domenica 19 ottobre 2025

Nota critica di Francesco Siciliano Mangone alla poesia "Cose" di Eleonora Bellini


Cose

Case di cose, nudi

oggetti invadono ogni spazio,

arido tra le piastrelle la memoria

e il cielo.


(Signori, fate

i vostri acquisti quotidiani

che il capitalismo sa

bene addomesticare le sue bestie).


Eppure basterebbe qualche affetto

- cuori attenti, mani salde -

a salvarci dalle bufere

e dai venti d'uragano.

© Eleonora Bellini


In questo nostro tempo di penuria, di catastrofi etiche pandemiche ecosistemiche, Eleonora Bellini con la sua poesia Cose, racconta di una catastrofe ancor più drammatica: quella relativa alla perdita/svilimento della soggettività emozionale e del sentirsi critico, ad opera del flusso merci-cose-oggetti.

Sin dall’inizio scrive, “Case di cose, nudi/oggetti invadono ogni/ spazio…” versi forti che rinviano al nostro abitare alienato, “arido”, tipico del nostro sistema consumistico; così che la memoria scivola a ricordare una delle espressioni più pregnanti della modernità, quando definisce la “ricchezza” della nostra società: una “immane raccolta di merci”; destino di voraci consumatori.

E sarà Henri Lefebvre, seguendo questa traccia teorica, a parlare nella sua Critica della vita quotidiana, dell’esercizio dell’inganno perpetrato dal capitalismo, così la poetessa sottolinea: sa “bene addomesticare le/sue bestie”. Per dire: coinvolti nella "fantasmagoria" illusoria della merce veniamo preformati da un tale sistema totalizzante (oggetti/invadono ogni/spazio…), cosicché -mentre veniamo svuotati del nostro vissuto emozionale, costretti al frammento e alla propensione dell’esteriore, alla bellezza senza sostanza- diventiamo noi stessi cose tra le cose; noi: i prodotti della riproduzione di questo sistema quantitativo senza limiti.

Eppure… nella intimità della casa, Lefebvre parlerà del momento (ricorda “la piccola porta” per W. Benjamin) come presa di coscienza individuale, autocoscienza, che disallinea dal continuum alienato della vita quotidiana, per la realizzazione d’un possibile altro, una via di fuga. Da ciò ne verrebbero possibilità di ricostruire nuove e diverse conduzioni dell’esistenza, ripristinando così l'umano di cui siamo portatori, come indicano i versi della terza stanza finale, “Eppure basterebbe qualche affetto/-cuori attenti, mani salde-/a salvarci…”. Partendo, ancora una volta, da un linguaggio (quello del poeta) legato, finalmente, al vissuto concreto del giorno.

Istituendo al di là del terrore del potere, una nuova antropologia.

© Francesco Siciliano Mangone

Immagine dal web

sabato 18 ottobre 2025

Un chilo di piume un chilo di piombo, di Donatella Ziliotto

Trieste 1940. Fiamma (così l'ha chiamata la mamma, ma lei avrebbe voluto chiamarsi Tonina) ha otto anni e frequenta la quarta elementare. In aula scatta il preallarme: il cielo è limpido, l'aria tersa, tempo ideale per i bombardamenti e le incursioni aeree. Il momento è ideale per pattinare. Mentre piazza grande si svuota perché tutti si precipitano nei rifugi, Fiamma e la sua amica Luisa trovano il tempo per salire sui pattini, che tengono nascosti nell'androne di casa, e per seguire, con il naso all'insù, le traiettorie degli aerei che sorvolano la città. Perché anche in tempo di guerra le bambine restano bambine, con gli occhi spalancati sul mondo e tanta voglia di giocare e insieme di capire. 

