venerdì 23 febbraio 2024

Il presepe di san Francesco, di Chiara Frugoni

Nel presepe di Greccio del Natale 1223, la cui storia è ricostruita in questo libro da Chiara Frugoni, Francesco non pone né Maria, né Giuseppe, né il Bambino, ma soltanto l’asino, il bue e la greppia con il fieno, elementi della narrazione della Natività presenti solo nei vangeli apocrifi. Una rievocazione, dunque, che va all’essenziale: povertà, amore, pace, in contrasto con le scelte di belligeranza della Chiesa che, da quasi trent’anni, bandisce crociate contro i musulmani, ma anche contro i Catari e gli Albigesi. Francesco, che non ha mai predicato le crociate, con il suo comportamento intende invece ribadire la propria integrale adesione al messaggio di amore di Gesù. Chiara Frugoni nota come egli non utilizzi mai termini legati alla vita militare, nemmeno nel senso metaforico di lotta contro il male, e come, durante i suoi viaggi in Egitto e Siria, si adoperi, pur senza successo, per convincere i crociati a non combattere. Inoltre, dopo aver chiarito che lui e i suoi frati sono dei cristiani e non dei crociati, si intrattiene in fraterni colloqui col sultano. Il presepe di Greccio si inserisce dunque tra i messaggi di pace, di semplicità, di essenzialità a cui Francesco ispira il suo pensiero, le sue azioni, tutta la sua vita.

La recensione per intero si legge su Mangialibri al link Il presepe di San Francesco | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

Chiara Frugoni, Il presepe di san Francesco, Il Mulino 2023

giovedì 22 febbraio 2024

Frunza semiluna/ Foglia a mezzaluna, di Eleonora Bellini

Frunza semiluna/ Foglia a mezzaluna, raccolta di quindici poesie accomunate dal tema dell'infanzia, è uscita a gennaio in versione bilingue rumeno - italiano. Traduzione in lingua rumena di Alexandru Macadan, immagine di copertina di Daniel Divrician. București Editura Cosmopoli 2024.

Scrive Antonio Spagnuolo: "Elegante agile edizione con testo a fronte in lingua rumena, nella impeccabile traduzione di Alexandru Macadan. Dal dovizioso scrigno dei versi Eleonora Bellini porta alla luce quelle cesellature che fanno della suggestione un elemento tangibile, per l’impeto che si annida misteriosamente nel nostro subconscio. Semplicissimo scorrere della parola per rintracciare pensieri o ricordi, sospensioni o illusioni, “ricercando minuscole bellezze nascoste”, “contando gli alberi lungo i viali”, indugiando tra i rami di corallo della fiaba, aspettando che “dall’eucaliptus scenda una foglia a mezzaluna”. Che cosa lasceremo oltre lo sciabordio del giorno che ci attanaglia nel quotidiano ?" (Poetrydream: SEGNALAZIONE VOLUMI = ELEONORA BELLINI (antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com)

"Plaquette che rivela ancora una volta la leggerezza leopardiana dei versi" (Eugenio Borgna).

giovedì 15 febbraio 2024

Pier Paolo Pasolini und sein Friaul: Von der Quelle seiner Dictung, di Michael Aichmayr

Michael Aichmayr prosegue i suoi itinerari letterari italiani - e in particolare friulani - con questo Pier Paolo Pasolini und sein Friaul: Von der Quelle seiner Dichtung. Eine poetische Begegnung zwischen Pier Paolo Pasolini und Ippolito Nievo (Pier Paolo Pasolini e il suo Friuli: dalla fonte della sua poesia. Un incontro poetico tra Pier Paolo Pasolini e Ippolito Nievo).

C'è un luogo, infatti, al quale entrambi gli scrittori hanno dedicato pagine liriche ed idilliache: la fontana di Venchiaredo, oasi di acque limpide, sosta di frescura e refrigerio capace di curare corpo ed anima. Scrive Nievo: “Tra Cordovado e Venchiaredo, a un miglio dei due paesi, v’è una grande e limpida fontana che ha anche voce di contenere nella sua acqua molte qualità refrigeranti e salutari. […] Sentieruoli nascosti e serpeggianti, sussurrio di rigagnoli, chine dolci e muscose, nulla le manca tutto all’intorno. E’ proprio lo specchio d’una maga, quell’acqua tersa cilestrina che zampillando insensibilmente da un fondo di minuta ghiaiuolina s’è alzata a raddoppiar nel suo grembo l’immagine d’una scena così pittoresca e pastorale. Son luoghi che fanno pensare agli abitatori dell’Eden prima del peccato; ed anche ci fanno pensare senza ribrazzo al peccato ora che non siamo più abitatori dell'Eden”.

