Nata nel 1903 a Kiev in una famiglia dell’alta borghesia ebraica, sin dall’infanzia Irène, il cui nome in russo era Irina Leonidovna Nemirovskaja, fece esperienza della crudeltà e delle ingiustizie della storia umana. A tre anni si salvò da un pogrom perché la cuoca la nascose dopo averle messo al collo, per ogni eventualità, la sua croce ortodossa. Nel 1913 si trasferì con la famiglia a San Pietroburgo, di qui i Némirovsky dovettero fuggire nel 1918 a causa di una taglia posta dai soviet sulla testa del padre Léon. Dopo due anni trascorsi in Finlandia e in Svezia, la famiglia si trasferì definitivamente a Parigi. Iréne conosceva il francese tanto bene quanto il russo e in francese compose le sue opere. Scrisse di lei negli anni venti di lei il critico Henri Régnier: «Némirovsky scrive il russo in francese».
Se il libro che le diede la fama fu Suite francese, pubblicato postumo grazie alla costanza e alla vigile obbedienza delle figliolette, che custodirono attraverso le crudeltà della guerra e della persecuzione razziale la "valigia della mamma" contenente il manoscritto incompiuto del romanzo, questo I doni della vita (Les Biens de ce monde), è ugualmente opera magistrale di acume e maestria narrativa. I protagonisti sono Pierre e Agnès, giovani all'inizio della storia, ambientata in gran parte a Saint-Elme, nel Nord della Francia, anziani alla fine. I due si conoscono e si amano fin da bambini, ma la loro unione è osteggiata dalla famiglia di lui, per motivi economici e patrimoniali. Con un escamotage i giovani la spuntano e si sposano, proprio quando la prima Guerra Mondiale si abbatte sulla Francia e i suoi cittadini increduli e preoccupati: "Erano gli ultimi giorni del luglio del 1914. Non si voleva ancora credere alla guerra, ma se ne avvertiva il soffio ardente. Pierre Hardelot andava a raggiungere il suo reggimento..."
Il paese verrà raso al suolo e poi ricostruito. Pierre e Agnès avranno due figli e, nonostante le prove e i dolori che la vita riserverà loro, intatto e immutabile resterà sempre negli anni il loro affiatamento e il loro amore. Anche quando, a violare una ritrovata tranquillità e una moderata agiatezza, ecco presentarsi lo spettro di un'altra guerra, la seconda Guerra Mondiale: "troppe due guerre in una sola vita" si lamenta qualcuno, sconsolato. Anche in questo caso, scrive Irène, "la gente aspettava la guerra come l'uomo aspetta la morte: sa che non gli sfuggirà, gli sia concessa soltanto una proroga [...] ancora qualche mese di tranquillità, ancora un anno, ancora una stagione dolce e spensierata..."
E anche in questo caso ecco avanzare le lunghe carovane di profughi per le strade, ecco i paesi crollare sotto le bombe. Ecco i giorni, i mesi, gli anni da contare, come anestetizzati sia dalla paura che dal coraggio, in attesa che la carneficina finisca. I doni della vita sarà pubblicato a puntate - ironia della sorte - sulla rivista antisemita Gringoire. E solo nel 1947 uscirà per intero in un volume unico. Irène non lo vedrà. La morte l'avrà già portata con sé, ad Auschwitz, nell'agosto 1942. Anche suo marito, il moscovita Michel Epstein, "un piccoletto bruno dalla carnagione scura", trasferito a Parigi fin dal 1920 con la famiglia, cadrà vittima del lager. Resteranno le due bambine, in fuga con la loro valigia e le loro lacrime.
Irène Nemirovsky, I doni della vita, Adelphi 2009. Traduzione di Laura Frausin Guarino
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