lunedì 27 maggio 2024

Scaffale locale 12: Legami tra la famiglia Bonola - Marazza e Alessandro Manzoni, di Carlo Carena

Il 15 marzo 1986 si tenne alla Fondazione Achille Marazza di Borgomanero un Incontro manzoniano, tavola rotonda con Carlo Carena, Umberto Colombo, Maurizio Corgnati. Contemporaneamente vennero esposte al pubblico due mostre: la prima comprendente preziosi disegni e terrecotte di Gustavino (Gustavo Rosso, Torino 1881 – Milano 1950) dedicati a I promessi sposi; la seconda, intitolata La sentenza data, dedicata agli esemplari librari del prezioso fondo manzoniano della biblioteca, ad alcune curiosità testimoni della popolarità del romanzo non solo tra scuole e studiosi, ma anche e soprattutto tra la gente (fotoromanzo, cartoline, edizioni commemorative, traduzioni inglesi e francesi contemporanee a quella italiana) nonché a La colonna infame e ai testi antichi sulla peste nel milanese (1630-1631). Qualche tempo dopo i testi della tavola rotonda furono raccolti in un quaderno (stampato a Borgomanero nel luglio 1993, a cura di Eleonora Bellini) che contiene anche diverse immagini della mostra e i testi introduttivi alle sezioni della stessa. La mostra manzoniana fu destinata poi a circolare tra scuole e biblioteche del Sistema del Medio Novarese e, dedicata come fu a un tema che "non scade mai" è sempre disponibile per la circolazione.

Nell'intervento di apertura dell'Incontro Carlo Carena così delinea i legami manzoniani (e rosminiani) tra la famiglia Bonola-Marazza e il Gran Lombardo:

