mercoledì 15 dicembre 2021

L'invenzione degli italiani. Dove ci porta "Cuore", di Marcello Fois

Scriveva Edmondo De Amicis qualche tempo prima di accingersi all'impresa di scrittura che avrebbe dato vita a Cuore: "Ho in testa un libro nuovo, originale, potente, mio — di cui il solo concetto m’ha fatto piangere di contentezza e di entusiasmo, dico potente se mi riuscirà di non guastarne l’argomento trattandolo. Ma spero di no, perché mi è nato proprio nel più vivo dell’anima. Ho pensato molto tempo. Mi son detto: per fare un libro nuovo e forte bisogna che lo faccia colla facoltà nella quale mi sento superiore agli altri — col cuore… Il cuore dei vent’anni, la ragione dei trenta. Il soggetto preso nel mio cuore. Il libro intitolato Cuore". Seppe convolgere nel suo entusiasmo l'editore Treves e quando Cuore uscì, nel 1886, sedici anni dopo la breccia di Porta Pia, conobbe un clamoroso successo, non solo in Italia. Ma perché rivisitare oggi un libro che ha centotrentacinque anni? Tanto più che si tratta di centotrentacinque anni in cui l'Italia ha conosciuto due guerre mondiali, una dittatura, anni di piombo, corruzione diffusa, disgregamento della nozione di cittadinanza e di bene comune, impoverimento dei ceti medi, mancanza di lavoro e svilimento del lavoro: gli italiani sono cambiati, sono forse meno entusiasti, forse più poveri di speranza. Che ha da dirci ancora Cuore, se pure ha qualcosa da dirci? Risponde Marcello Fois: "De Amicis ha inventato gli italiani. Ne ha espresso le possibili coordinate di popolo, ne ha tracciato l’unico profilo unitario che soprassedesse alle immense differenziazioni che da sempre lo contraddistinguono" e questo è un cammino, lo vediamo, ancora in fieri. Per questo motivo, piuttosto che un condensato di conformismo Cuore può essere ritenuto un grande progetto utopico, ispirato anche dai sentimenti socialisti di De Amicis. Un grande valore riveste nel libro la scuola, laica ed egualitaria, votata alla formazione del cittadino, ma anche della persona nella sua individualità unica: "l'utopia proposta da De Amicis è di un luogo [...] dove i ricchi non hanno accessi privilegiati o programmi specifici [...] la scuola di Cuore è proprio l'opposto del mondo reale, lì il bambino piemontese deve abbracciare e dare il benvenuto al migrante calabrese; lì il bambino ricco ha come compagno di banco il bambino povero, che lo voglia o meno; lì si agisce perché la comunità proceda univoca nonostante le disparità che si presentano fuori dalla classe". Un appassionato capitolo è intitolato "La parola maestro" e, partendo dalla figura emblematica del maestro Perboni, un "eroe puro", un "mediatore tra la formazione e la vita", ricorda altre figure esemplari di maestri: Giovanni Mosca, Albino Bernardini, Maria Gacobbe, Alberto Manzi. Non piacque alla Chiesa questo laico Cuore, senza benedizioni e senza timore degli strali divini e la sua lettura ne fu, per molti anni, sconsigliata ai ragazzi. Eppure, nota Fois, la famosa raccomandazione di papa Giovanni XXIII "portate questa carezza ai vostri bambini" ricalca pari pari l'episodio del romanzo in cui Coretti padre, commosso, dice al suo figliuolo "Questa è una carezza del re". Cuore sa essere presente anche in chi lo nega, dunque.


Marcello Fois, L'invenzione degli italiani. Dove ci porta Cuore, Einaudi 2021


2 commenti:

Anonimo ha detto...

mi piace questa recensione, ma è qualcosa di più di una recensione. Grazie !

Eleonora Bellini ha detto...

Grazie! E' la partecipazione e la condivisione di quanto il libro afferma, con intelligenza e passione.