Cose
Case di cose, nudi
oggetti invadono ogni spazio,
arido tra le piastrelle la memoria
e il cielo.
(Signori, fate
i vostri acquisti quotidiani
che il capitalismo sa
bene addomesticare le sue bestie).
Eppure basterebbe qualche affetto
- cuori attenti, mani salde -
a salvarci dalle bufere
e dai venti d'uragano.
© Eleonora Bellini
In questo nostro tempo di penuria, di catastrofi etiche pandemiche ecosistemiche, Eleonora Bellini con la sua poesia Cose, racconta di una catastrofe ancor più drammatica: quella relativa alla perdita/svilimento della soggettività emozionale e del sentirsi critico, ad opera del flusso merci-cose-oggetti.
Sin dall’inizio scrive, “Case di cose, nudi/oggetti invadono ogni/ spazio…” versi forti che rinviano al nostro abitare alienato, “arido”, tipico del nostro sistema consumistico; così che la memoria scivola a ricordare una delle espressioni più pregnanti della modernità, quando definisce la “ricchezza” della nostra società: una “immane raccolta di merci”; destino di voraci consumatori.
E sarà Henri Lefebvre, seguendo questa traccia teorica, a parlare nella sua Critica della vita quotidiana, dell’esercizio dell’inganno perpetrato dal capitalismo, così la poetessa sottolinea: sa “bene addomesticare le/sue bestie”. Per dire: coinvolti nella "fantasmagoria" illusoria della merce veniamo preformati da un tale sistema totalizzante (oggetti/invadono ogni/spazio…), cosicché -mentre veniamo svuotati del nostro vissuto emozionale, costretti al frammento e alla propensione dell’esteriore, alla bellezza senza sostanza- diventiamo noi stessi cose tra le cose; noi: i prodotti della riproduzione di questo sistema quantitativo senza limiti.
Eppure… nella intimità della casa, Lefebvre parlerà del momento (ricorda “la piccola porta” per W. Benjamin) come presa di coscienza individuale, autocoscienza, che disallinea dal continuum alienato della vita quotidiana, per la realizzazione d’un possibile altro, una via di fuga. Da ciò ne verrebbero possibilità di ricostruire nuove e diverse conduzioni dell’esistenza, ripristinando così l'umano di cui siamo portatori, come indicano i versi della terza stanza finale, “Eppure basterebbe qualche affetto/-cuori attenti, mani salde-/a salvarci…”. Partendo, ancora una volta, da un linguaggio (quello del poeta) legato, finalmente, al vissuto concreto del giorno.
Istituendo al di là del terrore del potere, una nuova antropologia.
© Francesco Siciliano Mangone
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Immagine dal web |