"Riprenderei per cominciare, visto che devo fare gli onori di casa, qualche spunto dalle tradizioni di questa casa verso Manzoni, che sono state così calde e così vive, e che hanno favorito, attraverso il fondo della biblioteca di questa istituzione, la quale sta cambiando veramente il volto mercantile e agricolo di Borgomanero in qualcosa di più sostanzioso e di più alto, quella mostra manzoniana che vedete esposta e che ha riscosso un giusto interesse di visita e anche di apprezzamento critico. Perché, penso, la Fondazione Marazza ha promosso queste iniziative? Per i legami addirittura famigliari da parte dell’istitutore e fondatore della Casa di Cultura, Achille Marazza, nella cui famiglia Manzoni aveva una presenza particolare attraverso la singolare figura estrosa, intelligente, dell’avvocato Giulio Bonola, che produsse uno dei primi e più importanti documenti biografici di Alessandro Manzoni, e cioè la raccolta del carteggio fra i due grandi amici Alessandro Manzoni e Antonio Rosmini. Questo carteggio risale al 1901 ed è quindi uno dei primissimi documenti epistolografici su Alessandro Manzoni, tanto che ancora oggi io trovo esemplare il modo com’è stato confezionato. Naturalmente bisogna riportarsi a un’opera pionieristica, perché siamo alla pubblicazione dei primissimi documenti, a venticinque, ventisei anni dalla morte del titolare; però, per la precisione, la ricchezza delle annotazioni, per il gusto con cui viene scritto, rimane certamente un punto di partenza importantissimo negli studi manzoniani. Lo stesso Bonola successivamente ci ha dato anche un altro documento, entrato poi nella storia degli studi manzoniani, a cui tuttora tutti attingono, e cioè quelle Venti ore con Alessandro Manzoni, che, lasciato inedito da Niccolò Tommaseo, fu pubblicato per la prima volta da Bonola nel 1928 ed è poi entrato nella collezione, nella raccolta dei vari Colloqui con Manzoni, che ebbero edizioni successive, aggregando, assieme alle Conversazioni col Tommaseo, quelle con altri personaggi che frequentarono casa Manzoni. Il primo punto di aggregazione manzoniana attorno a questa Fondazione avviene dunque attraverso questi personaggi. Ma Borgomanero entra nella vita del Manzoni anche per un altro personaggio verso il quale, una volta che lo conobbe, Manzoni sempre protestò grande amicizia, devozione, rispetto e venerazione. Alludo a Giovanni Battista Pagani. Giovanni Battista Pagani nacque in questa città nel 1806, entrò ben presto in seminario e, quando fu ordinato sacerdote nel 1828, all’età di 22 anni, lasciò il secolo per ritirarsi in una congregazione religiosa che, proprio allora, era stata fondata al Monte Calvario di Domodossola da Antonio Rosmini. E il Pagani si fece rosminiano, fu tra i primissimi rosminiani. Spesso frequentò ulteriormente Borgomanero attraverso la Casa Rosminiana, ma soprattutto fu mandato quasi subito in Inghilterra, dove Antonio Rosmini aveva pensato di allargare il suo ordine religioso in terra missionaria. Fu nel corso di questa attività assai vorticosa, che portò il Pagani per un decennio in Inghilterra e che lo porterà a diventare il primo superiore generale della carità immediatamente dopo la morte di Antonio Rosmini nel 1855, fu in quel decennio tra il ’45 e il ’55 che spesse volte Manzoni ebbe modo di incontrare il Pagani a Stresa, nella villa Ducale sede di Antonio Rosmini, ed ebbe modo, anche, nel suo colloquio, nei suoi rapporti epistolari col Rosmini stesso, di esprimere giudizi e valutazioni molto affettuose e molto riverenti e ammirative verso questo nostro concittadino. Addirittura il Pagani diviene lo stimolatore di una poesiola del Manzoni, una poesiola in latino. Negli scarsissimi frammenti, nei pochissimi frammenti poetici che Manzoni lasciò in latino (era anche poeta in latino: sono in tutto, credo, quattro o cinque i frammenti poetici di Manzoni in latino, molto brevi, ma che dimostrano, tra l’altro, una padronanza della metrica e della prosodia non indifferente). Uno di questi frammenti, di solito scherzosi, lirico poetici, ma abbastanza scherzosi, si incontra in una lettera che Manzoni scrisse nel 1847, l’8 novembre 1847, al Rosmini, dicendo di trasmettere al Pagani i suoi saluti (i saluti del Manzoni) in Inghilterra: «me gli rammenti – dice Manzoni – con venerazione e tenerezza» questo Pagani che – dice ancora il Manzoni attraverso un distico elegiaco – «ausus qui toto commixtos orbe Britannos aggredi, et infenso figere signa solo». Cosa vuol dire questa frase? Voi l’avete già capito benissimo, vuol dire: «il quale Pagani osa affrontare i Britanni collegati col mondo intero e nel loro suolo ostile (erano tutti protestanti), piantare la croce (“signa” è il segno cristiano)». Il breve distico che potrebbe sembrare abbastanza strano, in realtà dimostra anche la grande frequentazione che il Manzoni aveva coi testi della poesia classica, e soprattutto con Virgilio, che egli considerava uno dei massimi geni poetici dell’antichità. Infatti il distico manzoniano è la ripresa, quasi parodica, di un verso delle Bucoliche di Virgilio. Virgilio dice che fra i vari luoghi difficili da visitare c’è ’Inghilterra, che è staccata, divisa, dal mondo intero. Manzoni, giocando su quel verso, dice che invece il Pagani è andato in Inghilterra «oggi collegata al mondo intero». Siamo nel periodo in cui si andava costituendo il Commonwealth e l’Inghilterra stava diventando padrona del mondo intero. Questi due versi, molto gustosi, rivelano tutto un retroterra culturale assai vivace e interessante, sono entrati nella produzione manzoniana e si trovano oggi in tutte le edizioni della poesia manzoniana, fino all’ultima, uscita negli Oscar l’anno scorso a cura di Ulivi. Questa ha una sezione finale in cui si cita, appunto, questo distico e si citano, riferendosi alla lettera manzoniana e riferendosi al notevole personaggio del Pagani (su cui Borgomanero, prima o poi, dovrebbe fermare la sua attenzione, sia per il grande contributo dato alla conversione, all’introduzione del cattolicesimo in Inghilterra, sia per l’importanza che ha assunto, diventando superiore generale dell’ordine dei Rosminiani per un decennio). Tra l’altro, andando a vedere questi piccoli documenti, è interessante il fatto che, nelle edizioni consultate dell’epistolario manzoniano, questo Pagani viene fatto nascere a Domodossola, anziché a Borgomanero, per influsso, evidentemente, dell’ordine rosminiano sorto a Domodossola. Anche l’edizione dell’Arieti, in nota, fa nascere questo Pagani a Domodossola".