Pier Paolo Pasolini, scrittore profondamente sensibile - nota Aichmayr - "alla visione e alla scoperta della cultura dell'antico Friuli rurale e cristiano a cui era legato", quasi un secolo dopo, nell'agosto 1945, scrisse una poesia dedicata alla stessa fonte:

"Limpida fontana di Vinchiaredo,/ acque modeste, tenerissimi legni,/ oggi a vent'anni io vi vedo, vi ascolto,/ nel vecchio fermento indifferente./ Ai miei piedi, dal prato basso, l'acqua/ rampolla, e lenta vola; e, ininterrotta,/ ricompone il suo canto più lontano./ Per me quell'onda canta: ma precluso/ alla sua interna gioia e al fresco riso,/ mi tormento a guardarla, ed ecco, scopro/ celesti giovinette, antichi giuochi,/ e corse, e voci ... Ah certo non è questo/ che si cela, vicino, in spazii ignoti/ e ricanta impassibile in quell'acqua."

La bellezza e la suggestione di questo luogo, con la tipica vegetazione e le risorgive che lo rallegrano, con le tracce di storia e di leggenda che ancora lo animano, rimangono dunque sempre vive grazie ai due illustri scrittori, ora presenti fianco a fianco anche in un tabellone ricordo del “Parco Letterario Ippolito Nievo”.


Michael Aichmayr, Pier Paolo Pasolini und sein Friaul: Von der Quelle seiner Dictung, Aichmayr Verlag 2023, con documentazione fotografica dell'autore

lunedì 12 febbraio 2024

Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio), di Vittorino Andreoli

Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio) è firmato da Vittorino Andreoli, psichiatra e saggista di raro acume e di immediata capacità comunicativa. Nel saggio i vecchi e la vecchiaia sono definiti sempre come tali, con estrema franchezza e senza eufemismi né perifrasi, perché le parole sono importanti nel definire la realtà e perché la vecchiaia non è una condizione triste e penosa, ma un periodo che può essere sereno e ricco di opportunità. 

Il testo si snoda in forma di lettera, con semplicità e chiarezza, e soprattutto, dato che anche l’autore ha ormai raggiunto la vecchiaia, con l’intento di parlare da pari a pari con chi condivide la sua stessa condizione.

La recensione integrale si può leggere su Mangialibri al seguente link: Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio) | Mangialibri dal 2005 mai una dieta


domenica 11 febbraio 2024

Memorie d'infanzia, di Sofja Kovalevskaja

"Di sera, dopo che era stato messo a letto Fedja e Anjuta era corsa nel salotto dei grandi, avevo preso l'abitudine di sedermi sul sofà accanto alla tata, e me ne stavo tutta accoccolata mentre mi raccontava delle favole. Il grado di influenza che queste ebbero sulla mia immaginazione lo giudico dal fatto che quando sono sveglia riesco a ricordare solo parte di esse, ma quando dormo può capitare anche oggi che me le sogni: o la morte nera o il lupo mannaro o il drago dalle dodici teste. E questi sogni mi assalgono con lo stesso inspiegabile terrore mozzafiato ora come allora, quando avevo cinque anni, all'ascolto delle fiabe della mia tata".

Nelle Memorie d'infanzia, datate San Pietroburgo 29 maggio 1890, Sofja Kovalevskaja (1850-1891) racconta gli anni della sua infanzia, della sua adolescenza e prima giovinezza ed esprime più volte la dolorosa sensazione di essere trascurata e ignorata rispetto alla brillante sorella maggiore e al piccolo fratello minore, di non essere amata: "In generale, la convinzione di non essere amata nella mia famiglia è come un filo nero che si avvolge attorno a tutti i miei ricordi".

