sabato 16 agosto 2008

Mia vita

Certo è ch'io nacqui, e con un bel vagito
salutai 'l mondo e il mondo non rispose:
andai a scuola, studiai molte cose
e crebbi un ciuco calzato e vestito.

Una donna mi tolse per marito,
scrissi versi a barella e alcune prose:
del resto, come il ciel di me dispose,
ebbi sete, ebbi sonno, ebbi appetito.

Stetti molti anni fra gl'impieghi assorto,
e fin che non disparver dalla scena
amai gli amici e ne trovai conforto.

Oggi son vecchio e mi strascino appena:
poi fra non molti dì che sarò morto,
dirà il mondo: "Oh reo caso! andiamo a cena".

***

Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863)

venerdì 15 agosto 2008

In Memoriam

Dulce chopo,
dulce chopo,
te has puesto
de oro.
Ayer estabas verde,
un verde loco
de pájaros
gloriosos.
Hoy estás abatido
bajo el cielo de agosto
como yo bajo el cielo
de mi espíritu rojo.
La fragancia cautiva
de tu tronco
vendrá a mi corazón
piadoso.
¡Rudo abuelo del prado!
Nosotros

nos hemos puesto
de oro.
***
Dolce pioppo,
dolce pioppo
sei diventato d'oro.
Ieri eri verde,
un verde folle
di uccelli
gloriosi.
Oggi sei abbattuto
sotto il cielo d'agosto
come me
sotto il cielo
del mio spirito rosso.
La fragranza prigioniera
del tuo tronco
toccherà il mio cuore
pietoso.
Ruvido avo
del prato!
Noi
siamo diventati
d'oro.

Federico Garcia Lorca (1898-1936)

In memoriam è dell'agosto 1920

giovedì 14 agosto 2008

O ciò che sarìa peggio, diventar poeta

"Questi, rispose il curato, non debbono essere libri di cavalleria, ma piuttosto di poesia; ed aprendone uno vide che era la Diana di Giorgio di Montemaggiore. Disse allora (supponendoli tutti dello stesso genere): Questi non meritano, come gli altri, d'esser dati alle fiamme, perché non recano, né recheranno giammai il danno de' libri di cavalleria, ma sono libri da passatempo senza pregiudizio di alcuno. - O signore, soggiunse la nipote, il miglior partito sarà di mandarli come gli altri al fuoco, perché non sarebbe gran meraviglia, che riuscendoci di risanare il mio signor zio dalla malattia cavalleresca, egli si desse a leggere questi libri, e quindi gli venisse il capriccio di farsi pastore, e di andarsene per boschi e per prati cantando e sonando, o, ciò che sarìa peggio, diventar poeta; che, a quanto si dice, è un'altra malattia insanabile e contagiosa. - Questa ragazza parla del miglior senno, disse il curato..." M. de Cervantes Saavedra, DON CHISCIOTTE, cit. cap. VI.

Non passerà dimani senza aver fatto un autodafé

"Che ne sembra a vostra signoria, signor dottore Pietro Perez (così chiamavasi il curato) della disgrazia del mio padrone? Sono già passati sei giorni da che né egli si vede, né il suo ronzino, né la targa, né la lancia, né l'armatura; poveraccia di me! credo fermamente, e com'è certo ch'io sono nata per morire, che questi maledetti libri di cavalleria ch'egli ha, e legge continuamente, l'abbiano fatto uscir di cervello; che ora ben mi sovviene d'averlo inteso dire più volte, parlando fra sé medesimo, che bramava di farsi cavaliere errante e di andare pel mondo in cerca di avventure. Così ne li portasse o Satana, o Barabba cotesti libri, che hanno guasto e sconvolto il più fino cervello che vantar potesse la Mancia. La nipote poi proseguiva dicendo le stesse cose, e aggiungeva di più: Sappia, signor maestro Nicolò (questo era il nome del barbiere) che mille volte è avvenuto al mio signor zio di spendere nella lettura di questi maledetti libri due notti e due giorni continui; a capo dei quali gettavali poi da banda, e impugnata la spada andava a pigliarsela colle pareti finché stanco e spossato, dicea d'avere ammazzato quattro giganti grandi come quattro torri, volea che fosse sangue delle ferite da lui ricevute in battaglia il sudore che lo copriva per la soverchia fatica. Dava allora di piglio ad un gran boccale d'acqua fresca, e se la beveva sin all'ultima goccia, con che risanava e rimettevasi in tranquillità; affermando che quell'acqua era una bevanda preziosissima, dono del savio Eschifo, celebre incantatore e amico suo. Ah! debbo accusare me stessa di tanto male; ché se avessi informate le signorie vostre delle follie del mio signor zio, ci avrebbero posto rimedio prima che fosse giunto a questo termine; e quei suoi scomunicati libri li avrebbero dati alle fiamme: ché molti ne ha certamente degni di essere abbruciati come i libri degli eresiarchi. Sono anch'io dello stesso avviso, soggiunse il curato, e vi giuro in fede mia, che non passerà dimani senza aver fatto un autodafé, dannandogli tutti al fuoco, affinché non diano occasione a qualche altro di fare ciò che il mio povero amico debbe aver fatto.
(Miguel de Cervantes Saavedra, DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA, 1605-1615, Cap. V)