Tutti gli interventi dei relatori all'Incontro manzoniano si leggono nell'opuscolo ad esso dedicato (stampato a Borgomanero nel luglio 1993, a cura di Eleonora Bellini) che contiene anche diverse immagini della mostra e i testi introduttivi alle stesse. Questo post mi offre l'occasione per ricordare tutto il personale della Fondazione che collaborò al successo dell'iniziativa manzoniana di quell'anno (e di tante altre) e, in particolare Giuliano Pigato e Marilena Zerlia, partiti verso l'altrove.




lunedì 20 maggio 2024

Il prete giusto, di Nuto Revelli

Era l’estate del 1982 quando don Raimondo Viale, il prete ribelle di Borgo San Dalmazzo, manifestò all’amico Mario Cestella il desiderio d’incontrarmi il più presto possibile. Quale il motivo di tanta urgenza? Aveva appreso che intendevo dedicarmi a una indagine sul clero della campagna povera, e voleva inserirsi nel discorso, ma subito, come se temesse di perdere l’ultima occasione di consegnarmi la sua storia di vita scrive Nuto Revelli in appendice alla narrazione autobiografica di Don Raimondo Viale (1907-1984), dagli anni dell'infanzia che conosce fame e povertà soprattutto quando il papà, contadino manovale e spaccapietre, parte per la guerra, al seminario, all'esercizio della missione sacerdotale. Di carattere limpido e sincero, Raimondo, fin da ragazzo, in seminario, accetta di buon grado la disciplina, ma non sopporta i soprusi e le ingiustizie.

Dopo l'avvento del fascismo, quando, giovane sacerdote, viene inviato nella parrocchia di Borgo San Dalmazzo a occuparsi di pastorale giovanile comprende subito la natura violenta e totalitaria del fascismo che negli anni precedenti, da giovane chierico, aveva immaginato potesse favorire la fede cattolica. Invece: "... il circolo giovanile trionfava, avevamo la biblioteca, la cultura era importante, la formazione dell'uomo era trascurata e io ne sentivo un estremo bisogno. Ero già un po' sulle corna dei fascisti che strappavano i distintivi dell'Azione Cattolica ai miei giovani. Poi la violenza è cresciuta e i fascisti sono venuti nella casa canonica, nella sede del Circolo Domenico Savio, si sono impadroniti della nostra documentazione, degli elenchi e anche delle nostre bandiere. Questa violenza mi ha reso furioso, disprezzavo 'sta gentaglia".

Don Viale non è uno che tace per opportunismo o per paura e continua nel suo lavoro, dalle prediche contro la guerra, che gli costano quattro anni di confino ad Agnone, il paese delle campane, fino al sostegno ai partigiani e all'accoglienza degli ebrei in fuga dalla Francia dopo l'8 settembre, in questo incoraggiato e finanziato dal cardinale di Torino, Maurilio Fossati. Grazie a don Viale moltissimi ebrei riescono a fuggire in Svizzera o nel centro Italia. Per questa sua azione salvatrice riceverà nel 1980 il titolo di "Giusto di Israele".

Eppure la vita riserverà in seguito a don Raimondo più amarezze che onori, fino alla sospensione a divinis che ingiustamente lo colpirà. Tuttavia egli non abbandona la sua gente: qualche volta celebra la messa clandestinamente in una piccola cappella nascosta tra il verde della valle e ogni anno il 2 maggio non manca mai di celebrare una messa per i tredici partigiani fucilati dai nazisti. Messa senza predica lungo il muro di cinta del cimitero di Borgo San Dalmazzo. L'auspicio di Nuto Revelli in chiusura dell'edizione del 1998 del libro è che "Un giorno o l'altro l'immagine di don Viale assumerà tutta l'importanza che merita. Spetta agli storici il compito di far riemergere dal passato la figura e il ruolo svolto da questo povero prete irrequieto, mai succube del potere, sempre pronto a rischiare e a pagare di persona". 

