giovedì 26 novembre 2009

Il canto del diavolo di Walter Siti

Un libro da leggere. Siti racconta il suo soggiorno di un mese negli Emirati Arabi, in particolare a Dubai: "Il canto del diavolo", opera a metà tra il reportage giornalistico e il saggio, si legge come un romanzo. L'autore ha visitato la Dubai della ricchezza sfrenata e anche quella degli immigrati addetti ai più umili lavori, degli studenti, dei giovani già sviati e corrotti dai miti dell'Occidente e di quelli cullati dall'illusione di un sicuro riscatto nel futuro.
Qualche citazione per esemplificare:
" Dubai sta vendendo soprattutto promesse, quello che non c'è: Perfino nelle mappe, nelle guide turistiche, molte zone sono indicate con la sigla u.c., under construction; stranamente, invece che produrre insoddisfazione o ironia, questa incompiutezza genera fascino - perché quel che i turisti vengono ad ammirare qui non sono i monumenti ma la fede nell'onnipotenza del denaro" (pag. 84,85).
"La prima tappa è a Dubai Marina, un comparto di residenze e uffici eretto in due anni attorno a un lago artificiale, con gli yacht già parcheggiati davanti ai primi grattacieli; il lago è scarso d'acqua, un limo grigiastro ricopre le sponde, devono esserci difetti di impermeabilizzazione. Tutto è sorto così in furia che spesso non si sono adottate le misure più elementari; nella Palma ad esempio non hanno aspettato che la sabbia si assestasse, sicché le ville rischiano di sprofondare" (pag. 79).
"Avete perso la maestà e il silenzio, in cambio di cosa? Questo è il deserto che ha dato agli uomini l'idea che Dio fosse uno solo, e ora vi perdete anche questo: ma sì, vendetevi all'entertainement, il consorzio umano è la sola cosa che vi meritate. Alla fine forse hanno ragione loro: l'Assoluto ormai annoia e se si vuole vivere in un flusso continuo di relazioni bisogna puntare sulla stipidità" (p. 144).
W. Siti, Il canto del diavolo, Rizzoli 2009.

lunedì 16 novembre 2009

La strada, di Cormac Mc Carty

Un libro profetico, questo di Mc Carty, che ci racconta il mondo come sarà quando il mondo non esisterà più: solo cenere, tronchi neri e bruciati, luce grigia, colori spogliati,polvere e vento, vento e polvere. Freddo. In questo desolato e tremendo paesaggio, un padre e un figlio bambino vagano alla ricerca di un rifugio, si dirigono verso sud, ricercando strade e direzioni su una vecchia carta geografica a brandelli. Incontrano scheletri di paesi e di città, gusci vuoti di fabbriche, camion, treni, tecnologie depredate ed inutili. E vanno, tuttavia. Perché loro sono "i buoni", quelli che portano il fuoco, e i buoni non si fermano, non si arrendono, trovano la loro ragione d'essere in sé stessi, nei loro affetti, profondi e taciuti, nelle loro paure, sempre più acute e sempre più vere, concrete, carnali.
"E dall'altra parte cosa c'è?
Niente.
Ci deve pur essere qualcosa.
Magari ci sono un bambino e il suo papà seduti sulla spiaggia.
Non sarebbe male.
E magari anche loro portano il fuoco, no?
Sì, magari sì.
Però non lo sappiamo.
Non lo sappiamo, no.
Quindi dobbiamo tenere gli occhi aperti.
Dobbiamo tenere gli occhi aperti. Esatto." (pag. 165).
Il libro non finisce bene, a consolazione del lettore; ma non finisce neppure male. Mette le cose al loro posto, ci riconduce al concreto della condizione umana e dell'esistenza del "mondo": "Nelle forre dove vivevano ogni cosa era più antica dell'uomo, e vibrava di mistero".
Un libro da leggere, dunque.
(Eleonora Bellini)
C. Mc Carty, La strada, Einaudi 2007.