Questo
volume offre ai lettori tutte le poesie di Paolo Pezzaglia. Alla più
recente raccolta, Partire
(2007-2017), si uniscono le precedenti, non più reperibili in
commercio, ma presenti in diverse biblioteche: L'imbuto
rovesciato (1956-1990), Le
rughe della luna (1990-1996), Il
malincanto (1996-2005). Osserva
Giuseppe Conte nell'introduzione che Pezzaglia è "devoto alla
poesia in una sua maniera originale, intensa e duratura, vicina allo
spirito mitomodernista" e prosegue notando che le poesie del
nostro sono piene di anima e piene di mito, ma anche di realtà, di
città, di creatività e di lavoro. Colpisce e resta nella memoria,
unica come un istante indelebile, ferma come un'icona, "San
Michele", la seconda lirica di Partire, che
inizia così: "Nuvole di temporale grosso/ nel cielo lombardo.//
Dalla bergamasca tuona/ e lampeggia sulla Brianza:/ già ci
raggiunge/ con un turbine di grandine dura/ il gelido risucchio/ del
torrente Lambro/ [...]". Nulla di idilliaco in questo paesaggio
e tuttavia in quelle due parole, "cielo lombardo",
avvertiamo l'eco di una tradizione letteraria illustre e consolidata,
un respiro ampio che viene da lontano. Colpisce ancora, poche pagine
più avanti, "San Babila", che si apre con immagini
estremamente efficaci: "È
a San Babila che ancora batte/ il cuore stanco di Milano.// Nella
sghemba piazza scalena/ sta in disparte la chiesa/ come la signora
impoverita/ che per decoro sulla pietra/ del suo sagrato vuole
morire./ In questi versi vediamo la chiesa, la donna e la città
affratellate dal cuore che batte, stanco. E l'edificio e le pietre
sembrano partecipare della stessa umanità della donna che ad esse,
sfinita, si affida.
La
Lombardia palpita e vive nelle poesie di Partire, e
tuttavia si tratta di una Lombardia non chiusa in se stessa, ma che
si apre al mondo, così come il poeta, per esperienza di vita e per
attitudine mentale. La incontriamo nella lunga poesia "L'altrove"
e nei suoi versi che descrivono il personale "film del mondo"
di Pezzaglia. Scorrono qui le Americhe, "il grande ventre caldo/
della giungla africana" e i gelsomini del Maghreb, i venti della
Mongolia, i presepi Hindu. Il segreto dell'altrove, suggerisce il
poeta con un guizzo che ricorda Caproni, è nel ritorno: "la via
di fuga è qui/ nella paziente ricerca/ di un equilibrio, attenti al/
respiro leggero del luminoso Dio"./
Nel
saggio critico sulla raccolta L'imbuto rovesciato,
presente nel libro, Francesco Solitario accomuna l'opera di Pezzaglia
a quella dei poeti della "linea lombarda", in particolare a
Risi ed Erba. Scrive Solitario: "È
lo stesso sangue lombardo che circola nelle vene di queste atmosfere
piene di nostalgie senza maschere, di lucida coscienza di sé e del
mondo circostante: uomini straniati in una patria straniera". E
confronta alcune liriche dei tre poeti "lombardi",
sorprendentemente vicini nel descrivere le disincantate, quotidiane
atmosfere di Milano d'inverno e non solo. Vicinanza di atmosfere,
comunione di linguaggi, dignità alta della poesia che "è
forse/ di chi non può più vincere" (in "Io Paolo
Pezzaglia") ma è anche qualcosa che "salva la vita".
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Paolo Pezzaglia, Partire, Prometheus 2018 |