Una nuova edizione del libro è uscita nel 2021 con prefazione di Gianfranco Ravasi, sempre per Einaudi Editore.

venerdì 17 maggio 2024

Scaffale locale 11: Delia Bonola Marazza

Dietro ogni grande uomo c'è sempre una grande donna" recita una frase attribuita a Virginia Woolf1, pronunciata in omaggio alle donne che, rimanendo in ombra, contribuirono e contribuiscono, in modi intelligenti e legittimi, al successo degli uomini che condividono con loro la vita. E' luogo comune che queste donne siano le mogli o le compagne degli uomini illustri, ma mi piace estenderla, nel caso di Achille Marazza, anche a sua madre Adele Bonola.

Adele, chiamata in famiglia Delia, era figlia di Isabella Ferrario e di Gerolamo Bonola Lorella, giovane dottore in legge che partecipò con convinzione e coraggio alle Cinque Giornate di Milano del 1848. Con le sorelle Maria Caterina, Maria Anna e il fratello Giulio2 trascorse un'infanzia e una giovinezza serene e dedite, come usava allora per le fanciulle, allo studio della letteratura e della musica, al disegno, al ricamo e a tutte quelle forme della bellezza che si ritenevano fondamentali per la formazione dell'intelligenza e dell'animo femminili.

Delia sposò il 25 ottobre 1893, a ventitre anni, Ambrogio Marazza, nato a Sesto San Giovanni nel 1866. Ambrogio poteva annoverare, come lei, familiari partecipanti ai moti risorgimentali milanesi ed era stato compagno di scuola del fratello maggiore Giulio al Collegio Mellerio Rosmini di Domodossola. La cerimonia nuziale fu celebrata nella chiesetta di Loreto, ai margini del grande parco della casa Bonola3, acquistata dai suoi avi originari di Vacciago circa un secolo prima e poi abbellita e ampliata per divenire residenza estiva della famiglia, che viveva abitualmente a Milano. Il suo primo figlio, Achille, nacque appunto nella villa di Borgomanero nel luglio del 1894. E meno di tre anni dopo nacque anche Gerolamo, che portava il nome del nonno patriota.

Con i due figlioletti e il giovane marito, colto e amante dell'arte4, Delia avrebbe potuto trascorrere a lungo una vita agiata, piena e felice. Invece, solo cinque anni dopo le nozze, Ambrogio fu vittima di un grave incidente a Milano e morì dopo molte sofferenze, lasciandola sola con i piccoli figli. Le rimasero l'agiatezza e quella pienezza di impegni che senso della dignità e del dovere impongono di mantenere anche nel dolore e nella sfortuna. Felicità spensierata e appagata allegria, immagino le siano mancate, da quel momento in poi, almeno nella loro pienezza.

Delia si dedicò totalmente ai figli, il secondo dei quali, dopo la morte del babbo, chiamò in famiglia Ambrogino (Gino), facendo così rivivere, nel suo bimbo, il nome del padre.

Non conosciamo i particolari della vita quotidiana di Adele, ma possiamo essere certi che la sua vicinanza e la sua dedizione ai due figli siano state tanto intense quanto intelligenti e certamente mai lagnose o opprimenti. Achille, non ancora maggiorenne, partì volontario per la prima Guerra Mondiale e Gino, prima di ritirarsi a Pallanza con la famiglia, divenne ufficiale della Marina Italiana ed esercitò l'avvocatura a Treviso. Una madre, dunque, Delia, capace di insegnare ai figli come spiccare il volo, non una miope chioccia. Della sua capacità di coltivare legami con personalità della cultura, della politica, quella severa, rigorosa, generosa e dedita principalmente al bene comune, sono testimoni alcuni documenti presenti negli archivi della Fondazione Marazza5. Tra questi citiamo, a titolo di esempio, una corrispondenza con il poeta Giovanni Bertacchi, che le dedicò, facendole gli auguri per il Natale 1909, la sua Trilogia moderna6; un biglietto di Alcide De Gasperi che, dall'Assemblea Costituente, dopo un passaggio a Cascia, le mandò un piccolo ricordo di S. Rita ''della quale, come mi ha detto il suo carissimo Achille, Ella è tanto devota7''; i suoi ritratti, uno pittorico e l'altro fotografico, eseguiti da Attilio Melo8.

