lui e bravo giocatore di calcio e di ping pong, della sua passione per la bicicletta.

La recensione si legge per intero su Mangialibri, al link Paolo sono | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

A. Cortazzoli, Paolo sono, Giunti 2025

domenica 21 settembre 2025

Vecchi, di Giulio Martinoli

"Meglio solitaria, meglio selvatica, piuttosto che addolorata ed emotivamente coinvolta. Meglio sola, ma serena. Il dolore degli altri non fa più per me, dal momento che poi diventa anche mio. Del resto non mi ritengo propriamente una persona asociale. Partecipo, seppure con un certo distacco, senza un vero e proprio coinvolgimento da parte mia, alla vita di questa comunità di anziani, di vecchi tutti quanti con una breve aspettativa di vita dinanzi a sé. Chiacchiero, scherzo, mi sforzo di ridere o di indignarmi, persino".

Parla così Adelaide, protagonista del nuovo romanzo di Giulio Martinoli. Adelaide è un'infermiera in pensione che sceglie, pur essendo perfettamente autosufficiente, di trascorrere ciò che le resta da vivere in una residenza per anziani. Ma anche in un luogo protetto non si sfugge alla vita, ai suoi tranelli, alla rabbia e al sorriso, alle rare gioie e agli ineluttabili dolori. Il primo di questi ultimi è il rapido decadere del corpo e della mente della compagna di stanza di Adelaide, tanto da obbligarla a chiede una camera singola, pur piccola, ma tutta sua, isolata, quasi immune da ogni evento conturbante e difficile. Così Adelaide è libera di riflettere sulla sua vita, di radunare i ricordi e di raccontarli a noi lettori con sincerità, efficacia e perfino serenità. Il romanzo è narrato in prima persona dalla donna, che condivide con i lettori la sua vita e i suoi pensieri, ma non solo: l'espediente ci rivela anche tutta l'abilità di Martinoli nell'immedesimarsi profondamente in un vissuto tutto femminile.

Giulio Martinoli è nato a Jersey nel 1942 e risiede a Omegna, sul lago d’Orta. Per oltre trent’anni ha insegnato inglese nelle scuole medie superiori ed ha tenuto corsi Uni3 di letteratura, storia dell’arte, lingua inglese, scrittura creativa. È stato inoltre direttore della biblioteca civica della sua città.

Critico d’arte, ha organizzato e promosso numerosissime mostre e scritto saggi e libri dedicati ad artisti del suo territorio, il Verbano-Cusio-Ossola. Si è dedicato egli stesso, con successo, alla pittura.

G. Martinoli, Vecchi, Dialoghi 2025

mercoledì 17 settembre 2025

Il giardino del padre. Versi in atto, di Francesco Mangone


Si aprono con una citazione di Franco Fortini ripresa da György Lukács questi "Versi in atto": "Ricondurre agli inizi [e] sviluppare nella loro estensione e pienezza il componimento d'una vita ... ovunque si discorra di veri problemi della forma è in questione una verità della vita". In atto, le poesie di questa raccolta, a indicare azioni e situazioni non ancora concluse, in divenire, da realizzare: azioni e fatti della nostra recente storia entrati nelle cronache, nelle vite e nei corpi di chi le ha vissute sia da protagonista che come spettatore. Si tratta qui di azioni e fatti in versi, di poesia come esercizio di stile, ma non solo. Essenzialità e profondità di immagini e di concetti, ricerca di verità dell'io e del mondo, tensione tra rassegnazione e utopia, tra vuoto ideale e ricerca della dignità, tra mercificazione e pienezza umana sono presenti nel libro. La poesia di Francesco Mangone esprime la ricerca di ideali che siano esemplari, connette ricordi e prospettive sdipanando un filo sottile, ma robusto, capace di tessere legami profondi fra passato e futuro, tra potenza e atto.

La raccolta comprende cinque sezioni: Un sonno rotto ai sogni; Gli anni; Il giardino del padre; Memorie; Nella latenza di Urano. Quest'ultimo, scrive il poeta nella "Nota" finale, "è das kapital, costretti nei suoi cicli ci ripetiamo tragicamente". E il concetto è perfettamente illustrato dalla poesia che conclude la sezione dedicata al "dio arcaico": "Urano il dio dell'accrescimento/ senza limiti/ mastica e incorpora/ i sussunti. Noialtri inadeguati restiamo/ nel sistema di consumo e produzione a far morte/ della vita e della vita morte.// Dai filari dei versi notturni attendo/ che insorga un lampo. Nuove corrispondenze/ voci. Quel metrico respiro il corpo mio/ scavato illumina/ e s'erge dentro lento e prezioso a far di noi/ l'inespresso atteso."

Il cuore della collezione, avverte sempre l'autore, è la sezione Il giardino del padre: "cronotopo da cui guardo e dà il titolo alla raccolta, a guidarmi questa volta è l'etica di Epicuro": felicità raggiunta attraverso la saggezza di un piacere capace di dare la quiete dell'animo e di preservare il benessere del corpo. Esemplare e suggestivo è qui leggere: "Nel crepuscolo,/ prima di rientrare in casa s'attardava il padre/ nell'orto, lo raggiunse il figlio./ Cercava l'aderenza perfetta tra la forma/ e l'ombra; non altro/ che il piacere di stare al mondo."

Notevole la sezione che rievoca la formazione giovanile del poeta, "Gli anni", e che ci consente di ripercorrere i tempi cruciali, dal '68 fino a tutti gli anni '70, la strategia della tensione, quella vile violenza che, come sempre, si scatenò sugli innocenti e sui cercatori di giustizia. E come non rabbrividire di nuovo leggendo: "Il volo dell'anarchico con noi si schiantò/ sul selciato. Il volto/ d'uno di noi su tutti i muri dello Stivale/ il giorno dopo/ a fare dell'inganno dello Stato il segno servile/ del comando. Dipoi fu il tritolo per le strade: le stazioni,/ le banche, i treni/ il tintinnar di sciabole di golpe annunciati/ da far tremare i polsi./ Il governo delle stragi governava tra le ombre."

Il giardino del padre propone ai lettori un esempio alto di poesia civile, quella poesia che trascende sentimenti ed esperienze personali per divenire coscienza ed espressione collettiva, testimonianza consapevole di storia e di vissuto. Non si può dunque non condividere quanto, a proposito di questo libro, scrive Velio Abati: "la costruzione del senso si conduce su una memorazione alla luce della meditazione morale e intellettuale che la riconnette al presente in vista di un futuro da cui trarre ragione e possibilità. È in questa insistenza fertile sulla comprensione del passato resa possibile dal futuro sperato che l’opera di Mangone ci addita, nell’oscuramento del suo e nostro passato, la falsità del futuro di cui oggi il capitale si fa paladino" (Il Manifesto, 3/7/2025).

F. S. Mangone, Il giardino del padre, Il Pungitopo Editrice 2025