martedì 23 settembre 2025

Paolo sono, di Alex Cortazzoli

Palermo, 23 giugno 1949. Paolo ha nove anni e festeggia con gioia la sua promozione inaugurando il taccuino che ha ricevuto in dono e che si propone di portare sempre con sé per annotare e ricordare le cose importanti che gli succedono. E così farà, anno dopo anno. Il piccolo e coinvolgente taccuino immaginario accompagnerà il racconto della vita di Paolo dalle scuole elementari all’età adulta. Paolo Borsellino è uno scolaro vivace e molto loquace, che interviene in classe su ogni argomento che suscita il suo interesse. Gli piace affermare la sua opinione e talvolta, per l’entusiasmo, non riesce a trattenersi. Il maestro Ansaldo apprezza il suo interesse, ma vorrebbe vederlo meno irruente e chiacchierone. Quando incontra papà Diego, farmacista nel popoloso quartiere della Kalsa a Palermo, l’insegnante osserva sempre: “Paolo potrà fare qualsiasi lavoro, perché è un bambino in gamba. Ha solo un piccolo difetto: parla troppo e interrompe gli altri”. Gli appunti di Paolo proseguono e leggiamo del passaggio alla scuola media, delle sue monellerie e dei furtarelli che hanno come bersaglio proprio la farmacia del babbo, dell’incontro all’oratorio con Giovanni (Falcone), poco più grande di lui e bravo giocatore di calcio e di ping pong, della sua passione per la bicicletta.

La recensione si legge per intero su Mangialibri, al link Paolo sono | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

A. Cortazzoli, Paolo sono, Giunti 2025

domenica 21 settembre 2025

Vecchi, di Giulio Martinoli

"Meglio solitaria, meglio selvatica, piuttosto che addolorata ed emotivamente coinvolta. Meglio sola, ma serena. Il dolore degli altri non fa più per me, dal momento che poi diventa anche mio. Del resto non mi ritengo propriamente una persona asociale. Partecipo, seppure con un certo distacco, senza un vero e proprio coinvolgimento da parte mia, alla vita di questa comunità di anziani, di vecchi tutti quanti con una breve aspettativa di vita dinanzi a sé. Chiacchiero, scherzo, mi sforzo di ridere o di indignarmi, persino".

Parla così Adelaide, protagonista del nuovo romanzo di Giulio Martinoli. Adelaide è un'infermiera in pensione che sceglie, pur essendo perfettamente autosufficiente, di trascorrere ciò che le resta da vivere in una residenza per anziani. Ma anche in un luogo protetto non si sfugge alla vita, ai suoi tranelli, alla rabbia e al sorriso, alle rare gioie e agli ineluttabili dolori. Il primo di questi ultimi è il rapido decadere del corpo e della mente della compagna di stanza di Adelaide, tanto da obbligarla a chiede una camera singola, pur piccola, ma tutta sua, isolata, quasi immune da ogni evento conturbante e difficile. Così Adelaide è libera di riflettere sulla sua vita, di radunare i ricordi e di raccontarli a noi lettori con sincerità, efficacia e perfino serenità. Il romanzo è narrato in prima persona dalla donna, che condivide con i lettori la sua vita e i suoi pensieri, ma non solo: l'espediente ci rivela anche tutta l'abilità di Martinoli nell'immedesimarsi profondamente in un vissuto tutto femminile.

Giulio Martinoli è nato a Jersey nel 1942 e risiede a Omegna, sul lago d’Orta. Per oltre trent’anni ha insegnato inglese nelle scuole medie superiori ed ha tenuto corsi Uni3 di letteratura, storia dell’arte, lingua inglese, scrittura creativa. È stato inoltre direttore della biblioteca civica della sua città.

Critico d’arte, ha organizzato e promosso numerosissime mostre e scritto saggi e libri dedicati ad artisti del suo territorio, il Verbano-Cusio-Ossola. Si è dedicato egli stesso, con successo, alla pittura.