Il 19 gennaio 1960 Delia compì 90 anni. L'invito alla festa, organizzata per lei dal figlio Achille nella casa di Borgomanero fu "interpretato" in versi da Alberto Cavaliere9" che scrisse, tra le altre, queste rime:

Ebbe i natali, questa nostra santa

cara vecchietta, nella casa avita.

Un'epoca per noi, più che una vita:

basti pensar che quando, nel Settanta,

fu completata l'Unità d'Italia,

la Mamma c'era già, sia pure a balia.

[...]

e vorrebbero tutti che, per lei,

senza più nessun'ombra e senza affanni,

la vita cominciasse a novant'anni.

Delia lasciò questo mondo il 1° febbraio 1961. Giovanni Battista Montini, cardinale di Milano, poi papa Paolo VI, le dedicò queste righe: '' Delia Marazza Bonola ­ Lorella, donna di sentimenti forti e gentili, madre esemplare, la fede cristiana e l'amore domestico illustrarono la sua candida vita, tanto più degna di ricordo e di rimpianto quanto più longevo ne fu il corso, giunto alla foce delle eterne speranze''10.

1 La citazione trova le sue più antiche origini in un detto latino "Dotata animi mulier virum regit" (Una donna dotata di spirito di intelligenza e coraggio sostiene l'uomo).

2Giulio Bonola (1865 ­ 1939), avvocato, politico, letterato, fu figura di riferimento importante per la sorella Delia e per i nipoti Achille e Gino. Antifascista e studioso di spessore europeo, ha lasciato diversi studi, solo in parte pubblicati.

3La grande casa, nota ora come Villa Marazza e sede della Fondazione Achille Marazza, era stata in origine un grande deposito di raccolta di bachi da seta, fiorente industria all'epoca. I Bonola la ingrandirono in modo da poterla utilizzare come residenza.

4Ambrogio Marazza raccolse, tra l'altro, una ricca documentazione di documenti fotografici relativi alla pittura lombarda, e non solo, dei secc. XIV ­ XVIII, ancora conservata alla Fondazione Marazza. Fu collaboratore di riviste d'arte di rilevanza nazionale.

5FMB 846, 1- 3-4-5-6.

6 Giovanni Bertacchi (Chiavenna, 1869 – Milano, 1942 ) Trilogia moderna, al conte Paolo Camerini, Milano Natale 1909. Bertacchi, poeta e letterato, mazziniano e antifascista, fu docente di Achille Marazza a Milano, poi amico, come testimonia la dedica posta sul retro di una sua foto conservata nell'Archivio Marazza presso la Fondazione omonima. FMB 1115, 3.

7 Lettera autografa FMB 846, 5.

8 Melo nacque a Padova nel 1917 da una famiglia veneziana d’artisti. A Milano, frequentò l’Accademia di Brera e  iniziò giovanissimo la sua attività di pittore, a soli diciotto anni cominciò a dedicarsi professionalmente all’arte del ritratto. Durante la sua lunga e brillante carriera posarono per lui, tra gli altri personaggi famosi, Alcide De Gasperi e Giovanni Gronchi.

9Poeta e giornalista (Cittanova 1897- Milano 1967), oppositore del regime fascista, avendo sposato un'ebrea russa, dopo la promulgazione delle leggi razziali in Italia fu costretto a una lunga peregrinazione in clandestinità. Famoso per la sua capacità di esprimersi in rime brillanti, spesso satiriche, fu anche deputato della Repubblica Italiana tra il 1953 e il 1958, eletto nel PSI.