Durante le lunghe ore trascorse con l'istitutrice, Sofja leggeva molto e scrive poesie. Curiosa di tutto quanto succede nella sua famiglia, appartenente alla piccola nobiltà russa e nella grande casa di campagna di Palibino, nella provincia di Vitebsk in Bielorussia. Lì, dove l'inverno è lungo e la natura è solenne, si odono gli ululati dei lupi nelle gelide notti e si ascoltano mormorare le acque del disgelo; si possono fare, in numerosa e lieta compagnia, escursioni nella foresta dove gli orsi mantengono "rapporti di pacifica convivenza con i contadini del luogo".

Gli anni dell'infanzia sono molti importanti e ogni divagazione, immaginazione, disobbedienza, anche, può essere foriera, nel tempo, di grandi cose.

È quanto accade a Sofja, che ascolta lo zio e rimane incurosita, se non affascinata, da quanto sente, così come lo era stata dalle fiabe della tata: "Fu proprio da lui, per esempio, che sentii per la prima volta parlare della quadratura del cerchio e dell’asintoto a cui una curva si avvicina costantemente senza mai raggiungerlo, e di molti altri problemi di natura simile. Naturalmente non riuscivo ad afferrare il significato di questi concetti, ma essi agirono sulla mia immaginazione, instillando in me un sentimento reverenziale per la matematica, una scienza misteriosa ed eccelsa che spalanca ai suoi adepti un mondo nuovo di meraviglie inaccessibili ai comuni mortali".

E altrettanto fascino ha una carta da parati applicata nella camera dei bambini. Si tratta di una carta di risulta, di fogli di dispense delle conferenze sul calcolo differenziale del professor Ostrogradskj, matematico e fisico, così riutilizzati. Scrive Sofja: "Mi ricordo di me bambina, mentre rimanevo ferma per ore e ore davanti a quel muro misterioso per afferrare almeno qualche passaggio isolato o trovare la sequenza del numero delle pagine". Questa carta da parati di seconda scelta le aprirà un mondo, quello della matematica, che la farà definire dai suoi contemporanei regina della scienza e che la condurrà a studiare e a insegnare a San Pietroburgo, Gottinga, Berlino, Stoccolma dove viene nominata libera docente, prima, e poi docente di ruolo; Parigi dove riceve il Premio Bordin "per aver apportato importanti contributi alla teoria del movimento di un corpo rigido".

Molto altro troviamo in queste memorie, che ci offrono un quadro autobiografico suggestivo e anche uno spaccato della società culturale e sociale dell'epoca, nonché il ritratto di un Dostoevskij molto privato, ombroso e riservato, ma anche disponibile a grande e profonda amicizia e perfino al sogno d'amore.


Sofja Kovalevskaja, Memorie d'infanzia, Pendragon 2022. Traduzione (dall'inglese) di Cristina Buronzi Orsi, Introduzione di Laura Guidotti e postfazione di Umberto Bottazzini 

sabato 10 febbraio 2024

La figlia che non piange, di Francesco Scarabicchi

La figlia che non piange è una raccolta poetica che uscì postuma, nello stesso anno (2021) della morte del poeta. Come le precedenti di Scarabicchi è un bel libro, limpido ed essenziale, ricco di sogni e anche di bilanci, di attenzione alla vita - fin nelle sue più piccole, quotidiane e apparentemente insignificanti manifestazioni - e a quel transito oltre la vita, che può essere interpretato come un ignoto nulla, ma anche come compimento della vita stessa.

Nei versi di Epilogo, ad esempio, l'esistenza si apre ad altre vie, ignote, e genera domande: "Dalla porta del tempo passa il mondo,/ dai suoi sentieri ignoti, dalle strette/ vie degli istanti che non torneranno./ Dov'è che vanno, allora? A chi votati?/ E quanto d'ogni umano si cancella?"

E ancora in Qui regna il tempo che scompare: "Qui regna il tempo che scompare,/
la fuga sua invisibile,/ il nome che non resta,/ giorno della stagione, breve resa,/
limite d’ogni soglia inesistente".

Il garbo, la misura, l'attenzione estrema alla parola, la musicale sobrietà del verso sostengono e contraddistinguono la scrittura di Scarabicchi anche in questa sua ultima e consapevolmente definitiva raccolta, che si apre con la citazione di alcuni versi di Vittorio Sereni da Stella variabile, da uno dei quali è tratto il titolo: "È cresciuta in silenzio come l'erba/ come la luce avanti il mezzodì/ la figlia che non piange". Titolo che introduce inequivocabilmente il contenuto della raccolta: forza della natura silente, sentimenti e affetti umani, inesorabile frattura tra i tempi del mondo e della natura e il precario tempo della vita umana. Ancora alle labili tracce che lasciano le esistenze umane nel mondo si riferisce la seconda citazione in esergo, di Camillo Sbarbaro: "Le generazioni passan come/ onde di fiume".