G. Martinoli, Vecchi, Dialoghi 2025

mercoledì 17 settembre 2025

Il giardino del padre. Versi in atto, di Francesco Mangone


Si aprono con una citazione di Franco Fortini ripresa da György Lukács questi "Versi in atto": "Ricondurre agli inizi [e] sviluppare nella loro estensione e pienezza il componimento d'una vita ... ovunque si discorra di veri problemi della forma è in questione una verità della vita". In atto, le poesie di questa raccolta, a indicare azioni e situazioni non ancora concluse, in divenire, da realizzare: azioni e fatti della nostra recente storia entrati nelle cronache, nelle vite e nei corpi di chi le ha vissute sia da protagonista che come spettatore. Si tratta qui di azioni e fatti in versi, di poesia come esercizio di stile, ma non solo. Essenzialità e profondità di immagini e di concetti, ricerca di verità dell'io e del mondo, tensione tra rassegnazione e utopia, tra vuoto ideale e ricerca della dignità, tra mercificazione e pienezza umana sono presenti nel libro. La poesia di Francesco Mangone esprime la ricerca di ideali che siano esemplari, connette ricordi e prospettive sdipanando un filo sottile, ma robusto, capace di tessere legami profondi fra passato e futuro, tra potenza e atto.

La raccolta comprende cinque sezioni: Un sonno rotto ai sogni; Gli anni; Il giardino del padre; Memorie; Nella latenza di Urano. Quest'ultimo, scrive il poeta nella "Nota" finale, "è das kapital, costretti nei suoi cicli ci ripetiamo tragicamente". E il concetto è perfettamente illustrato dalla poesia che conclude la sezione dedicata al "dio arcaico": "Urano il dio dell'accrescimento/ senza limiti/ mastica e incorpora/ i sussunti. Noialtri inadeguati restiamo/ nel sistema di consumo e produzione a far morte/ della vita e della vita morte.// Dai filari dei versi notturni attendo/ che insorga un lampo. Nuove corrispondenze/ voci. Quel metrico respiro il corpo mio/ scavato illumina/ e s'erge dentro lento e prezioso a far di noi/ l'inespresso atteso."

Il cuore della collezione, avverte sempre l'autore, è la sezione Il giardino del padre: "cronotopo da cui guardo e dà il titolo alla raccolta, a guidarmi questa volta è l'etica di Epicuro": felicità raggiunta attraverso la saggezza di un piacere capace di dare la quiete dell'animo e di preservare il benessere del corpo. Esemplare e suggestivo è qui leggere: "Nel crepuscolo,/ prima di rientrare in casa s'attardava il padre/ nell'orto, lo raggiunse il figlio./ Cercava l'aderenza perfetta tra la forma/ e l'ombra; non altro/ che il piacere di stare al mondo."

Notevole la sezione che rievoca la formazione giovanile del poeta, "Gli anni", e che ci consente di ripercorrere i tempi cruciali, dal '68 fino a tutti gli anni '70, la strategia della tensione, quella vile violenza che, come sempre, si scatenò sugli innocenti e sui cercatori di giustizia. E come non rabbrividire di nuovo leggendo: "Il volo dell'anarchico con noi si schiantò/ sul selciato. Il volto/ d'uno di noi su tutti i muri dello Stivale/ il giorno dopo/ a fare dell'inganno dello Stato il segno servile/ del comando. Dipoi fu il tritolo per le strade: le stazioni,/ le banche, i treni/ il tintinnar di sciabole di golpe annunciati/ da far tremare i polsi./ Il governo delle stragi governava tra le ombre."

Il giardino del padre propone ai lettori un esempio alto di poesia civile, quella poesia che trascende sentimenti ed esperienze personali per divenire coscienza ed espressione collettiva, testimonianza consapevole di storia e di vissuto. Non si può dunque non condividere quanto, a proposito di questo libro, scrive Velio Abati: "la costruzione del senso si conduce su una memorazione alla luce della meditazione morale e intellettuale che la riconnette al presente in vista di un futuro da cui trarre ragione e possibilità. È in questa insistenza fertile sulla comprensione del passato resa possibile dal futuro sperato che l’opera di Mangone ci addita, nell’oscuramento del suo e nostro passato, la falsità del futuro di cui oggi il capitale si fa paladino" (Il Manifesto, 3/7/2025).