Tanto piombo, infinite angosce negli anni di guerra. Eppure in questo romanzo il peso del piombo è contrastato da quello di altrettante piume: i pensieri leggeri, schietti, fiduciosi di una ragazzina vivace, aperta, coraggiosa. La narrazione, in forma di diario, privilegia infatti il punto di vista dell'infanzia sul mondo e sugli affetti. Gli sguardi di Fiamma sulla sua città e la sua gente, sui familiari e gli amici, sono sguardi pieni di curiosità e privi di pregiudizi. Si traducono, nella descrizione di episodi sia di semplice vita quotidiana in famiglia e a scuola (importantissima per Fiamma è la “rivoluzionaria” professoressa Rita) che di eventi drammatici, in un racconto privo di retorica, spesso umoristico, sorretto da uno stile colloquiale e brillante. La Storia, che quando percuote percuote forte soprattutto i bambini, è qui presente attraverso momenti di personale autobiografia e squarci profondi su eventi italiani degli anni della seconda guerra mondiale.

Questa edizione del libro, illustrata da Grazia Nidasio e corredata da alcune fotografie di famiglia dell'autrice, uscì nel 2016 con la prefazione di Bianca Pitzorno.  

Donatella Ziliotto ci ha lasciati pochi giorni fa. Il post è un modo per ricordarla con ammirazione e affetto. 

La recensione si legge per intero su Mangialibri al link: Un chilo di piume un chilo di piombo | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

Donatella Ziliotto, Un chilo di piume un chilo di piombo, Lapis 2016


venerdì 17 ottobre 2025

Le parole a comprendere, di Domenico Defelice. Recensione di Maria Lenti

Domenico Defelice, nato nel 1936, ha percorso il secondo Novecento e sta percorrendo questi primi decenni del Duemila affidando la sua voce alla poesia, alla saggistica letteraria, alla riflessione umanistica e storica, come ad una finestra da cui non solo guardare il mondo (e la sua individualità in esso) ma da cui dire, di questo mondo e di questa vita, le mancanze, le perdite, le storture, soprattutto il risvolto di cambiamenti, accaduti ma quasi mai secondo lui in positivo e, in ogni caso, non sospinti da chi dovrebbe, da chi ha la responsabilità della res publica.

E tutto tramite le parole, appunto le parole per comprendere la realtà e che comprendano il sogno di giorni diversi. (Ne dà conto Sandro Gros-Pietro nella articolata, meditata Prefazione, riprendendo e ricamminando la produzione di Domenico Defelice).

Vi è in questo suo Le parole a comprendere il desiderio, profondo come un sogno ad occhi aperti, di vedere finite ingiustizie e ammanchi dovuti all’agire dell’uomo, dell’uomo pubblico, quegli ammanchi che rendono i propri simili infelici oltre l’infelicità assegnata, quasi per una legge senza autore, dalla natura, dalle coordinate dello spazio e del tempo, dalle casualità esistenziali. O da un disegno divino.

E il poeta Domenico Defelice, si chiede però anche quale parte egli abbia nel suo tempo, se abbia ben condotto o meno questa sua parte:

«Cosa ho fatto? / Vi chiederete dopo il mio trapasso. / Niente, né per ricchezza, né per gloria. / Ho scritto centinaia di versi / - questo è vero – e qualche piccola / storia, per diletto; ho sparso pure / quintali di sarcasmo e d’ironia. / Non sono stato integralmente al mondo / per aver amato troppo la giustizia, / battaglia lunga e senza tregua, / vana, come per l’onestà. // Vi chiederete: cosa ha fatto? Nulla. / Me lo son chiesto tante volte anch’io.» (COSA HO FATTO? NULLA, p. 40).

Uomo tra gli uomini, il poeta riconosce nei suoi versi una insufficienza, una insufficienza propria dell’esistere: nascere, crescere, andare, tornare, sperare, pronunciare parole, lavorare, amare, recriminare, riflettere sull’intorno e proporre soluzioni. È il vivere, è l’avere vissuto, anche e certamente dandosi una chance, la probabilità intrinseca alla poesia, alla letteratura.

Forse, almeno a mio parere e mi riferisco alla seconda sezione del libro – Ridere (per non piangere) - , il sarcasmo dovrebbe distinguere tra i soggetti cui è diretto: perché, nella varia umanità di cui facciamo parte, non tutti meritano sarcasmo. Anche tra i politici o chi gestisce la cosa di tutti, bersaglio facile, non c’è una massa informe, ma un insieme di persone: alcune fanno il bene, altre il male, altre sono indifferenti a qualsiasi vento tiri e guardano solo la propria strada.

