venerdì 6 novembre 2020

Amelia Rosselli, di Alessandro Baldacci

Il saggio percorre le strade della critica e delle diverse letture effettuate delle poesie di Amelia Rosselli. Elemento centrale dell'opera, dunque, non è la biografia della poetessa, traduttrice e musicologa, ma l'originalissimo crescere e addensarsi sotto la penna e nel tempo delle sue tormentate eppure lucidissime liriche, in un incessante andare e tornare su di sé e nel mondo dentro una mirabile spirale di lingue e di parole. I Primi scritti, la cui origine possiamo rintracciare negli anni 1965-1966 e che la Rosselli definì all'inizio come semplici esercizi di ricerca stilistica, in qualche modo sminuendoli (ma alla cui revisione e riproposizione lavorò a lungo), costituiscono un chiaro esempio dell'uso, canoro e bruciante, delle tre lingue del suo infantile e adolescenziale esilio, bruciante cicatrice ancora viva in età matura. Ne è chiaro esempio il Diario in tre lingue, francese, inglese e italiano presenti contemporaneamente sulla pagina. Scrive Baldacci che esso "a una sperimentazione creativa che erompe dall'interno del materiale linguistico accosta un'osservazione esterna, uno sguardo critico-filologico che compara le caratteristiche foniche delle varie lingue, che riporta versi montaliani per studiarne poi le potenzialità sonore e le dinamiche ritmiche". Un affascinante, profondo, tormentato "babelare commosso", come lo definì la poetessa stessa.

Baldacci, infine, dà notizia degli interventi critici, anche in rivista, apparsi sulla poesia della Rosselli fino al momento della sua pubblicazione (Laterza, 2007). Notizie interessanti (Emanuela Tandello che "mostra come il gioco di parole nella Rosselli sia sempre marcato da un peso inquietante, e si sviluppi sulla scia delle parole portemanteau di Carrol"); stimolanti (Siriana Sgravicchia che "sottolinea come la musica nella ricerca rosselliana degli anni Cinquanta, oltre a mostrare affinità con l'estetica compositiva di John Cage per un comune dialogo con l'I Ching, tende a recuperare una dimensione originaria, quasi prenatale, del ritmo"); pretestuose e incongrue (Giuliano Ladolfi che "riconduce l'autrice all'interno di un lirismo autoreferenziale, di un linguaggio limitato al privato, di un manierismo che non crea ordine, sistema").

“La lingua in cui scrivo di volta in volta è una sola, mentre la mia esperienza sonora logica associativa è certamente quella di molti popoli…. Tutte le migrazioni cui sono stata costretta hanno prodotto una dissociazione linguistica e di permanente inconsistenza. La lingua riflette tale situazione” disse di sé Amelia Rosselli e questo saggio, che ne esplora opera  e critica, ne dà conto.


Alessandro Baldacci, Amelia Rosselli, Laterza 2007.

Qui Watch | Facebook e qui Facebook Watch due mie brevi conversazioni sulla Rosselli, a cura di Britalialive 

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