F. S. Mangone, Il giardino del padre, Il Pungitopo Editrice 2025


sabato 13 settembre 2025

Il collezionista di poesie d'amore, di Stefano Panzarasa

Marco Castelli vive a Roma. Bravo giocatore di rugby e laureato in lettere con l'hobby della fotografia, fa di quest'ultima la sua professione, pur senza abbandonare i suoi interessi letterari. In particolare lo attraggono le poesie d'amore e, dopo averle lette, ricopia le preferite, quelle che lo emozionano maggiormente, su alcuni quaderni che porta sempre con sé. Dopo che il matrimonio con Carla è finito, Marco vive da solo. La sua vita, pur senza la presenza costante di una donna, non è triste, ma aperta al lavoro, all'amicizia, alla bellezza.

Una sera, alla festa di compleanno di Giorgio, suo amico fin dai tempi del liceo, Marco incontra Irene, bella, affascinante, misteriosa. Con lei ha tempo di conversare, raccontando di sé ma anche scambiando idee su libri, cinema, viaggi. Irene ascolta, dimostra interesse ed empatia, tanto che chiede a Marco una poesia d'amore, tra quelle che lui ama tanto. Così, gli dà la sua mail e si fa promettere che, appena arrivato a casa, gliela invierà. La donna fa appena in tempo a esprimere il suo desiderio che arriva un uomo dall'aria nervosa, le si avvicina e brutalmente la trascina via. Marco resta sconvolto. Nel profondo di sé, sente qualcosa che gli fa capire di avere incontrato la donna della sua vita: un amore a prima vista è nato.
Dopo un intenso scambio di mail, però, Irene, volontariamente, scompare. Marco è sconvolto, non si capacita ma non si arrende: deve ritrovare Irene a ogni costo. Convinto dell'affidabilità della teoria junghiana della sincronicità secondo la quale "nulla accade per caso", Marco si mette sulle tracce di Irene, seguendo alcuni segnali apparentemente casuali. La ricerca lo condurrà dapprima in Abruzzo e poi sul lago di Como. E qui, tra i riflessi delle onde lariane, al soffio della breva che incalza la vela, l'enigma si risolve e tutte le tessere dell'intricato puzzle vanno a posto: Marco, finalmente, conosce la verità sulla donna che ama.

Questo secondo romanzo di Stefano Panzarasa, diversamente dal primo -un fantasy- è una storia di realtà, di persone e di affetti, che non rifugge dai toni del giallo: enigmi e suspence si uniscono alla narrazione dei pensieri, dei timori e delle speranze del protagonista che, nella sua ricerca di Irene, viene presto sorretto e affiancato dalla figlia Bianca, dall’amica Jaineba e soprattutto dal nuovo amico Teodoro. Quest'ultimo, incontrato sulle rive del lago di Como, è sia originale e temerario autista di un vecchio pulmino sulla terraferma, che temerario nocchiero di una vecchia barca sul lago e soprattutto è un valido sostegno in ogni occasione. La lettura scorre veloce mentre la storia ci conduce nei diversi luoghi che Marco, prima con affanno e poi con speranza, percorre: Roma, Roseto degli Abruzzi, Montepagano, il lago di Como e i monti che lo attorniano. Di tutte queste località l'autore descrive le caratteristiche delle strade e delle case, della natura che le circonda, degli abitanti. E noi ne scopriamo i panorami, le stagioni, le luci e le ombre.

E le poesie d'amore? Ci sono, ci sono. Costellano l'uno o l'altro capitolo, sottolineano l'uno o l'altro stato d'animo, indicano la via o solleticano la nostalgia.