L’ironia, invece, degli Epigrammi e di Recensioni (terza e quarta parte), sottile, taglia per così dire le ali a qualche personaggio della scena sociale togliendolo dal piedistallo raggiunto e, grazie a questa figura retorica, mettendolo sul piedistallo del ridicolo. «Tutta la tua sostanza è una targhetta / appiccicata sopra il tuo portone; / una carta intestata; un’etichetta / che un giorno finiranno in un bidone. // A che ti giova tanta sicumera? / di te non rimarrà neppur l’alone!». Dedicata A UN BORIOSO, (p. 118): e i boriosi, nel giro vasto della presenza pubblica, sono davvero tanti. (Maria Lenti)


Domenico Defelice, Le parole a comprenderePrefazione di S. Gros-Pietro,Torino, Genesi 2019

lunedì 13 ottobre 2025

La scrittura come frammento di speranza. Poesia palestinese contemporanea

Le curatrici dell'antologia, Cinzia Chiesa e Anna Rotondo, scrivono nella presentazione che l’intento di questa scelta antologica è quello di testimoniare, ascoltare e riconoscere la forza della parola scritta in un luogo, come la Palestina, in cui tutto sembra crollare, sbriciolarsi e perdere ogni significato. Eppure la Palestina, anche nell’attuale, lacerante e tragica situazione continua ad esprimere voci che creano poesia, arte e bellezza. La poesia, così come la scrittura e le arti in generale, diviene così uno dei tanti aspetti di resistenza di un popolo immerso nella tragedia e anche un segno, forte, di vita e di speranza. Alcuni dei testi proposti sono presenti nel libro sia in italiano che in arabo, un modo per ampliarne le possibilità di lettura. Alla presentazione fa seguito un breve saggio di Yousef el-Qedra, poeta e scrittore che attualmente vive nel campo profughi di al-Mawasi, a ovest di Khan Younis. In queste pagine l’autore pone l’accento su alcuni aspetti fondamentali dello scrivere a Gaza. Qui la scrittura non è un passatempo, afferma, ma un “atto di esistenza nelle tenebre della guerra”, una “lotta contro l’annientamento”, una testimonianza contro il silenzio globale, un frammento di speranza. È anche la “ri-creazione della città” e, insieme, lo “specchio di un conflitto interiore” e, ultimo requisito ma fondamentale, la scrittura a Gaza è soprattutto “celebrazione della vita”.

Recensione e alcuni versi esemplari, quale primo invito alla lettura, su Mangialibri al link La scrittura come frammento di speranza | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

La scrittura come frammento di speranza


lunedì 6 ottobre 2025

Il biennio di sangue 1993-94, di Luca Tescaroli

"Lo scopo di questo libro è di offrire un compendio agevole per conoscere chi sono gli autori delle stragi del biennio 1993-94, commesse nelle città di Roma, Firenze e Milano, e come si è giunti alla loro individuazione e condanna con sentenze passate in giudicato, in modo che i ricordi ingialliti dal decorso dei decenni non svaniscano e possano costituire un monito per il futuro per evitare di rivivere il nostro tragico passato" così scrive Luca Tescaroli nella Premessa a questo saggio che racconta con rigore "le menti e gli esecutori materiali degli attentati di Cosa Nostra nel continente". Nel 1993, infatti, Cosa Nostra portò attentati e terrore fuori dalla Sicilia, nelle più iconiche città italiane provocando morti e distruzioni. Era, quella, una stagione confusa, tra tangentopoli e un contesto politico e sociale precario, in crisi profonda, in cui i giochi di potere sembravano succedersi senza più nessuno scrupolo.

