"Di sera, dopo che era stato messo a letto Fedja e Anjuta era corsa nel salotto dei grandi, avevo preso l'abitudine di sedermi sul sofà accanto alla tata, e me ne stavo tutta accoccolata mentre mi raccontava delle favole. Il grado di influenza che queste ebbero sulla mia immaginazione lo giudico dal fatto che quando sono sveglia riesco a ricordare solo parte di esse, ma quando dormo può capitare anche oggi che me le sogni: o la morte nera o il lupo mannaro o il drago dalle dodici teste. E questi sogni mi assalgono con lo stesso inspiegabile terrore mozzafiato ora come allora, quando avevo cinque anni, all'ascolto delle fiabe della mia tata".
Nelle Memorie d'infanzia, datate San Pietroburgo 29 maggio 1890, Sofja Kovalevskaja (1850-1891) racconta gli anni della sua infanzia, della sua adolescenza e prima giovinezza ed esprime più volte la dolorosa sensazione di essere trascurata e ignorata rispetto alla brillante sorella maggiore e al piccolo fratello minore, di non essere amata: "In generale, la convinzione di non essere amata nella mia famiglia è come un filo nero che si avvolge attorno a tutti i miei ricordi".
Durante le lunghe ore trascorse con l'istitutrice, Sofja leggeva molto e scrive poesie. Curiosa di tutto quanto succede nella sua famiglia, appartenente alla piccola nobiltà russa e nella grande casa di campagna di Palibino, nella provincia di Vitebsk in Bielorussia. Lì, dove l'inverno è lungo e la natura è solenne, si odono gli ululati dei lupi nelle gelide notti e si ascoltano mormorare le acque del disgelo; si possono fare, in numerosa e lieta compagnia, escursioni nella foresta dove gli orsi mantengono "rapporti di pacifica convivenza con i contadini del luogo".
Gli anni dell'infanzia sono molti importanti e ogni divagazione, immaginazione, disobbedienza, anche, può essere foriera, nel tempo, di grandi cose.
È quanto accade a Sofja, che ascolta lo zio e rimane incurosita, se non affascinata, da quanto sente, così come lo era stata dalle fiabe della tata: "Fu proprio da lui, per esempio, che sentii per la prima volta parlare della quadratura del cerchio e dell’asintoto a cui una curva si avvicina costantemente senza mai raggiungerlo, e di molti altri problemi di natura simile. Naturalmente non riuscivo ad afferrare il significato di questi concetti, ma essi agirono sulla mia immaginazione, instillando in me un sentimento reverenziale per la matematica, una scienza misteriosa ed eccelsa che spalanca ai suoi adepti un mondo nuovo di meraviglie inaccessibili ai comuni mortali".
E altrettanto fascino ha una carta da parati applicata nella camera dei bambini. Si tratta di una carta di risulta, di fogli di dispense delle conferenze sul calcolo differenziale del professor Ostrogradskj, matematico e fisico, così riutilizzati. Scrive Sofja: "Mi ricordo di me bambina, mentre rimanevo ferma per ore e ore davanti a quel muro misterioso per afferrare almeno qualche passaggio isolato o trovare la sequenza del numero delle pagine". Questa carta da parati di seconda scelta le aprirà un mondo, quello della matematica, che la farà definire dai suoi contemporanei regina della scienza e che la condurrà a studiare e a insegnare a San Pietroburgo, Gottinga, Berlino, Stoccolma dove viene nominata libera docente, prima, e poi docente di ruolo; Parigi dove riceve il Premio Bordin "per aver apportato importanti contributi alla teoria del movimento di un corpo rigido".
Molto altro troviamo in queste memorie, che ci offrono un quadro autobiografico suggestivo e anche uno spaccato della società culturale e sociale dell'epoca, nonché il ritratto di un Dostoevskij molto privato, ombroso e riservato, ma anche disponibile a grande e profonda amicizia e perfino al sogno d'amore.
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