E in Scarabicchi: "[...] Dei fasti della corte resta il niente,/ di quell'impero vegetale è il sonno/ che tocca la ringhiera arrugginita,/ gli scalini, la piccola fontana. /Ogni beltà è sparita come nube/ a cui è negato il più lontano cielo" (L'aiuola).

Scriveva, tra l'altro, Fabio Pusterla su Doppiozero del 26 aprile 2021, pochi giorni dopo la scomparsa del poeta: " [...] ardeva in Francesco il fuoco segreto della poesia, che lo spingeva regolarmente a scendere in miniera (così si esprimeva in una lettera; e un’espressione simile avrei poi incontrato in un passo di Giorgio Caproni), a scavare negli strati di profondità dell’esperienza, alla ricerca di minerali dolorosi e preziosi. La difficile miniera dell’interiorità, della meditazione sull’essere: questo era il territorio in cui il poeta voleva e doveva immergersi, lungo una tradizione novecentesca che passava dal maestro in presenza, Scataglini, a quello più distante e presto scomparso, Caproni, all’archetipo di questa concezione della poesia, Umberto Saba; più indietro, il grande paesaggio di Leopardi". Mi pare questa una sintesi perfetta ed esemplare della poesia di Scarabicchi, del suo alto profilo.

In margine, mi piace ricordare che Francesco Scarabicchi con Il prato bianco vinse il Premio di Poesia e traduzione poetica "Achille Marazza" nel 2017. Finalista con Gilda Policastro e Paolo Lanaro per la sezione poesia (il premio per la traduzione poetica andò quell'anno a Giorgia Sensi Graziani), fu poi votato con entusiasmo dalla giuria dei lettori. La motivazione della giuria tecnica notò allora, tra le altre cose: "Francesco Scarabicchi consegna al suo Il prato bianco un momento cruciale e altissimo della sua parabola poetica, che ne fa uno degli autori maggiori degli ultimi decenni e una voce assolutamente autonoma e particolare. In questo libro l’autore chiude il cerchio iniziato molti anni prima con La porta murata, e come doppiando un capo apre la via a ciò che seguirà".

Francesco Scarabicchi, La figlia che non piange, Giulio Einaudi Editore 2021. 
Con una nota bio-bibliografica di Massimo Raffaeli


Scarabicchi al Premio Marazza con altri premiati e pubblico. 
Fondazione Achille Marazza Borgomanero (NO) 27 maggio 2017

mercoledì 7 febbraio 2024

La musica di Dale, di Benjamin Lefevre

Dale ha sedici anni, quasi diciassette, e ha appena sostenuto al Royal Conservatory of Music l’esame pratico di pianoforte per il quale si è esercitato durante molti mesi su sei brani difficilissimi. Il ragazzo è soddisfatto: l’esecuzione è stata ottima, l’esame è andato bene. Mentre ritorna a casa in auto con la mamma, che non esprime nessun interesse per l’esito della prova, Dale le chiede di fermarsi a Guelph, la cittadina in cui abitavano un tempo, per poter andare al cimitero sulla tomba del papà, morto sette anni prima a causa un incidente stradale. La mamma si ferma di malavoglia: ormai si è risposata, ha cambiato casa e città e si è rimessa, se pur a fatica, da quel periodo doloroso e difficile. Al rientro a casa, Dale non riesce ad addormentarsi e alle tre di notte è ancora sveglio. Allora ricorda un libro letto tempo prima e la sua protagonista che, desiderando “buttar fuori tutto”, scriveva un diario. Decide di fare come lei. Però non è un diario quello che il ragazzo comincia a scrivere, ma un epistolario, una serie di lettere indirizzate al papà perduto. Non importa se questi non potrà né leggerle, né rispondergli: per Dale “va bene lo stesso, perché in questo momento ho bisogno di parlare con qualcuno che non mi risponda”.

La recensione integrale si legge su Mangialibri, al link La musica di Dale | Mangialibri dal 2005 mai una dieta 

Benjamin Lefevre, La musica di Dale, Gallucci 2023. Traduzione di Silvia Mercurio