Il 14 maggio 1993 un'autobomba esplose in via Ruggero Fauro a Roma; la vittima designata era Maurizio Costanzo, fortunatamente sopravvissuto perché il segnale col telecomando non fu avviato tempestivamente. Il 27 di quello stesso mese a Firenze, in via dei Georgofili, esplose un ordigno che uccise nel sonno Angela e Fabrizio Nencioni con le loro bambine Nadia e Caterina e lo studente Dario Capolicchio. Trentotto persone furono ferite. La Torre dei Pulci fu distrutta mentre gli Uffizi e la chiesa di dei santi Stefano e Cecilia vennero gravemente danneggiati. Un paio di mesi dopo, nella notte fra il 27 e il 28 luglio, esplosero quasi contemporaneamente tre autobombe: a Milano in via Palestro la prima, a Roma presso san Giovanni in Laterano, la seconda, e alla basilica di san Giorgio al Velabro, la terza. A Milano vi furono cinque morti, a Roma diversi feriti. "Tali attentati" nota l'autore "vennero accompagnati dall'interruzione delle comunicazioni a Palazzo Chigi e indussero il premier Carlo Azeglio Ciampi a dire di aver temuto un colpo di Stato".

A un certo punto, dopo il fallito attentato allo Stadio Olimpico del 1994, la campagna stragista cessò. Non si conoscono i motivi di questo fatto, ma si può osservare un dato di contemporaneità che pone un interrogativo: quell'anno nacque Forza Italia. Vi sono forse coincidenze tra la nascita di questo movimento politico e la cessazione degli attentati? La domanda nasce anche in relazione all'importante ruolo svolto da Marcello Dell'Utr (poi condannato per concorso in associazione di tipo mafioso) nella nascista del partito. Molti campi di indagine sulla "guerra" mossa allo Stato - e in particolare al governo Ciampi - restano dunque aperti.

Luca Tescaroli è un magistrato che ha lavorato nelle procure di Caltanissetta, Roma e Firenze. Attualmente è procuratore della Repubblica di Prato. Si è occupato di numerosi casi che hanno colpito l'Italia: l'attentato all'Addaura, la strage di Capaci, l'omicidio di Roberto Calvi e altre, fino alle stragi terroristico–eversive descritte in questo saggio. Tra i diversi suoi libri ve ne sono tre che si occupano dell'attentato a Giovanni Falcone.

L. Tescaroli, Il biennio di sangue, SEIF 2025


mercoledì 1 ottobre 2025

Una settimana di luglio, di Gianluca Battistel


Elmin insegna da dodici anni alla scuola primaria di Osmaĉe, un piccolo paese che raggiunge ogni giorno attraversando a piedi il bosco. La camminata gli infonde un senso di pace, una serenità dell’animo che aveva raramente provato prima, durante i suoi primi anni di insegnamento a Sarajevo. Elmin ama il suo lavoro, i suoi scolari e quella scuola circondata dalla foresta. Purtroppo però, da qualche tempo, gli giungono anche in questo mondo bucolico, dove tutti si conoscono “come in un’unica grande famiglia”, notizie tristi e inquietanti: Slovenia e Croazia si sono dichiarate indipendenti e la guerra sconvolge i territori croati a maggioranza serba; Vukovar, elegante città sul Danubio, è stata assediata e semidistrutta. Ora, anche in Bosnia Erzegovina tensioni e conflitti serpeggiano ovunque, mentre il dialogo e la ragionevolezza si allontanano sempre più. Elmin rifiuta l’idea che la situazione possa precipitare anche qui, nel suo caro, piccolo paese. E la rifiuta con forza soprattutto per Azra, la sua figlia quindicenne che non vede l’ora di andarsene da quello sperduto villaggio e di raggiungere Sarajevo o “meglio ancora Trieste, dove vivevano dei lontani parenti che mandavano avanti un ristorante”.

Gianluca Battistel, laureato in Filosofia all’Università Statale di Milano e dottore di ricerca presso la Leopold-Franzens-Universität di Innsbruck, con questo libro riporta alla memoria con sobrietà e rigore, con empatia e partecipazione umana, l’assedio di Srebrenica, durato tre anni per poi sfociare, in quella settimana di luglio del 1995 che dà il titolo al romanzo, in un massacro di massa, contro cui i Caschi Blu dell’ONU presenti sul territorio non intervennero minimamente. Nel 2007 la Corte Internazionale di Giustizia riconobbe che quello di Srebrenica era stato un genocidio. E molti speravano che sarebbe stato l’ultimo.