S. Panzarasa, Il collezionista di poesie d'amore, LFA Publisher


giovedì 11 settembre 2025

E non scappare mai, di Annalisa Cuzzocrea

Nata a Firenze nel 1926, Miriam Mafai era figlia di Mario, importante pittore della scuola romana e di Antoinette Raphaël, ebrea lituana, fuggita bambina dai pogrom e arrivata a Roma dopo aver prima vissuto a Londra e a Parigi, anche lei apprezzata artista. Dopo le leggi razziali del 1938 Miriam e le sue sorelle avvertirono il peso e la paura dell’essere ebree e, per desiderio di giustizia e di uguaglianza, di cambiamento profondo, aderirono al Partito Comunista Italiano. Per Miriam iniziava una nuova vita di passione politica e di impegno. In questo libro, documentato come un saggio e avvincente come un romanzo, Annalisa Cuzzocrea ricostruisce e narra sogni e battaglie, scelte e condivisioni di ideali, incontri e impegno di Miriam, a pieno titolo protagonista del Novecento italiano. All’impegno, alla riflessione e alla ricerca della verità Miriam Mafai non si sottrae mai; ne è un esempio il suo atteggiamento nei confronti del rapimento Moro. Inizialmente schierata per l’intransigenza e per nessuna concessione ai rapitori, dopo molti anni rivede coraggiosamente la propria posizione e di afferma: “A nessun leader politico in tempo di pace dovrebbe essere richiesto di essere un eroe. Abbiamo sbagliato, e lo abbiamo fatto tutti, mandando a morire un innocente”. 

Una donna lucida e coraggiosa con una vita tutta da leggere.

La recensione completa si legge su Mangialibri, qui: E non scappare mai | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

A. Cuzzocrea, E non scappare mai, Rizzoli 2025


martedì 9 settembre 2025

La strada per Be'er Sheva, di Ethel Mannin

La strada per Be’er Sheva è stato il primo romanzo a narrare la nakba, l’esodo forzato del 1948, dal punto di vista dei Palestinesi. Scritto da Ethel Mannin (1900-1984), autrice inglese che si distinse per il proprio impegno politico e sociale e per aver saputo spaziare tra diversi generi letterari, il romanzo fu pubblicato nel Regno Unito nel 1963 e vede ora la luce per la prima volta in traduzione italiana. Nella sua illuminante postfazione Tiffany Vecchietti nota che “La Palestina e il suo destino sono stati per Ethel Mannin uno spartiacque. Letterario, politico, personale”, tanto che, per il fatto di essersi nettamente schierata con il popolo palestinese, la scrittrice ruppe addirittura con il partito laburista in cui militava. L’urgenza di questo romanzo nacque in lei anche in contrapposizione a Exodus (1958) di Leon Uris, dedicato alla nascita dello stato di Israele e bestseller dei tempi suoi, dopo la lettura del quale Ethel si rese conto che nessuno in Occidente aveva mai narrato la diaspora palestinese. La strada per Be’er Sheva attraverso le vicende della famiglia Mansour e, in particolare, attraverso la crescita e l’evoluzione umana e intellettuale del figlio Anton da ragazzino sradicato a giovane uomo sempre più consapevole delle proprie origini, racconta le vicende di tutto un popolo, espulso, torturato, dimenticato, perfino colpevolizzato ma soprattutto costantemente privato della propria patria, oltre che dei propri beni, e depredato perfino della speranza del ritorno. Perché ogni luogo in cui tornare è distrutto o da altri invaso e posseduto. Per questo, pur narrando fatti di settantasette anni fa, il romanzo ci conduce con forza dentro quell’attualità che affolla i nostri schermi e nei confronti della quale ci sentiamo indignati e impotenti. Perché, scrive Manning nell’introduzione: “Altri Paesi sono stati divisi, ma hanno continuato a esistere come Stati, con il loro nome sulla carta geografica e abitati dal proprio popolo; la Palestina ha cessato di esistere, sia come nome che come Paese, e i Palestinesi come nazione”.

In questo momento tragico, che ci pone tutti vicini alla torturata Palestina e ai suoi abitanti, e che, insieme, ci fa sentire, qualsiasi cosa facciamo o diciamo, impotenti a fermare il genocidio, il romanzo di Ethel Mannin è davvero un libro da leggere perché, con la sobrietà e la limpidezza della sua narrazione, non ci racconta solo le radici di un dramma, ma ci permette, attraverso di esse, di far luce anche sull'oggi. 

La recensione integrale è su Mangialibri al link: La strada per Be’er Sheva | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

E. Mannin, La strada per Be'er Sheva, Agenzia Alcatraz 2025, trad. S. Renzetti