10A. Zanetta, Le origini di Achille Marazza, 1994; B. Gattone, L'archivio Achille Marazza, 2015; http://win.fondazionemarazza.it/web/lnx-archivio-marazza.asp

         Achille Marazza con la madre Delia
                 (foto Archivio Marazza)

Scrissi questa breve nota biografica di Adele Bonola Marazza per il decimo "Quaderno borgomanerese" Borgomanero al femminile, pronto - eccetto un articolo dedicato a Rita Maspero Borgna - già nel febbraio 2019. L'uscita era prevista per il settembre dello stesso anno. Testi, indice e immagini impaginati furono da me consegnati al direttore entrante della Fondazione Marazza, per l'inoltro alla tipografia. Il Quaderno non è ancora uscito e prevedo non uscirà. Mi fa piacere quindi pubblicare qui i brevi articoli che scrissi allora per quel numero. Questo è il primo.

mercoledì 8 maggio 2024

La piccola Hempel, di Elvira Hempel Manthey

Elvira apparteneva a una famiglia molto indigente e tanto bastò, durante il regime instaurato da Adolf Hitler, per etichettare lei e i suoi fratelli come “elementi biologicamente indesiderabili dello Stato nazista”: oltre a quello messo in atto nei lager, un altro meccanismo, questo, di sterminio, realizzato col fine di sopprimere o emarginare - con diagnosi mediche false e devianti – “le vite indegne di essere vissute”. Scrive nella prefazione Erika Silvestri, curatrice e traduttrice del testo: “Questo libro, in cui Elvira ha raccolto la storia della sua vita, è allo stesso tempo un’autobiografia straziante e un documento di enorme importanza storica [...] le parole di Elvira sono come uno squarcio nel buio. A differenza della Shoah, non abbiamo infatti testimonianze dirette dei pochissimi sopravvissuti al programma di ‘eutanasia’ nazista”. Elvira era una bambina tedesca, come tutti i piccoli pazienti del reparto infantile speciale dell’ospedale di Uchtspringe, dove furono uccisi 753 bambini e adolescenti.

Elvira Hempel Manthey, La piccola Hempel, Utet 2024

La recensione completa si legge su Mangialibri, al link La piccola Hempel | Mangialibri dal 2005 mai una dieta


mercoledì 1 maggio 2024

Vincent Van Gogh pittore colto

Si è conclusa alla fine dello scorso mese di gennaio la mostra intitolata Van Gogh pittore colto, realizzata con una prospettiva originale che andasse oltre gli stereotipi abituali su Vincent, qui è descritto come personalità colta, curiosa, aperta a diversi ambiti di conoscenza, anche teologici, letterari, antropologici. Il catalogo edito per documentare la mostra e la ricerca che l'ha generata rimane come punto di riferimento fondamentale. Vi si narra e approfondisce la ricchezza degli interessi culturali che costituirono la base della formazione di Van Gogh, dall'appassionato suo amore per i libri e la lettura all'attenzione e allo studio dell'arte orientale, in particolare delle stampe giapponesi.

Scriveva Vincent al fratello Theo nel 1880: "... io ho una passione irresistibile per i libri e ho il bisogno di istruirmi continuamente, di studiare, se vuoi, proprio come ho bisogno di mangiare il mio pezzo di pane". Vincent legge con passione gli scrittori del suo tempo e non solo, li rilegge, li annota, li medita. Sotto i suoi occhi scorrono le pagine di Ovidio e di Shakespeare, di Voltaire e Carlyle, di Dickens e Michelet, di Zola, Maupassant e Loti.

Quanto al Giappone, fin dal 1854 a Parigi era scoppiata la "follia giapponese". Quando Van Gogh arrivò nella capitale francese, nel 1886, questa follia era già ben consolidata e sarà ulteriormente alimentata dall'Esposizione Universale del 1887. Non più solo porcellane, bronzi e tessuti occupavano gli spazi dedicati al Giappone, ma anche numerose stampe d'arte ukiyoe, composizioni xilografiche, nate nel sec. XVII. Vincent ne rimase affascinato, ne acquistò in gran numero per collezionarle, ma anche per rivenderle, come testimonia una sua lettera del 1888 a Theo. Non solo questo, però: il contatto con l'arte giapponese, in particolare con Hokusai e Hiroshige, lo coinvolse al punto da replicarla con il suo stile e la sua pittura. Ne sono esempi Il burrone del 1889 e Tronchi d'albero nell'erba del 1890.

A cura di Francesco Poli, Mariella Guzzoni e Aurora Canepari, questo volume di grande formato, che offre ai lettori saggi approfonditi e di un'ampia documentazione iconografica, piacerà a tutti gli appassionati di arte e di Van Gogh.