La recensione integrale è su Mangialibri, al link: Una settimana di luglio | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

G. Battistel, Una settimana di luglio, Alphabeta Verlag 2025

martedì 23 settembre 2025

Paolo sono, di Alex Cortazzoli

Palermo, 23 giugno 1949. Paolo ha nove anni e festeggia con gioia la sua promozione inaugurando il taccuino che ha ricevuto in dono e che si propone di portare sempre con sé per annotare e ricordare le cose importanti che gli succedono. E così farà, anno dopo anno. Il piccolo e coinvolgente taccuino immaginario accompagnerà il racconto della vita di Paolo dalle scuole elementari all’età adulta. Paolo Borsellino è uno scolaro vivace e molto loquace, che interviene in classe su ogni argomento che suscita il suo interesse. Gli piace affermare la sua opinione e talvolta, per l’entusiasmo, non riesce a trattenersi. Il maestro Ansaldo apprezza il suo interesse, ma vorrebbe vederlo meno irruente e chiacchierone. Quando incontra papà Diego, farmacista nel popoloso quartiere della Kalsa a Palermo, l’insegnante osserva sempre: “Paolo potrà fare qualsiasi lavoro, perché è un bambino in gamba. Ha solo un piccolo difetto: parla troppo e interrompe gli altri”. Gli appunti di Paolo proseguono e leggiamo del passaggio alla scuola media, delle sue monellerie e dei furtarelli che hanno come bersaglio proprio la farmacia del babbo, dell’incontro all’oratorio con Giovanni (Falcone), poco più grande di lui e bravo giocatore di calcio e di ping pong, della sua passione per la bicicletta.

La recensione si legge per intero su Mangialibri, al link Paolo sono | Mangialibri dal 2005 mai una dieta

A. Cortazzoli, Paolo sono, Giunti 2025

domenica 21 settembre 2025

Vecchi, di Giulio Martinoli

"Meglio solitaria, meglio selvatica, piuttosto che addolorata ed emotivamente coinvolta. Meglio sola, ma serena. Il dolore degli altri non fa più per me, dal momento che poi diventa anche mio. Del resto non mi ritengo propriamente una persona asociale. Partecipo, seppure con un certo distacco, senza un vero e proprio coinvolgimento da parte mia, alla vita di questa comunità di anziani, di vecchi tutti quanti con una breve aspettativa di vita dinanzi a sé. Chiacchiero, scherzo, mi sforzo di ridere o di indignarmi, persino".

Parla così Adelaide, protagonista del nuovo romanzo di Giulio Martinoli. Adelaide è un'infermiera in pensione che sceglie, pur essendo perfettamente autosufficiente, di trascorrere ciò che le resta da vivere in una residenza per anziani. Ma anche in un luogo protetto non si sfugge alla vita, ai suoi tranelli, alla rabbia e al sorriso, alle rare gioie e agli ineluttabili dolori. Il primo di questi ultimi è il rapido decadere del corpo e della mente della compagna di stanza di Adelaide, tanto da obbligarla a chiede una camera singola, pur piccola, ma tutta sua, isolata, quasi immune da ogni evento conturbante e difficile. Così Adelaide è libera di riflettere sulla sua vita, di radunare i ricordi e di raccontarli a noi lettori con sincerità, efficacia e perfino serenità. Il romanzo è narrato in prima persona dalla donna, che condivide con i lettori la sua vita e i suoi pensieri, ma non solo: l'espediente ci rivela anche tutta l'abilità di Martinoli nell'immedesimarsi profondamente in un vissuto tutto femminile.

Giulio Martinoli è nato a Jersey nel 1942 e risiede a Omegna, sul lago d’Orta. Per oltre trent’anni ha insegnato inglese nelle scuole medie superiori ed ha tenuto corsi Uni3 di letteratura, storia dell’arte, lingua inglese, scrittura creativa. È stato inoltre direttore della biblioteca civica della sua città.

