La strada per Be’er Sheva è stato il primo romanzo a narrare la nakba, l’esodo forzato del 1948, dal punto di vista dei Palestinesi. Scritto da Ethel Mannin (1900-1984), autrice inglese che si distinse per il proprio impegno politico e sociale e per aver saputo spaziare tra diversi generi letterari, il romanzo fu pubblicato nel Regno Unito nel 1963 e vede ora la luce per la prima volta in traduzione italiana. Nella sua illuminante postfazione Tiffany Vecchietti nota che “La Palestina e il suo destino sono stati per Ethel Mannin uno spartiacque. Letterario, politico, personale”, tanto che, per il fatto di essersi nettamente schierata con il popolo palestinese, la scrittrice ruppe addirittura con il partito laburista in cui militava. L’urgenza di questo romanzo nacque in lei anche in contrapposizione a Exodus (1958) di Leon Uris, dedicato alla nascita dello stato di Israele e bestseller dei tempi suoi, dopo la lettura del quale Ethel si rese conto che nessuno in Occidente aveva mai narrato la diaspora palestinese. La strada per Be’er Sheva attraverso le vicende della famiglia Mansour e, in particolare, attraverso la crescita e l’evoluzione umana e intellettuale del figlio Anton da ragazzino sradicato a giovane uomo sempre più consapevole delle proprie origini, racconta le vicende di tutto un popolo, espulso, torturato, dimenticato, perfino colpevolizzato ma soprattutto costantemente privato della propria patria, oltre che dei propri beni, e depredato perfino della speranza del ritorno. Perché ogni luogo in cui tornare è distrutto o da altri invaso e posseduto. Per questo, pur narrando fatti di settantasette anni fa, il romanzo ci conduce con forza dentro quell’attualità che affolla i nostri schermi e nei confronti della quale ci sentiamo indignati e impotenti. Perché, scrive Manning nell’introduzione: “Altri Paesi sono stati divisi, ma hanno continuato a esistere come Stati, con il loro nome sulla carta geografica e abitati dal proprio popolo; la Palestina ha cessato di esistere, sia come nome che come Paese, e i Palestinesi come nazione”.
In questo momento tragico, che ci pone tutti vicini alla torturata Palestina e ai suoi abitanti, e che, insieme, ci fa sentire, qualsiasi cosa facciamo o diciamo, impotenti a fermare il genocidio, il romanzo di Ethel Mannin è davvero un libro da leggere perché, con la sobrietà e la limpidezza della sua narrazione, non ci racconta solo le radici di un dramma, ma ci permette, attraverso di esse, di far luce anche sull'oggi.
La recensione integrale è su Mangialibri al link: La strada per Be’er Sheva | Mangialibri dal 2005 mai una dieta
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| E. Mannin, La strada per Be'er Sheva, Agenzia Alcatraz 2025, trad. S. Renzetti |

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