“Era l’estate del 1982 quando don Raimondo Viale, il prete ribelle di Borgo San Dalmazzo, manifestò all’amico Mario Cestella il desiderio d’incontrarmi il più presto possibile. Quale il motivo di tanta urgenza? Aveva appreso che intendevo dedicarmi a una indagine sul clero della campagna povera, e voleva inserirsi nel discorso, ma subito, come se temesse di perdere l’ultima occasione di consegnarmi la sua storia di vita” scrive Nuto Revelli in appendice alla narrazione autobiografica di Don Raimondo Viale (1907-1984), dagli anni dell'infanzia che conosce fame e povertà soprattutto quando il papà, contadino manovale e spaccapietre, parte per la guerra, al seminario, all'esercizio della missione sacerdotale. Di carattere limpido e sincero, Raimondo, fin da ragazzo, in seminario, accetta di buon grado la disciplina, ma non sopporta i soprusi e le ingiustizie.
Dopo l'avvento del fascismo, quando, giovane sacerdote, viene inviato nella parrocchia di Borgo San Dalmazzo a occuparsi di pastorale giovanile comprende subito la natura violenta e totalitaria del fascismo che negli anni precedenti, da giovane chierico, aveva immaginato potesse favorire la fede cattolica. Invece: "... il circolo giovanile trionfava, avevamo la biblioteca, la cultura era importante, la formazione dell'uomo era trascurata e io ne sentivo un estremo bisogno. Ero già un po' sulle corna dei fascisti che strappavano i distintivi dell'Azione Cattolica ai miei giovani. Poi la violenza è cresciuta e i fascisti sono venuti nella casa canonica, nella sede del Circolo Domenico Savio, si sono impadroniti della nostra documentazione, degli elenchi e anche delle nostre bandiere. Questa violenza mi ha reso furioso, disprezzavo 'sta gentaglia".
Don Viale non è uno che tace per opportunismo o per paura e continua nel suo lavoro, dalle prediche contro la guerra, che gli costano quattro anni di confino ad Agnone, il paese delle campane, fino al sostegno ai partigiani e all'accoglienza degli ebrei in fuga dalla Francia dopo l'8 settembre, in questo incoraggiato e finanziato dal cardinale di Torino, Maurilio Fossati. Grazie a don Viale moltissimi ebrei riescono a fuggire in Svizzera o nel centro Italia. Per questa sua azione salvatrice riceverà nel 1980 il titolo di "Giusto di Israele".
Eppure la vita riserverà in seguito a don Raimondo più amarezze che onori, fino alla sospensione a divinis che ingiustamente lo colpirà. Tuttavia egli non abbandona la sua gente: qualche volta celebra la messa clandestinamente in una piccola cappella nascosta tra il verde della valle e ogni anno il 2 maggio non manca mai di celebrare una messa per i tredici partigiani fucilati dai nazisti. Messa senza predica lungo il muro di cinta del cimitero di Borgo San Dalmazzo. L'auspicio di Nuto Revelli in chiusura dell'edizione del 1998 del libro è che "Un giorno o l'altro l'immagine di don Viale assumerà tutta l'importanza che merita. Spetta agli storici il compito di far riemergere dal passato la figura e il ruolo svolto da questo povero prete irrequieto, mai succube del potere, sempre pronto a rischiare e a pagare di persona".
Una nuova edizione del libro è uscita nel 2021 con prefazione di Gianfranco Ravasi, sempre per Einaudi Editore.
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