Critico d’arte, ha organizzato e promosso numerosissime mostre e scritto saggi e libri dedicati ad artisti del suo territorio, il Verbano-Cusio-Ossola. Si è dedicato egli stesso, con successo, alla pittura.

G. Martinoli, Vecchi, Dialoghi 2025

mercoledì 17 settembre 2025

Il giardino del padre. Versi in atto, di Francesco Mangone


Si aprono con una citazione di Franco Fortini ripresa da György Lukács questi "Versi in atto": "Ricondurre agli inizi [e] sviluppare nella loro estensione e pienezza il componimento d'una vita ... ovunque si discorra di veri problemi della forma è in questione una verità della vita". In atto, le poesie di questa raccolta, a indicare azioni e situazioni non ancora concluse, in divenire, da realizzare: azioni e fatti della nostra recente storia entrati nelle cronache, nelle vite e nei corpi di chi le ha vissute sia da protagonista che come spettatore. Si tratta qui di azioni e fatti in versi, di poesia come esercizio di stile, ma non solo. Essenzialità e profondità di immagini e di concetti, ricerca di verità dell'io e del mondo, tensione tra rassegnazione e utopia, tra vuoto ideale e ricerca della dignità, tra mercificazione e pienezza umana sono presenti nel libro. La poesia di Francesco Mangone esprime la ricerca di ideali che siano esemplari, connette ricordi e prospettive sdipanando un filo sottile, ma robusto, capace di tessere legami profondi fra passato e futuro, tra potenza e atto.

La raccolta comprende cinque sezioni: Un sonno rotto ai sogni; Gli anni; Il giardino del padre; Memorie; Nella latenza di Urano. Quest'ultimo, scrive il poeta nella "Nota" finale, "è das kapital, costretti nei suoi cicli ci ripetiamo tragicamente". E il concetto è perfettamente illustrato dalla poesia che conclude la sezione dedicata al "dio arcaico": "Urano il dio dell'accrescimento/ senza limiti/ mastica e incorpora/ i sussunti. Noialtri inadeguati restiamo/ nel sistema di consumo e produzione a far morte/ della vita e della vita morte.// Dai filari dei versi notturni attendo/ che insorga un lampo. Nuove corrispondenze/ voci. Quel metrico respiro il corpo mio/ scavato illumina/ e s'erge dentro lento e prezioso a far di noi/ l'inespresso atteso."

Il cuore della collezione, avverte sempre l'autore, è la sezione Il giardino del padre: "cronotopo da cui guardo e dà il titolo alla raccolta, a guidarmi questa volta è l'etica di Epicuro": felicità raggiunta attraverso la saggezza di un piacere capace di dare la quiete dell'animo e di preservare il benessere del corpo. Esemplare e suggestivo è qui leggere: "Nel crepuscolo,/ prima di rientrare in casa s'attardava il padre/ nell'orto, lo raggiunse il figlio./ Cercava l'aderenza perfetta tra la forma/ e l'ombra; non altro/ che il piacere di stare al mondo."

Notevole la sezione che rievoca la formazione giovanile del poeta, "Gli anni", e che ci consente di ripercorrere i tempi cruciali, dal '68 fino a tutti gli anni '70, la strategia della tensione, quella vile violenza che, come sempre, si scatenò sugli innocenti e sui cercatori di giustizia. E come non rabbrividire di nuovo leggendo: "Il volo dell'anarchico con noi si schiantò/ sul selciato. Il volto/ d'uno di noi su tutti i muri dello Stivale/ il giorno dopo/ a fare dell'inganno dello Stato il segno servile/ del comando. Dipoi fu il tritolo per le strade: le stazioni,/ le banche, i treni/ il tintinnar di sciabole di golpe annunciati/ da far tremare i polsi./ Il governo delle stragi governava tra le ombre."

