Se non vi aspettate uno stile brillante né una traduzione ineccepibile, ma volete scoprire, attraverso un romanzo, un periodo di storia sinora pressoché ignorato, leggete Il bambino senza nome (Piemme, 2009). L'autore narra la storia di suo padre, ebreo russo, fuggito di casa a cinque anni nella notte che precedette l'eccidio di tutti gli ebrei del suo villaggio (Koidanov, in Bielorussia) da parte dei nazisti e delle milizie lituane fiancheggiatrici del nazismo. Il bimbo fu trovato e cresciuto dai militari delle SS - che lo trasformarono in bambino soldato, ignara ed irrequieta mascotte testimone di stragi - e da una famiglia lituana loro fiancheggiatrice. Poi emigrato in Australia, nella piena maturità della sua età adulta il "bambino senza nome" trova la forza di superare il trauma e di raccontare la propria storia: dapprima a frammenti, poi sempre più chiaramente. Inizia così il suo viaggio a ritroso per riscoprire le proprie origini e, soprattutto, per fare la pace con il proprio passato. Il libro, inoltre, al di là del racconto di una vicenda individuale, fa luce su un periodo infausto della storia della Lituania complice del nazismo, poco nota al pubblico dei lettori italiani.
Ed ecco il contenuto del famoso filmato - famoso e breve: poco più di due minuti. Si apre con mio padre che marcia sul prato seguito dagli altri bambini - un piccolo ebreo soldato al comando di un gruppetto di bambini ariani! La voce fuori campo narra in tedesco la storia del "bambino in divisa", il bambino "trovato da un drappello di SS Lettoni, che lo hanno salvato dai pericoli del fronte".