Il giardino del padre propone ai lettori un esempio alto di poesia civile, quella poesia che trascende sentimenti ed esperienze personali per divenire coscienza ed espressione collettiva, testimonianza consapevole di storia e di vissuto. Non si può dunque non condividere quanto, a proposito di questo libro, scrive Velio Abati: "la costruzione del senso si conduce su una memorazione alla luce della meditazione morale e intellettuale che la riconnette al presente in vista di un futuro da cui trarre ragione e possibilità. È in questa insistenza fertile sulla comprensione del passato resa possibile dal futuro sperato che l’opera di Mangone ci addita, nell’oscuramento del suo e nostro passato, la falsità del futuro di cui oggi il capitale si fa paladino" (Il Manifesto, 3/7/2025).

F. S. Mangone, Il giardino del padre, Il Pungitopo Editrice 2025


sabato 13 settembre 2025

Il collezionista di poesie d'amore, di Stefano Panzarasa

Marco Castelli vive a Roma. Bravo giocatore di rugby e laureato in lettere con l'hobby della fotografia, fa di quest'ultima la sua professione, pur senza abbandonare i suoi interessi letterari. In particolare lo attraggono le poesie d'amore e, dopo averle lette, ricopia le preferite, quelle che lo emozionano maggiormente, su alcuni quaderni che porta sempre con sé. Dopo che il matrimonio con Carla è finito, Marco vive da solo. La sua vita, pur senza la presenza costante di una donna, non è triste, ma aperta al lavoro, all'amicizia, alla bellezza.

Una sera, alla festa di compleanno di Giorgio, suo amico fin dai tempi del liceo, Marco incontra Irene, bella, affascinante, misteriosa. Con lei ha tempo di conversare, raccontando di sé ma anche scambiando idee su libri, cinema, viaggi. Irene ascolta, dimostra interesse ed empatia, tanto che chiede a Marco una poesia d'amore, tra quelle che lui ama tanto. Così, gli dà la sua mail e si fa promettere che, appena arrivato a casa, gliela invierà. La donna fa appena in tempo a esprimere il suo desiderio che arriva un uomo dall'aria nervosa, le si avvicina e brutalmente la trascina via. Marco resta sconvolto. Nel profondo di sé, sente qualcosa che gli fa capire di avere incontrato la donna della sua vita: un amore a prima vista è nato.
Dopo un intenso scambio di mail, però, Irene, volontariamente, scompare. Marco è sconvolto, non si capacita ma non si arrende: deve ritrovare Irene a ogni costo. Convinto dell'affidabilità della teoria junghiana della sincronicità secondo la quale "nulla accade per caso", Marco si mette sulle tracce di Irene, seguendo alcuni segnali apparentemente casuali. La ricerca lo condurrà dapprima in Abruzzo e poi sul lago di Como. E qui, tra i riflessi delle onde lariane, al soffio della breva che incalza la vela, l'enigma si risolve e tutte le tessere dell'intricato puzzle vanno a posto: Marco, finalmente, conosce la verità sulla donna che ama.

Questo secondo romanzo di Stefano Panzarasa, diversamente dal primo -un fantasy- è una storia di realtà, di persone e di affetti, che non rifugge dai toni del giallo: enigmi e suspence si uniscono alla narrazione dei pensieri, dei timori e delle speranze del protagonista che, nella sua ricerca di Irene, viene presto sorretto e affiancato dalla figlia Bianca, dall’amica Jaineba e soprattutto dal nuovo amico Teodoro. Quest'ultimo, incontrato sulle rive del lago di Como, è sia originale e temerario autista di un vecchio pulmino sulla terraferma, che temerario nocchiero di una vecchia barca sul lago e soprattutto è un valido sostegno in ogni occasione. La lettura scorre veloce mentre la storia ci conduce nei diversi luoghi che Marco, prima con affanno e poi con speranza, percorre: Roma, Roseto degli Abruzzi, Montepagano, il lago di Como e i monti che lo attorniano. Di tutte queste località l'autore descrive le caratteristiche delle strade e delle case, della natura che le circonda, degli abitanti. E noi ne scopriamo i panorami, le stagioni, le luci e le ombre.

E le poesie d'amore? Ci sono, ci sono. Costellano l'uno o l'altro capitolo, sottolineano l'uno o l'altro stato d'animo, indicano la via o solleticano la nostalgia.


S. Panzarasa, Il collezionista di poesie d'amore, LFA Publisher